Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30527 del 19/12/2017


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Civile Ord. Sez. 2 Num. 30527 Anno 2017
Presidente: BIANCHINI BRUNO
Relatore: CRISCUOLO MAURO

ORDINANZA
sul ricorso 1311-2013 proposto da:
CARESTA GIUSEPPE CRSGPP45H28I558Z, BRAMATI ROSSANA
BRMRSN41S58H501N, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA
ANIMUCCIA GIOVANNI 15, presso lo studio dell’avvocato
GIUSEPPE BLEFARI, che li rappresenta e difende unitamente
all’avvocato VINCENZINA FALBO giusta procura notarile in atti;
– ricorrenti contro

MIRCI FILIPPO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
POMPEO MAGNO 94, presso lo studio dell’avvocato MAURO
LONGO, che lo rappresenta e difende giusta procura a margine
del controricorso;

– controricorrente nonchè contro

Data pubblicazione: 19/12/2017

COGONI MAURIZIO, MISSORI EZIO, MISSORI GIAN PIERO;
– intimati –

avverso la sentenza n. 5000/2011 della CORTE D’APPELLO di
ROMA, depositata il 23/11/2011;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio

Lette le memorie depositate dalla difesa di Mirci Filippo.
RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO
Il Tribunale di Roma con la sentenza n. 34431/2003
pronunciando sulla domanda proposta da Caresta Giuseppe e
Rossana Bramati nei confronti di Marucci Domenica, alla quale
era subentrato nelle more l’erede Cogoni Maurizio, e nei
confronti di Missori Ivano e Mirci Filippo, che erano stati
chiamati in causa su richiesta della convenuta, in qualità di
danti causa, rigettava la domanda di riduzione in pristino e di
condanna al risarcimento del danno, disponendo unicamente
l’esecuzione delle opere disposte dal CTU, e cioè
l’adeguamento del prospetto in cortina listata, condannando
parte attrice al pagamento delle spese di lite in misura di 4/5,
oltre al pagamento delle spese di CTU, con compensazione del
residuo quinto.
Avverso tale sentenza proponevano appello Caresta Giuseppe e
Bramati Rossana nei confronti del Cogoni, degli eredi di Missori
Ivano e di Mirci Filippo, lamentando l’erroneo rigetto delle altre
domande, nonché il fatto che non poteva ritenersi corretta la
loro condanna al pagamento delle spese di lite.
Si costituiva Maurizio Cogoni che concludeva per il rigetto del
gravame, chiedendo in via subordinata, la condanna dei suoi
aventi causa a tenerlo indenne da ogni conseguenza derivante
dall’eventuale accoglimento della domanda attorea.

Ric. 2013 n. 01311 sez. 52 – ud. 20-10-2017 -2-

del 20/10/2017 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;

Si costituivano anche Missori Ezio e Gian Paolo, quali eredi di
Missori Ivano, i quali eccepivano la loro carenza di
legittimazione passiva, atteso che non era stata estesa dagli
attori la domanda nei loro confronti. In ogni caso contestavano
la fondatezza della domanda nel merito.

un motivo di appello incidentale, la tardività della chiamata in
causa e la conseguente estinzione parziale del giudizio,
evidenziava che gli attori non avevano esteso la domanda nei
suoi confronti, e comunque la sua estraneità ai fatti di causa,
in quanto aveva acquistato dai Missori un’altra porzione
dell’immobile, concludendo quindi per il rigetto dell’appello
principale.
La Corte d’Appello di Roma, con la sentenza n. 5000 del 23
novembre 2011, in parziale accoglimento dell’appello,
confermava il rigetto delle domande di riduzione in pristino e di
risarcimento danni, e condannava l’appellato Cogoni al
rimborso delle spese del giudizio di primo grado in favore degli
attori, condannando invece parte appellante al rimborso in
favore di ciascuna parte appellata delle spese del giudizio di
appello.
In primo luogo riteneva che fosse infondato il gravame
principale nella parte in cui insisteva per l’accoglimento della
domanda di riduzione in pristino e di risarcimento del danno,
occorrendo a tal fine rilevare che era esclusa, in ragione delle
norme invocate (artt. 871 e 872 c.c.) la possibilità di una
riduzione in pristino.
Dalle indagini svolte dal CTU emergeva poi che il manufatto di
cui si denunziava la natura abusiva realizzato sul terrazzo di
proprietà del Cogoni, se alterava l’aspetto architettonico del
fabbricato (essendo a tal fine stata ordinata l’esecuzione di

Ric. 2013 n. 01311 sez. 52 – ud. 20-10-2017 -3-

Si costituiva anche Mirci Filippo il quale oltre ad eccepire con

alcuni interventi da parte del Tribunale), tuttavia non
pregiudicava la statica del fabbricato, come risultava anche dai
calcoli che erano stati eseguiti in occasione della richiesta del
certificato di idoneità statica del 12 dicembre 1985.
Le attestazioni contenute nel certificato erano state ritenute

effettuare dei saggi a percussione e scalpellamento che non
avevano denotato una situazione di pericolo, ravvisando quindi
la particolare onerosità, e sostanziale inutilità, del compimento
di nuove prove distruttive e di saggi.
La certificazione d’idoneità risultava poi rilasciata allorquando
già era stato realizzato anche il manufatto oggetto di causa, né
emergeva la realizzazione di ulteriori interventi tali da
determinare un mutamento significativo del quadro statico
dell’edificio, potendosi quindi confermare l’insussistenza del
pregiudizio alla solidità dell’edificio stesso.
Inoltre non era stata offerta alcuna prova del danno
eventualmente patito dagli attori, sicché anche la domanda
risarcitoria andava disattesa.
In assenza di appello incidentale doveva però restare immutata
la condanna disposta dal Tribunale, essendo invece
inammissibile la domanda di manleva formulata dall’appellato
Cogoni solo in appello.
Inammissibile era poi l’appello incidentale del Mirci, il quale era
rimasto contumace in primo grado, all’esito del quale non era
peraltro risultato soccombente, essendo privo quindi della
legittimazione a proporre impugnazione.
Tuttavia, poiché la sentenza di primo grado aveva accolto la
domanda attorea, sia pure in parte, le spese del relativo
giudizio dovevano essere poste a carico dell’appellato Cogoni,

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attendibili da parte dello stesso CTU che si era limitato ad

mentre le spese del giudizio di appello dovevano essere poste
a carico degli appellanti principali.
Per la cassazione di tale sentenza hanno proposto ricorso
Caresta Giuseppe e Bramati Rossana sulla base di due motivi.
Mirci Filippo ha resistito con controricorso.

sede.
Il ricorso va dichiarato inammissibile in quanto redatto in
violazione della prescrizione di cui all’art. 366 co. 1 n. 3 c.p.c.,
essendo del tutto carente l’esposizione sommaria dei fatti di
causa, impedendo in tale modo all’atto di poter raggiungere la
sua finalità.
A tal fine va ricordato che secondo la giurisprudenza di questa
Corte ( cfr. Cass. n. 16103/2016) il requisito dell’esposizione
sommaria dei fatti, prescritto a pena d’inammissibilità del
ricorso per cassazione, è funzionale alla completa e regolare
instaurazione del contraddittorio ed è soddisfatto laddove il
contenuto dell’atto consenta di avere una chiara e completa
cognizione dei fatti che hanno originato la controversia e
dell’oggetto dell’impugnazione, senza dover ricorrere ad altre
fonti o atti, sicché impone alla parte ricorrente, sempre che la
sentenza gravata non impinga proprio per questa ragione in
un’apparenza di motivazione, di sopperire ad eventuali
manchevolezze della stessa decisione nell’individuare il fatto
sostanziale e soprattutto processuale ( conf., ex multis, Cass.
n. 24291/2016; Cass. S.U. n. 11653/2006).
I ricorrenti si limitano a riportare il dispositivo della sentenza di
appello e quello della decisione del Tribunale, riportando,
peraltro solo per sintesi, le ragioni dell’appello.
Manca una qualsivoglia indicazione in ordine al contenuto della
domanda originaria nonché in merito alle difese svolte dalle

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Gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva in questa

controparti, con particolare riferimento al contenuto dell’atto di
chiamata in causa (questione che appare essere rilevante al
fine di accertare anche la correttezza della ripartizione delle
spese nei rapporti con i terzi chiamati, essendo stata esclusa la
proposizione da parte del convenuto di una domanda di

esteso in primo grado la domanda ai terzi chiamati).
A pag. 3 del ricorso poi si fa un generico riferimento
all’accoglimento solo di alcune delle domande proposte, ma
senza indicare quali erano le richieste di cui all’atto di
citazione.
Appare quindi evidente come la concreta formulazione del
ricorso, prova di una soddisfacente indicazione delle domande
avanzate e delle ragioni delle difese assunte dalle parti nel
corso del giudizio, non soddisfi il precetto normativo sopra
richiamato, e che da ciò derivi l’inammissibilità del gravame.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da
dispositivo.
Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30
gennaio 2013 ed è dichiarato inammissibile, sussistono le
condizioni per dare atto – ai sensi dell’art. 1, comma 17, della
legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione
del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di
stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater dell’art. 13
del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – della
sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte dei ricorrenti,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello dovuto per la stessa impugnazione.
PQM
Dichiara il ricorso inammissibile e condanna i ricorrenti al
rimborso delle spese in favore del controricorrente che liquida

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manleva, ed essendosi affermato che gli attori non avevano

in complessivi C 1.100,00, di cui C 200,00 per esborsi, oltre
spese generali pari al 15 % sui compensi ed accessori come
per legge;
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002,
inserito dall’art. 1, co. 17, I. n. 228/12, dichiara la sussistenza

contributo unificato dovuto per il ricorso principale a norma
dell’art. 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso nella camera di consiglio del 20 ottobre 2017

dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti del

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