Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30526 del 22/11/2019

Cassazione civile sez. un., 22/11/2019, (ud. 19/11/2019, dep. 22/11/2019), n.30526

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Primo Presidente f.f. –

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente di Sez. –

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente di Sez. –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al N. R.G. 16899-2018 proposto da:

D.F.R., rappresentata e difesa dall’Avvocato Fabio

Pisani, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma,

circonvallazione Clodia n. 36/A;

– ricorrente –

contro

PROCURATORE GENERALE RAPPRESENTANTE IL PUBBLICO MINISTERO PRESSO LA

CORTE DEI CONTI, con domicilio presso il proprio Ufficio in Roma,

via Baiamonti n. 25;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte dei conti, terza sezione

giurisdizionale centrale d’appello, n. 566/2017 depositata il 4

dicembre 2017.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

19 novembre 2019 dal Consigliere Alberto Giusti.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Ritenuto che la Corte dei conti, sezione giurisdizionale per il Lazio, con sentenza n. 118 del 2015, ha condannato D.F.R., in solido con altri, al pagamento, in favore dell’erario, della somma di Euro 14.563.998,77, oltre accessori, a titolo di risarcimento del danno erariale provocato con l’indebita percezione di contributi per l’editoria, conseguita mediante la falsa rappresentazione di attività editoriali ed in particolare mediante la contabilizzazione di fatture contraffatte o emesse per operazioni inesistenti, intesa a gonfiare artatamente i costi sostenuti dalle società editrici, ampliando così indebitamente la base di calcolo dei contributi stessi;

che avverso la suddetta sentenza ha proposto appello la D., tra l’altro censurando l’omessa declaratoria del difetto di giurisdizione del giudice contabile;

che la Corte dei conti, terza sezione giurisdizionale centrale d’appello, con sentenza n. 566/2017 resa pubblica mediante deposito in segreteria il 4 dicembre 2017, ha rigettato il gravame;

che, nel ritenere sussistente la propria giurisdizione, la Corte dei conti non ha condiviso l’argomentazione dell’appellante secondo cui il finanziamento erogato perseguirebbe soltanto lo scopo di offrire un mero sostegno economico al beneficiario, ed ha affermato che, con la disciplina delle provvidenze all’editoria (L. 5 agosto 1981, n. 416; L. 25 febbraio 1987, n. 67; L. 7 agosto 1990, n. 250), il legislatore si è preoccupato di assicurare l’immanente rispondenza del contributo concesso alle finalità pubbliche sottese alla relativa erogazione, rivolta ad agevolare la presenza nel mercato di imprese editoriali e così ad assicurare il pluralismo dell’informazione;

che per la cassazione della sentenza della Corte dei conti ha proposto ricorso D.F.R., sulla base di un motivo;

che ha resistito, con controricorso, il Procuratore generale rappresentante il pubblico ministero presso la Corte dei conti.

Considerato che con l’unico motivo (violazione e falsa applicazione della L. 20 marzo 1865, n. 2248, artt. 2 e 4, all. E e art. 103 Cost., comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 1) ci si duole che la sentenza impugnata non abbia dichiarato il difetto di giurisdizione della Corte dei conti a conoscere della controversia;

che, ad avviso della ricorrente, il giudice contabile non avrebbe tenuto conto che quella esperita dalla parte pubblica sarebbe una semplice azione di restituzione delle somme che si assumono non dovute, per cui la relativa controversia rientrerebbe nell’ambito di quelle attribuite alla giurisdizione del giudice ordinario;

che con la censura si sostiene che l’erogazione dei contributi per l’editoria da parte dell’amministrazione non comporterebbe che il beneficiario divenga esso stesso strumento dell’ente pubblico concedente, non configurandosi un rapporto di servizio tra questo ed il destinatario della provvidenza;

che il motivo è infondato;

che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte regolatrice (Cass., Sez. U., 25 gennaio 2013, n. 1774; Cass., Sez. U., 24 novembre 2015, n. 23897; Cass., Sez. U., 31 luglio 2017, n. 18991; Cass., Sez. U., 5 giugno 2018, n. 14436; Cass., Sez. U., 28 marzo 2019, n. 8676; Cass., Sez. U., 16 maggio 2019, n. 13245), è configurabile un rapporto di servizio tra la pubblica amministrazione erogatrice di contributo e il soggetto privato che, ponendo in essere i presupposti per la illegittima percezione del finanziamento o disponendo della somma erogata in modo diverso da quello preventivato, abbia frustrato lo scopo perseguito dall’amministrazione, distogliendo le risorse conseguite dalle finalità cui erano preordinate; inoltre, ai fini del radicamento della giurisdizione della Corte dei conti sul danno erariale conseguente alla illecita percezione del contributo pubblico, risulta decisiva la natura del danno conseguente alla mancata realizzazione degli scopi perseguiti con la contribuzione, non avendo rilevanza nè la qualità del soggetto che gestisce il denaro pubblico, il quale ben può essere un soggetto di diritto privato destinatario della contribuzione, nè il titolo in base al quale la gestione del pubblico denaro è svolta, che può consistere in un rapporto di pubblico impiego o di servizio, ma anche in una concessione amministrativa o in un contratto di diritto privato;

che i contributi all’editoria sono intesi, secondo la finalità sottesa alla disciplina di settore, ad agevolare, nell’interesse pubblico al pluralismo dell’informazione, la possibilità di permanenza di impresi editrici nel mercato e, con essa, condizioni di adeguata concorrenzialità: pertanto, diversamente da quanto prospettato dalla ricorrente, sussiste il rapporto di servizio, essendo l’erogazione delle risorse erariali diretta, sulla base di atti normativi, alla realizzazione di finalità pubblicistiche nell’interesse della collettività, in un settore ritenuto meritevole di particolare sostegno;

che va inoltre ribadito che il percettore del finanziamento risponde per danno erariale innanzi alla Corte dei conti in caso di erogazioni ricevute sulla base di dichiarazioni non veritiere, giacchè la condotta illecita posta in essere per assicurarsi indebitamente il finanziamento finisce con il sottrarlo a più specifica destinazione e corretto impiego, nel perseguimento del fine pubblico sotteso, da parte di altro soggetto privato in possesso dei requisiti prescritti dalla legge;

che, nella specie, il giudizio contabile a carico della D. ha preso le mosse da indagini svolte nell’ambito di un procedimento penale, estintosi per intervenuta prescrizione, nel cui ambito era risultato che gli imputati – tra cui l’odierna ricorrente – avevano a vario titolo posto in essere numerosi artifizi e raggiri finalizzati a ottenere indebitamente i contributi in questione, inducendo in errore i funzionari pubblici preposti alla relativa erogazione, e che in tale contesto, tra l’altro, avevano utilizzato fatture per operazioni inesistenti emesse da società estere fittizie, presentato bilanci falsi certificati da una società di revisione e falsamente dichiarato l’insussistenza di cause ostative alla percezione delle provvidenze;

che il ricorso è, dunque, rigettato, avendo correttamente la Corte dei conti ritenuto sussistente la propria giurisdizione;

che non vi è luogo a provvedere sulle spese nel rapporto processuale con il Procuratore generale della Corte dei conti, stante la sua natura di parte solo in senso formale;

che poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, ricorrono i presupposti processuali per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, che ha aggiunto al testo unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, il comma 1-quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, se dovuto.

PQM

rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 19 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 22 novembre 2019

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