Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30526 del 19/12/2017


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Civile Ord. Sez. 2 Num. 30526 Anno 2017
Presidente: BIANCHINI BRUNO
Relatore: CRISCUOLO MAURO

ORDINANZA
sul ricorso 10528-2013 proposto da:
NERI

GABRIELE

NREGRL30C01A462Z,

elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA FULCERI PAULUCCI DE CALBOLI 5,
presso lo studio dell’avvocato FABRIZIO FILIPPUCCI, che lo
rappresenta e difende giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente contro

ROMA CAPITALE, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEL
TEMPIO DI GIOVE 21, presso lo studio dell’avvocato
GUGLIELMO FRIGENTI, che la rappresenta e difende
unitamente all’avvocato ANTONIO CIAVARELLA in virtù di
procura a margine del controricorso ;
– ricorrente incidentale –

Data pubblicazione: 19/12/2017

avverso la sentenza n. 219/2013 della CORTE D’APPELLO di
ROMA, depositata il 14/01/2013;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio
del 20/10/2017 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;
RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO

la sentenza del Tribunale di Roma n. 10578/2011 con la quale
era stata rigettata la sua domanda di usucapione di un terreno
sito in Roma e riportato in catasto al foglio 262, part.11e 183,
843, 842/p e 625/p, asseritamente posseduto sin dal 1978.
La Corte d’Appello con la sentenza n. 219 del 14 gennaio 2013
rigettava l’appello condannando il Neri al rimborso delle spese
di appello.
Al riguardo, dopo avere disatteso l’eccezione di improcedibilità
dell’appello, atteso che, a seguito di una prima notifica dell’atto
di appello, il Neri, non avendo tempestivamente iscritto a ruolo
la prima impugnazione, aveva notificato un secondo atto di
appello nel rispetto del termine breve di cui all’art. 325 c.p.c.,
riteneva che nel merito l’impugnazione non fosse meritevole di
accoglimento.
Il Tribunale aveva infatti rigettato la domanda sul presupposto
che l’attore fosse mero affittuario del terreno e che il terreno
fosse a sua volta insuscettibile di usucapione, in quanto facente
parte del demanio ovvero del patrimonio indisponibile
comunale.
In realtà tale ultima affermazione non poteva essere condivisa,
in quanto, a detta dell’appellante, il Comune, una volta preso
possesso del bene nel 1980, aveva concesso al Neri l’uso
precario solo di una costruzione soprastante il terreno, ma non
anche del terreno, il quale era stato invece da lui posseduto.

Ric. 2013 n. 10528 sez. 52 – ud. 20-10-2017 -2-

Gabriele Neri impugnava dinanzi alla Corte d’Appello di Roma

Peraltro non si trattava nemmeno di un bene facente parte del
patrimonio indisponibile, in quanto a seguito
dell’espropriazione, il Comune non aveva mai occupato il
terreno né aveva realizzato l’opera pubblica in vista del quale
era stato disposto l’esproprio, con la conseguenza che il bene

Secondo la Corte d’Appello, invece, era da ritenersi preliminare
ed assorbente la considerazione del Tribunale secondo cui non
era stato dimostrato in alcun modo dal Neri l’esercizio di un
possesso utile ad usucapire, affermazione che non era stata
nemmeno adeguatamente censurata dall’appellante, e che non
poteva essere contrastata con le richieste istruttorie formulate.
In particolare nel capitolato di prova non era mai stato indicato
il contenuto concreto degli atti compiuti, e le circostanze di cui
al secondo capo di prova evidenziavano un’attività volta a
mantenere il bene in condizioni da poter essere adibito alla
coltivazione, senza quindi il compimento di miglioramenti che
avessero accresciuto il valore del terreno, in quanto solo in tale
ipotesi vi sarebbe stato un indice inequivoco, anche nei
confronti dei terzi, di un possesso uti dominus.
In merito poi alla disposizione dirigenziale n. 479 del 30
novembre 1993, la sua produzione avvenuta solo in grado di
appello era da reputarsi tardiva e risultava altresì carente il
requisito della indispensabilità in quanto, ancorchè con la
stessa si attribuisse al Neri la facoltà di aprire un passo
carrabile, al più emergerebbe che l’attribuirsi la qualifica di
proprietario da parte dell’appellante risaliva al 18 gennaio
1991, allorquando era stata presentata la domanda, e cioè ad
una data che non consentiva di ravvisare il decorso di un
ventennio rispetto alla data di proposizione della domanda.

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doveva reputarsi appartenente al patrimonio disponibile.

Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso Neri Gabriele
sulla base di tre motivi.
Roma Capitale resiste con controricorso proponendo a sua
volta ricorso incidentale condizionato affidato a due motivi.
Con il primo motivo di ricorso si denuncia la insufficiente e

riferimento alla circostanza dell’esercizio uti dominus del
terreno da parte del Neri, in ordine all’inosservanza dell’onere
della prova circa la sussistenza dell’animus possidendi ai sensi
dell’art. 360 co. 1 n. 5 c.p.c.
Si sostiene che le considerazioni del giudice di appello circa
l’inidoneità delle condotte di cui al secondo capitolo di prova, e
precisamente il fatto che le condotte del ricorrente non
comproverebbero la realizzazione di miglioramenti, tali da
determinare un accrescimento di valore ostensibile in modo
inequivoco quale indice dell’agire uti dominus, sono
espressione di una motivazione contraddittoria.
Il motivo è inammissibile avendo la parte censurato la
sentenza sulla base della previgente formulazione di cui all’art.
360 co. 1 n. 5, trascurando la circostanza che la sentenza
impugnata è stata invece depositata in data 14 gennaio 2013,
e quindi in epoca successiva all’il settembre 2012, dovendo
quindi trovare applicazione la novellata previsione di cui alla
norma citata.
Il secondo motivo denunzia la violazione e falsa applicazione
dell’art. 42 Cost., e dell’art. 832 c.c., nonché delle norme di cui
agli artt. 1158 e ss. c.c. e 115 e 116 c.p.c.
Sempre in relazione all’affermazione dei giudici di merito
secondo cui non sarebbe stata offerta prova del possesso utile
ad usucapire, sul presupposto che le attività che la parte
intendeva provare avevano carattere esclusivamente

Ric. 2013 n. 10528 sez. 52 – ud. 20-10-2017 -4-

contraddittoria motivazione della sentenza impugnata con

conservativo, si segnala che le facoltà del proprietario possono
estrinsecarsi in maniera ampia, e quindi anche senza la
necessità che le stesse determinino un incremento di valore del
bene.
Inoltre mancava una specifica contestazione ad opera del

attività di cui al capitolo di prova, con la conseguenza che le
attività medesime dovevano ritenersi come ormai acquisite al
giudizio, in quanto fatti non contestati.
Anche tale motivo va disatteso.
In primo luogo il motivo difetta evidentemente del requisito di
specificità ex art. 366 co. 1 n. 6, in quanto a fronte di una
doglianza che investe un capitolo di prova non ammesso, che
tuttavia sembrerebbe ricollegarsi ad altri capitoli di prova, il
ricorrente omette di trascrivere il contenuto degli altri.
A ciò va aggiunto che, anche a prescindere dall’adesione alla
tesi pur affermata da questa Corte che, in ragione del principio
secondo cui (cfr. Cass. n. 18392/2006) ai fini della
configurabilità del possesso “ad usucapionem”, è necessaria la
sussistenza di un comportamento possessorio continuo e non
interrotto, inteso inequivocabilmente ad esercitare sulla cosa,
per tutto il tempo previsto dalla legge, un potere
corrispondente a quello del proprietario o del titolare di un
diritto reale, manifestato con il compimento di atti conformi
alla qualità ed alla destinazione del bene e tali da rivelare sullo
stesso, anche esternamente, una indiscussa e piena signoria,
in contrapposizione all’inerzia del titolare, non potendosi
reputare tale la sola coltivazione del fondo, in quanto, di per
sé, non esprime, in modo inequivocabile, l’intento del
coltivatore di possedere (cfr. Cass. n. 18215/2013), va rilevato
che il capitolo di prova, così come riportato in ricorso alle pagg.

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Comune di Roma circa il compimento da parte del Neri delle

10 ed 11, si limita a richiamare solo il compimento di
determinate attività materiali, senza tuttavia indicare a quale
epoca tali attività risalgano, circostanza questa oltre modo
rilevante ai fini dell’eventuale accoglimento dell’usucapione, e
quindi ai fini del giudizio di rilevanza della prova, con la

carattere di decisività della circostanza censurata.
Quanto invece alla violazione delle altre norme di carattere
processuale, occorre ricordare che per dedurre la violazione del
paradigma dell’art. 115 è necessario denunciare che il giudice
non abbia posto a fondamento della decisione le prove dedotte
dalle parti, cioè abbia giudicato in contraddizione con la
prescrizione della norma, il che significa che per realizzare la
violazione deve avere giudicato o contraddicendo
espressamente la regola di cui alla norma, cioè dichiarando di
non doverla osservare, o contraddicendola implicitamente, cioè
giudicando sulla base di prove non introdotte dalle parti e
disposte invece di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia
riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo
probatorio (fermo restando il dovere di considerare i fatti non
contestati e la possibilità di ricorrere al notorio, previsti dallo
stesso art. 115 c.p.c.), mentre detta violazione non si può
ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le
prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di
convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale
attività consentita dal paradigma dell’art. 116 c.p.c., che non a
caso è rubricato alla “valutazione delle prove” (Cass. n. 11892
del 2016; Cass. S.U. n. 16598/2016).
Con precipuo riferimento alla critica secondo cui le circostanze
di cui al capitolo di prova sarebbero state non contestate dalla
controparte, e ribadito che comunque anche se sussistente la

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conseguenza che la denunzia non appare idonea a segnalare il

non contestazione, mancherebbe il riferimento temporale
necessario per la valutazione circa la rilevanza dei fatti addotti,
vale ricordare che (cfr. Cass. n. 12840/2017) il motivo di
ricorso per cassazione con il quale si intenda denunciare
l’omessa considerazione, nella sentenza impugnata, della prova

una determinata circostanza, deve indicare specificamente il
contenuto della comparsa di risposta avversaria e degli ulteriori
atti difensivi, evidenziando in modo puntuale la genericità o
l’eventuale totale assenza di contestazioni sul punto (in termini
si veda ex multis anche Cass. n. 20637/2016, secondo cui ove
si deduca l’erronea applicazione del principio di non
contestazione non si può prescindere dalla trascrizione degli
atti sulla cui base il giudice di merito ha ritenuto integrata la
non contestazione che il ricorrente pretende di negare, atteso
che l’onere di specifica contestazione, ad opera della parte
costituita, presuppone, a monte, un’allegazione altrettanto
puntuale a carico della parte onerata della prova, sicchè, a
contrario, ove si assuma che il giudice abbia deciso
prescindendo dalla natura pacifica di determinati fatti in quanto
non contestati, occorra richiamare il contenuto puntuale degli
atti di parte in cui vi era la affermazione con carattere di
specificità dei fatti stessi).
A tale onere il Neri non ha adempiuto, avendo in maniera del
tutto generica riferito di un’assenza di contestazione ad opera
della difesa avversaria, non conformandosi quindi a quanto
prescritto dalla giurisprudenza di questa Corte.
Il terzo motivo lamenta poi l’insufficiente e contraddittoria
motivazione, nonché la violazione e falsa applicazione dell’art.
345 c.p.c. in ordine alla valutazione di inammissibilità della
prova documentale versata in atti in grado di appello, e

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derivante dalla assenza di contestazioni della controparte su

rappresentata dalla Determinazione Dirigenziale n. 479 del
30/11/1993.
Il motivo è infondato.
Ed, invero oltre a doversi ribadire l’inammissibilità della
censura effettuata con il richiamo alla vecchia formulazione

motivo pecca evidentemente del requisito di specificità di cui
all’art. 366 co. 1 n. 6 c.p.c., in quanto, pur dolendosi di una
valutazione dì inammissibilità della prova documentale, omette
di riprodurre in ricorso il contenuto del documento, anche al
fine di apprezzare l’effettivo carattere di indispensabilità della
prova, ai sensi della previsione di cui all’art. 345 c.p.c., nella
formulazione anteriore alla modifica di cui al d.l. n. 83/2012,
conv. nella legge n. 134/2012.
A ciò va altresì aggiunto che, ancorchè nella motivazione la
sentenza apparentemente mostri di optare per
un’interpretazione rigorosa della valutazione di indispensabilità,
a mente della quale dovrebbe ritenersi consentita la sola prova
che miri a contestare un’argomentazione del giudice di primo
grado che immuti il quadro al quale le parti avevano fatto
riferimento in primo grado, e sebbene tale opzione
interpretativa sia stata sconfessata dalle Sezioni Unite di
questa Corte nella recente sentenza n. 10970/2017, con la
quale si è affermato che costituisce prova nuova
indispensabile, ai sensi dell’art. 345, comma 3, c.p.c., nel testo
previgente rispetto alla novella di cui al d.l. n. 83 del 2012,
conv., con modif., dalla I. n. 134 del 2012, quella di per sé
idonea ad eliminare ogni possibile incertezza circa la
ricostruzione fattuale accolta dalla pronuncia gravata,
smentendola o confermandola senza lasciare margini di dubbio
oppure provando quel che era rimasto indimostrato o non

Ric. 2013 n. 10528 sez. 52 – ud. 20-10-2017 -8-

dell’art. 360 co. 1 n. 5, in ordine alla critica alla motivazione, il

sufficientemente provato, a prescindere dal rilievo che la parte
interessata sia incorsa, per propria negligenza o per altra
causa, nelle preclusioni istruttorie del primo grado, tuttavia le
argomentazioni di cui si è avvalso il giudice di appello per
fondare la valutazione di indispensabilità si prestano a

riportata delle Sezioni Unite.
A tal fine la sentenza gravata ha, infatti, sottolineato che la
Determina Dirigenziale de qua (della quale si ripete risulta del
tutto omessa la riproduzione del contenuto in ricorso), al più
attestava che il ricorrente si era qualificato come proprietario
nei confronti del Comune a far data dal 1991, sicchè, in
assenza di altre prove che documentassero un possesso
risalente ad una data utile per la maturazione del ventennio
alla data di introduzione del giudizio, il documento non avrebbe
comunque avuto il carattere di indispensabilità, sebbene inteso
come idoneità della prova a smentire la ricostruzione operata
dal giudice di primo grado, ovvero a provare ciò che invece era
rimasto privo di prova o non sufficientemente provato in primo
grado.
Il ricorso deve pertanto essere rigettato.
Al rigetto del ricorso principale consegue poi l’assorbimento del
ricorso incidentale, espressamente qualificato come
condizionato a pag. 20 del controricorso.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da
dispositivo che segue.
Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30
gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare
atto – ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre
2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio
annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013),

Ric. 2013 n. 10528 sez. 52 – ud. 20-10-2017 -9-

sorreggere tale conclusione anche aderendo alla tesi ora

che ha aggiunto il comma 1-quater dell’art. 13 del testo unico
di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – della sussistenza
dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello dovuto per la stessa impugnazione.

Rigetta il ricorso, dichiara assorbito il ricorso incidentale, e
condanna il ricorrente al rimborso delle spese del presente
giudizio che liquida in complessivi C 3.200,00, di cui C 200,00
per esborsi, oltre spese generali pari al 15 % sui compensi, ed
accessori di legge;
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002,
inserito dall’art. 1, co. 17, I. n. 228/12, dichiara la sussistenza
dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente del
contributo unificato dovuto per il ricorso principale a norma
dell’art. 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso nella camera di consiglio del 20 ottobre 2017

PQM

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