Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30523 del 22/11/2019

Cassazione civile sez. III, 22/11/2019, (ud. 17/10/2019, dep. 22/11/2019), n.30523

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – rel. Consigliere –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19110/2018 proposto da:

M.A., M.G., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA ALBERICO II 33, presso lo studio dell’avvocato ELIO

LUDINI, rappresentati e difesi dall’avvocato VITTORINO LO GIUDICE;

– ricorrente –

contro

G.G., MA.AN., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

DONATELLO, 67, presso lo studio dell’avvocato MASSIMO FAVARA,

rappresentati e difesi dagli avvocati ELENA CASSELLA, ENZO MATTIA;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 774/2018 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 04/04/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

17/10/2019 dal Consigliere Dott. ANTONELLA DI FLORIO.

Fatto

RITENUTO

che

1. I germani M.A. e G. ricorrono, affidandosi a sette motivi illustrati anche da memoria, per la cassazione della sentenza della Corte d’Appello di Catania che aveva confermato la pronuncia del Tribunale di Caltagirone con la quale era stata dichiarata prescritta l’azione proposta nei confronti della sorella Ma.An. e del cognato G.G..

Per ciò che qui interessa, la domanda era stata avanzata per ottenere il pagamento della quota loro spettante e corrispondente al valore di mercato dei terreni pervenuti iure hereditatis, in ragione della avvenuta alienazione di essi affidata ai convenuti che, tuttavia, avevano eseguito l’incarico in modo infedele e doloso, vendendoli a prezzo vile ad un’impresa di costruzione per poi riacquistare gli appartamenti che erano stati su di essi edificati.

2. Gli intimati hanno resistito.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. In relazione alla posizione di M.A., deve preliminarmente essere esaminata l’eccezione di inammissibilità del ricorso per difetto di procura speciale.

1.1. Si osserva, al riguardo, che nell’epigrafe dell’atto introduttivo del presente giudizio viene segnalato che il mandato speciale conferito da M.G. al difensore era stato apposto in calce al ricorso, mentre quello del fratello A. era rinvenibile in calce alla sentenza impugnata.

1.2. Su ciò si fonda il rilievo del controricorrente, certamente fondato in quanto questa Corte ha avuto modo di chiarire che “nel giudizio di cassazione, il nuovo testo dell’art. 83 c.p.c., secondo il quale la procura speciale può essere apposta a margine od in calce anche di atti diversi dal ricorso o dal controricorso, si applica esclusivamente ai giudizi instaurati in primo grado dopo la data di entrata in vigore della L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 45 (ovvero, il 4 luglio 2009), mentre per i procedimenti instaurati anteriormente a tale data, se la procura non viene rilasciata a margine od in calce al ricorso e al controricorso, si deve provvedere al suo conferimento mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata, come previsto dall’art. 83 c.p.c., comma 2” (cfr. Cass. 18323/2014).

1.3. La controversia in esame è iniziata nel 2008 (l’atto di citazione del giudizio di primo grado risulta notificato il 17.12.2008 (cfr. pag. 3 del ricorso) e ricorre, pertanto, proprio tale seconda ipotesi alla quale il principio affermato deve ritenersi applicabile.

1.4. Ma a ciò deve ulteriormente aggiungersi che, nel caso concreto, nella sentenza allegata al fascicolo depositato per il giudizio di legittimità ex art. 369 c.p.c., non è rinvenibile neanche la procura apposta, come indicato, in calce al provvedimento impugnato; nè essa è presente in altre forme.

1.5. Pertanto, il ricorso in relazione alla posizione di M.A. deve essere dichiarato in limine inammissibile.

2. Quanto al ricorrente M.G., si osserva quanto segue.

2.1. Con il primo ed il secondo motivo – che devono essere congiuntamente esaminati per la stretta connessione logica – il ricorrente deduce, ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4, “la violazione dell’art. 24 e 111 Cost. e degli artt. 82,83,84,101,112,113,115,116, 169, 182 e 345 c.p.c., nonchè dell’art. 2730 c.c. e dei principi in tema di rappresentanza processuale, principio del contraddittorio, diritto di difesa e non dispersione delle prove: reitera l’eccezione, già respinta dalla Corte territoriale, fondata su un denunciato conflitto di interessi fra la sorella ed il cognato che, nonostante una posizione sostanziale che rendeva incompatibile un mandato congiunto, avevano conferito l’incarico al medesimo difensore”.

2.2. Lamenta che il rigetto dell’eccezione sollevata era erroneo in quanto la Corte aveva omesso di considerare che la stessa M. aveva confessato, quale erede del padre, di non aver rinunziato ad agire contro il G. nonostante che la difesa fosse stata apprestata anche in relazione alla loro pretesa avente per oggetto l’infedele esecuzione del mandato per la gestione dei propri beni personali, tenuto conto della duplice domanda da loro proposta e cioè la prima rivolta alla sorella e relativa all’azione di riduzione e reitegrazione della loro quota di eredi legittimari, e la secondo riferita all’infedeltà del G. nell’espletamento del mandato ad amministrare i beni ereditari.

2.3. Deduce altresì (cpv. 1 bis, pag. 16 e 17 del ricorso) che la Corte aveva erroneamente valutato che il G. aveva firmato “per secondo” la procura a margine della memoria di costituzione e che ciò, in presenza del conflitto dedotto, rendeva la sua costituzione inesistente.

2.4. Entrambe le censure sono inammissibili.

Esse, infatti, sono formulate senza alcun riferimento specifico alle argomentazioni articolate nella motivazione della sentenza impugnata che ha respinto l’eccezione sulla scorta di due argomenti, uno principale e l’altro secondario, fondati su un percorso logico e costituzionalmente sufficiente (cfr. pag. 6 e 7 della motivazione) riferito all’esame delle emergenze processuali: la Corte, infatti, non ha riscontrato il conflitto di interessi denunciato, ma “una situazione diametralmente opposta”, fondando tale statuizione proprio sulla base della “memoria di costituzione” nonchè sul verbale di causa del 27.10.2011 (cfr. pag. 6 ultimo cpv. sentenza impugnata), ed affrontando la questione della “seconda firma” solo per “ragioni di completezza”, giacchè l’argomentazione principale del rigetto della censura riposava sulla valutazione sostanziale della posizione delle parti convenute.

2.5. Tanto premesso, la censura, sia pur articolata con riferimento al vizio di violazione di legge, propone la richiesta di rivalutazione di merito di questioni di fatto e di emergenze processuali già esaminate dai giudici d’appello, richiesta, dunque, preclusa in sede di legittimità (cfr. al riguardo Cass. 8758/2017 e Cass. 18721/2018).

3. Con il terzo ed quarto motivo, parzialmente sovrapponibili, il ricorrente deduce ancora la violazione dell’art. 111, 115, 116, per:

a. la sussistenza di un conflitto di interessi attuale e non superato fra la sorella ed il cognato;

b. la violazione del contraddittorio, del giusto processo, del diritto di difesa con perpetuazione del conflitto di interesse conseguente alla contumacia del G..

3.1. Entrambe le censure, in parte assorbite dalla motivazione sul primo motivo, sono inammissibili in quanto riferite all’ordinanza del 16.11.2011 nella quale la questione dedotta sarebbe stata superata attraverso la comparizione personale della M., volta ad ottenere una dichiarazione di rinuncia a qualsiasi azione nei confronti del marito, dichiarazione di cui i giudici d’appello non avrebbero tenuto conto traendone le conseguenze dai ricorrenti auspicate. Si deduce, al riguardo, la violazione del principio del contraddittorio.

3.3. La critica, tuttavia, è inammissibile per mancanza di autosufficienza in quanto non viene trascritto il contenuto dell’ordinanza sulla quale si fonda la censura, nè viene indicata la sede processuale dove essa può essere rinvenuta (cfr. Cass. SU 7161/2010; Cass. 27475/2017; Cass. 5478/2018; Cass. 6620/2018) e ciò non consente a questa Corte di apprezzare la dialettica processuale sulla quale si fonda il preteso vizio dedotto.

4. Con il quinto motivo, i ricorrenti lamentano la “violazione e falsa applicazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., artt. 112,115,116 c.p.c. e artt. 1713,2730 e 2935 c.c., per il mancato decorso del termine prescrizionale per le azioni nei confronti del mandatario infedele e che ha agito solo per finalità ed interessi propri ed errata determinazione della data di decorrenza della prescrizione. Resa spontanea del rendiconto con cui si ammette di aver agito con dolo e mala fede. Omessa pronuncia” (cfr. rubrica).

4.1. La censura è fondata sulle ammissioni del G. rese nella memoria del 2.3.2009 con la quale egli avrebbe affermato “contra se” di aver “utilizzato strumentalmente” le procure a lui conferite per finalità distorte ed illecite ovvero per impossessarsi dell’intero patrimonio immobiliare che avrebbe dovuto gestire: i ricorrenti assumono, al riguardo, che dall’ammissione della violazione dovrebbe desumersi il suo dolo che incide sul decorso del termine di prescrizione da ricondurre al completamento del mandato e non alla data di conferimento della procura.

4.2. Anche tale motivo è inammissibile.

Infatti vengono riportati soltanto stralci delle dichiarazioni del convenuto, odierno controricorrente, ma non è affatto stata indicata la esatta sede processuale in cui la memoria evocata può essere rinvenuta: si richiama, al riguardo, la giurisprudenza citata in relazione alla precedente censura.

5. Con il sesto motivo, si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 183 e 345 c.p.c., in merito alla tempestività e legittimità della produzione, anche a prova contraria, della memoria del 13.6.2001 a firma del legale del Comune di Caltagirone, del contratto di cessione volontaria del 3.3.2004 a firma del procuratore G. e dei documenti ad esso allegati ed atti connessi: viene conseguentemente dedotta la violazione degli artt. 112,115,116,345 c.p.c. e dell’art. 1713 c.c., in relazione alla esatta decorrenza del termine prescrizionale ai fini del risarcimento del danno e del giusto processo.

5.1. Anche tale censura è inammissibile perchè, oltre ad essere parzialmnete sovrapponibile ai motivi precedentemente esaminati, con essa non è stata colta la ratio decidendi della sentenza sul punto, consistente nell’affermazione che per la decorrenza della prescrizione doveva ritenersi decisiva la data di trascrizione dell’atto pubblico di vendita dei terreni nei registri immobiliari (23.12.1988), “il che consentiva agli appellanti di azionare le odierne pretese entro il decennio successivo”; ed, in subordine, la data di completamento dell’operazione asseritamente fraudolenta e cioè la trascrizione dell’acquisto, da parte del G., degli immobili (cfr. pag. 10 u.cpv. ed 11 della sentenza impugnata) costruiti sul terreno alienato (18.5.1998).

5.2. Su tale fondamentale statuizione – che si basa proprio sulla natura (pubblica) degli atti posti in essere – i ricorrenti non hanno proposto una specifica censura, limitandosi a contrappore la propria tesi difensiva (fondata sull'”occultamento di tali documenti” e su riferimenti privi della necessaria specificità ed autosufficienza in relazione al giudizio di legittimità) alla statuizione che ha dichiarato prescritto il loro diritto con un percorso argomentativo logico e non censurabile.

6. Con il settimo motivo, infine, i ricorrenti chiedono la riforma della decisione sulle spese e la condanna ex art. 96 c.p.c..

6.1. Anche tale motivo è inammissibile per violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 4, mancando del tutto uno specifico riferimento al vizio che si intendeva denunciare (cfr. Cass. 3248/2012; Cass. 6902/2015).

7. In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

8. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso proposto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte:

dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 7200,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori e rimborso spese generali nella misura di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso proposto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 19 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 22 novembre 2019

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