Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30521 del 22/11/2019

Cassazione civile sez. III, 22/11/2019, (ud. 15/10/2019, dep. 22/11/2019), n.30521

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere –

Dott. GIANNITI Pasquale – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 13074/2018 R.G. proposto da:

M.C., rappresentato e difeso dall’Avv. Alfredo Lovelli,

con domicilio eletto in Roma, viale Angelico, n. 38, presso lo

studio dell’Avv. Vincenzo Sinopoli;

– ricorrente –

contro

Provincia di Taranto, rappresentata e difesa dall’Avv. Mirella

Trisolini;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Lecce, sezione

distaccata di Taranto, n. 355/2017, depositata il 27 ottobre 2017;

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 15 ottobre 2019

dal Consigliere Emilio Iannello;

udito l’Avvocato Alfredo Lovelli;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

generale Dott. CARDINO Alberto, che ha concluso chiedendo

l’accoglimento del quarto motivo di ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 2256 del 2012 il Tribunale di Taranto, in parziale accoglimento della domanda proposta da M.C., condannò la Provincia di Taranto al pagamento in favore dell’attore dell’importo di Euro 9.843, oltre rivalutazione monetaria e interessi compensativi, a titolo di risarcimento dei danni causati al fondo di sua proprietà dallo straripamento del canale di bonifica denominato “(OMISSIS)”, in occasione delle abbondanti precipitazioni meteoriche del (OMISSIS).

Il risarcimento fu quantificato nella detta misura, pari a un terzo dell’effettivo ammontare dei danni stimato con accertamento tecnico preventivo, avendo il Tribunale ritenuto che, a cagionare tali danni, avessero concorso, in pari misura: a) da un lato, come dedotto dall’attore, la presenza sui luoghi di un manufatto in muratura trasversale rispetto al corso del canale di bonifica, realizzato per iniziativa dell’ente locale, tale da ostruire il deflusso delle acque in occasione di precipitazioni intense (ciò fondando la responsabilità dell’ente sia, ai sensi dell’art. 2051 c.c., quale custode del manufatto, sia ai sensi dell’art. 2043 c.c., quale autore dell’opera rivelatasi incongrua e generatrice di pregiudizi per i proprietari dei fondi latistanti); b) dall’altro: b1) sia il fatto colposo dello stesso danneggiato, per aver omesso di provvedere alla realizzazione di opere a difesa del proprio fondo, in violazione dell’obbligo in tal senso imposto dal R.D. 25 luglio 1904, n. 523, art. 12, comma 3, (Testo unico delle disposizioni di legge intorno alle opere idrauliche delle diverse categorie) e comunque con inosservanza del dovere di diligenza posto a carico del danneggiato dall’art. 1227 c.c., comma 2; b2) sia, ancora, il caso fortuito rappresentato dalla eccezionalità degli eventi atmosferici.

2. Con la sentenza in epigrafe la Corte d’appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, ha rigettato il gravame interposto dal M..

3. Avverso tale decisione M.C. propone ricorso per cassazione articolando cinque motivi, cui resiste la Provincia di Taranto, depositando controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione ed omessa ovvero erronea applicazione degli artt. 2051,2043 e 2056 c.c., e art. 1227 c.c., comma 1, e del R.D. 25 luglio 1904, n. 523, art. 10, e art. 12, comma 3, in relazione all’art. 7, comma 1, lett. c), del medesimo testo normativo.

Sostiene che il R.D. n. 523 del 1904, art. 12, comma 3, primo inciso, (a tenore del quale “sono ad esclusivo carico dei proprietari e possessori frontisti, le costruzioni delle opere di sola difesa dei loro beni contro i corsi d’acqua di qualsiasi natura non compresi nelle categorie precedenti”) ha un ambito di applicazione limitato alle opere idrauliche elencate nell’art. 10, comma 1, (opere della quinta categoria, identificate da detto articolo nelle “opere che provvedono specialmente alla difesa dell’abitato di città, di villaggi e di borgate contro le corrosioni di un corso d’acqua e contro le frane”).

Assume che, di conseguenza, la norma – avendo portata ed ambito di efficacia limitati alle opere idrauliche realizzate per la difesa dei centri abitati dalle erosioni e dalle frane – è assolutamente inapplicabile per le opere che attraversino o lambiscano fondi rustici esterni al perimetro dell’abitato (come quello di specie) e che non attengano alla prevenzione di fenomeni erosivi e franosi.

Afferma inoltre che il canale dal cui straripamento sono derivati i danni è un’opera idraulica che ricade nella terza categoria, alla quale -tra le altre – appartengono le opere finalizzate ad “impedire inondazioni, straripamenti, corrosioni, invasioni di ghiaie od altro materiale di alluvione, che possano recare rilevante danno al territorio o all’abitato di uno o più comuni, o producendo impaludamenti possano recar danno all’igiene od all’agricoltura” (art. 7, comma 1, lett. c, R.D. cit.).

Soggiunge che erroneamente la Corte territoriale, nell’interpretare diversamente l’ambito di applicabilità della norma, ha fatto leva sull’avverbio “specialmente” utilizzato dall’art. 10, R.D. cit. per la definizione delle opere idrauliche appartenenti alla quinta categoria.

2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione ed omessa ovvero erronea applicazione degli artt. 2051,2043 e 2056 c.c., e art. 1227 c.c., comma 1, anche in relazione a al R.D. n. 523 del 1904, art. 96, lett. F, per avere la Corte d’appello affermato la corresponsabilità del danneggiato per colpa generica (ravvisata nella mancata realizzazione di qualsivoglia sistema di protezione dei terreni di proprietà).

Lamenta che tale convincimento è viziato dalla omessa considerazione che:

– esso ricorrente, ai sensi del R.D. n. 523 del 1904, art. 96, lett. f), avrebbe dovuto realizzare un muro o una trincea ad una distanza non inferiore a dieci metri dall’argine del canale, così escludendo dalla propria attività di coltivazione una cospicua superficie;

– la trincea si sarebbe comunque rivelata incongrua ed inadeguata;

– essa peraltro avrebbe richiesto il previo conseguimento di provvedimenti autorizzativi e concessori che difficilmente sarebbero stati rilasciati e avrebbe compromesso, per le connesse esigenze costruttive, la destinazione agricola del fondo;

– avrebbe inoltre provocato l’allagamento dei fondi a monte, esponendo esso ricorrente a responsabilità nei confronti dei relativi proprietari.

3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, violazione ed omessa ovvero erronea applicazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione agli artt. 2051,2043,2056 e 2697 c.c., e art. 1227 c.c., comma 2.

Deduce che, nel sovrapporre le ipotesi di cui al primo e all’art. 1227 c.c., comma 2, e nell’affermare poi la corresponsabilità del danneggiato ai sensi del comma 2, la Corte d’appello è incorsa in ultrapetizione, in violazione dell’art. 112 c.p.c., dal momento che la questione relativa all’aggravamento del danno non poteva essere rilevata d’ufficio ma solo su eccezione di parte, nella specie mai opposta.

4. Con il quarto motivo il M. denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, nullità della sentenza per avere la Corte d’appello respinto il terzo motivo di gravame, con il quale si censurava la decisione di primo grado per avere ritenuto l’eccezionalità delle precipitazioni atmosferiche e attribuito ad esse rilievo concausale (rilevandosi che nessuna eccezione o deduzione sul punto era stata svolta dall’ente territoriale nè tantomeno era stato raccolto alcun elemento che provasse che le precipitazioni avessero avuto carattere di particolare intensità, di inusitata violenza e dunque di imprevedibilità ed eccezionalità).

Lamenta che tali rilievi critici sono stati rigettati dalla Corte d’appello con una motivazione scarna, laconica, meramente apparente, in violazione dei doveri decisori presidiati dall’art. 111 Cost., comma 6, dall’art. 132c.p.c., comma 2, n. 4, e dall’art. 118 disp. att. c.p.c..

5. Con il quinto motivo il ricorrente denuncia infine, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione ed omessa ovvero erronea applicazione dell’art. 2051 c.c., anche in relazione all’art. 2697 c.c..

Lamenta che la Corte d’appello, confermando sul punto la decisione di primo grado, ha attribuito rilievo concausale al fenomeno meteorico descritto, in mancanza di alcun riscontro oggettivo o statistico circa il suo carattere di eccezionalità, l’onere della cui prova gravava sull’ente convenuto.

6. Il terzo motivo, di rilievo preliminare, è inammissibile.

Secondo quanto pacificamente riferito, la sussistenza di un concorso di colpa del danneggiato era stata affermata già nella sentenza di primo grado.

Non risulta dalla sentenza d’appello, nè viene dedotto in ricorso, che il vizio di ultrapetizione – in cui dunque eventualmente sarebbe incorso (non la Corte d’appello, ma) il Tribunale per avere tale concorso rilevato in assenza di eccezione di parte – sia stato dedotto in appello, quale motivo di gravame.

E’ noto al riguardo che, secondo pacifico insegnamento, il vizio di ultrapetizione comporta una nullità relativa della pronuncia, che deve essere fatta valere attraverso gli ordinari mezzi d’impugnazione (art. 161 c.p.c.) e non può essere rilevata d’ufficio dal giudice del gravame, altrimenti la pronunzia di quest’ultimo (che rilevasse, senza specifica impugnazione, l’ultrapetizione) incorrerebbe nel medesimo vizio (v. Cass. 14/01/2016, n. 465; 07/05/2009, n. 10516; 04/09/2000, n. 11559).

Trattandosi dunque di questione – quella della nullità della sentenza di primo grado per aver pronunciato su eccezione (l’aggravamento del danno per colpa dello stesso danneggiato, ex art. 1227 c.c., comma 2) non rilevabile d’ufficio – che non risulta esaminata in appello, la stessa non può essere proposta quale motivo di ricorso per cassazione avverso la sentenza di secondo grado, ma piuttosto il ricorrente avrebbe in tale contesto dovuto: a) dedurre, nel rispetto dei connessi oneri di specificità ex art. 366 c.p.c., n. 6, di avere sul punto proposto specifico motivo di gravame; b) denunciare sul punto vizio di omessa pronuncia.

Tanto non è stato fatto, donde l’inammissibilità della diversa doglianza proposta.

7. Ciò premesso, ed occorrendo dunque procedere all’esame dei motivi, primo e secondo, che investono la ritenuta sussistenza di detto concorso di colpa, deve rilevarsi l’infondatezza del primo e l’inammissibilità del secondo.

La tesi censoria proposta con il primo motivo fa leva su una interpretazione della norma di cui al R.D. n. 523 del 1904, art. 12, comma 3, evidentemente erronea e fondata su una non attenta lettura del dato testuale.

La norma, come s’è detto, attribuisce in via esclusiva ai proprietari e possessori frontisti il carico delle “costruzione delle opere di sola difesa dei loro beni contro i corsi d’acqua di qualsiasi natura non compresi nelle categorie precedenti”.

La norma pone due soli presupposti (o limiti) per la sua operatività: a) deve trattarsi di opere di sola difesa dei beni dei singoli proprietari e possessori frontisti; b) i corsi d’acqua da cui le opere sono dirette ad opporre tale difesa non devono essere compresi nelle categorie precedenti.

La delimitazione posta dal secondo presupposto va dunque riferita -come chiaramente suggerisce la concordanza (al plurale maschile) della locuzione aggettivale “non compresi” – ai “corsi d’acqua”, non alle opere idrauliche (plurale femminile) (come sembra incomprensibilmente proporre il ricorrente, quasi postulando che si tratti di opere idrauliche private a difesa di opere idrauliche pubbliche).

Non saranno pertanto a carico dei proprietari o possessori frontisti:

a) le opere a difesa di beni o aree pubbliche;

b) le opere a difesa dei propri beni rispetto a corsi d’acqua che, per essere compresi nelle categorie (di opere idrauliche) precedenti (prima, seconda, terza e quarta categoria), sono di dimensioni e importanza maggiori e restano pertanto a carico dello Stato o degli enti territoriali o dei consorzi tra gli interessati (tali sono dunque da considerare: i “fiumi di confine”, i “canali artificiali navigabili patrimoniali”, rispetto ai quali le opere idrauliche sono considerate di prima categoria, art. 4; i “fiumi e loro confluenti”, cui sono riferite le opere di seconda e terza categoria descritte agli artt. 5 e 6; i “fiumi e torrenti; grandi colatori ed importanti corsi d’acqua”, cui sono riferiti le opere di quarta categoria descritte dall’art. 9).

Il residuo ambito di applicazione dell’art. 12, comma 3, R.D. cit., è dunque limitato dal riferimento a tutti i restanti corsi d’acqua di minore dimensione o importanza ed esso accomuna tanto le opere idrauliche di cui all’art. 10, quanto quelle di cui all’art. 12, comma 3, le quali sono entrambe riferite a corsi d’acqua di minore importanza e si differiscono le une dalle altre per essere, le prime (a carico dell’ente pubblico), realizzate a difesa dell’abitato di città, di villaggi e di borgate contro le corrosioni e contro le frane, le altre (a carico dei privati) alla sola difesa dei beni di proprietà o nel possesso di singoli frontisti.

L’assunto poi secondo cui si tratterebbe di opera idraulica da ricondurre alla terza categoria, oltre a porre evidentemente una questione di fatto estranea al tipo di vizio dedotto, non trova alcun riscontro negli accertamenti operati ed appare anzi contrastata dal rilievo pacifico, in fatto, che il corso d’acqua tracimato sia nella specie rappresentato da un mero canale di bonifica (non certo riconducibile ai corsi d’acqua considerati nella definizione delle opere di terza categoria: “fiumi e loro confluenti”).

8. Deriva, da quanto sopra detto, anche l’inammissibilità, per aspecificità, del secondo motivo, atteso che, indipendentemente dall’addebito di colpa generica, l’attribuzione di un concorso di colpa rimarrebbe comunque giustificato da quello di colpa specifica per violazione del predetto obbligo.

L’inammissibilità del motivo andrebbe comunque anche predicata in relazione al suo contenuto puramente fattuale, volto a contestare la valutazione di merito sulla base di considerazioni che non trovano alcun riscontro negli accertamenti operati in sentenza ed in parte comunque anche inconferenti (quale la dedotta necessità di ottenere permessi e autorizzazioni e la compromissione della destinazione agricola del fondo, posto che questa ovviamente non può comunque non tener conto anche dei rischi derivanti dall’essere, il fondo, contiguo al corso d’acqua).

9. Sono invece fondati il quarto e il quinto motivo di ricorso, congiuntamente esaminabili.

9.1. Appare al riguardo anzitutto assorbente il rilievo per cui, anche solo in astratto, la ritenuta sussistenza di una causa naturale concorrente alla determinazione del danno, ma non tale da escludere ogni rilievo eziologico del fatto lesivo attribuito all’ente territoriale, non avrebbe potuto comunque determinare la riduzione in misura corrispondente del risarcimento. Ciò per il principio di equivalenza causale (o della condicio sine qua non) desunto dagli artt. 40 e 41 c.p., il quale come noto presiede all’accertamento del nesso di causalità materiale (o di fatto) anche in ambito di responsabilità civile.

Vale in proposito rammentare il principio costantemente affermato nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui, “in materia di rapporto di causalità nella responsabilità civile, in base ai principi di cui agli artt. 40 e 41 c.p., qualora le condizioni ambientali od i fattori naturali che caratterizzano la realtà fisica su cui incide il comportamento imputabile dell’uomo siano sufficienti a determinare l’evento di danno indipendentemente dal comportamento medesimo, l’autore dell’azione o della omissione resta sollevato, per intero, da ogni responsabilità dell’evento, non avendo posto in essere alcun antecedente dotato in concreto di efficienza causale; qualora, invece, quelle condizioni non possano dar luogo, senza l’apporto umano, all’evento di danno, l’autore del comportamento imputabile è responsabile per intero di tutte le conseguenze da esso scaturenti secondo normalità, non potendo, in tal caso, operarsi una riduzione proporzionale in ragione della minore gravità della sua colpa, in quanto una comparazione del grado di incidenza eziologica di più cause concorrenti può instaurarsi soltanto tra una pluralità di comportamenti umani colpevoli, ma non tra una causa umana imputabile ed una concausa naturale non imputabile. Ne consegue che, a fronte di una sia pur minima incertezza sulla rilevanza di un eventuale contributo “con-causale” di un fattore naturale (quale che esso sia), non è ammesso, sul piano giuridico, affidarsi ad un ragionamento probatorio “semplificato”, tale da condurre ipso facto ad un frazionamento delle responsabilità in via equitativa, con relativo ridimensionamento del quantum risarcitorio” (Cass. 21/07/2011, n. 15991; v. anche, nello stesso senso, ex plurimis, Cass. 06/05/2015, n. 8995; 16/02/2001, n. 2335; 27/05/1995, n. 5924).

9.2. Mette conto comunque rammentare che, come questa Corte ha più volte chiarito, affinchè un evento meteorologico, anche di notevole intensità, possa assumere rilievo causale esclusivo, e dunque rilievo di caso fortuito ai sensi dell’art. 2051 c.c., occorre potergli riconoscere i caratteri dell’eccezionalità e della imprevedibilità (tra le altre, Cass. 21/01/1987, n. 522; 11/05/1991, n. 5267; 22/05/1998, n. 5133; 26/01/1999, n. 674; 09/03/2010, n. 5658; 17/12/2014, n. 26545; 24/09/2015, n. 18877; 24/03/2016, n. 5877; 28/07/2017, n. 18856; 01/02/2018, n. 2482), mentre quello della inevitabilità rimane intrinseco al fatto di essere evento atmosferico (cfr. Cass. n. 25837 del 2017).

Ne deriva che il carattere eccezionale di un fenomeno naturale, nel senso di una sua ricorrenza saltuaria anche se non frequente, non è, quindi sufficiente, di per sè solo, a configurare tale esimente, in quanto non ne esclude la prevedibilità in base alla comune esperienza (Cass. n. 5267 del 1991, richiamata anche da Cass. n. 26545 del 2014 e da Cass. n. 2482 del 2018). In tal senso, dunque, l’imprevedibilità, alla stregua di un’indagine ex ante e di stampo oggettivo in base al principio di regolarità causale, “va intesa come obiettiva inverosimiglianza dell’evento”, mentre l’eccezionalità è da “identificarsi come una sensibile deviazione (ed appunto eccezione) dalla frequenza statistica accettata come “normale””.

Ciò significa che, come pure è stato condivisibilmente rimarcato, “al fine di poter ascrivere le precipitazioni atmosferiche nell’anzidetta ipotesi di esclusione della responsabilità ai sensi dell’art. 2051 c.c., “la distinzione tra “forte temporale”, “nubifragio” o “calamità naturale” non rientra nel novero delle nozioni di comune esperienza ma – in relazione alla intensità ed eccezionalità (in senso statistico) del fenomeno – presuppone un giudizio da formulare soltanto sulla base di elementi di prova concreti e specifici e con riguardo al luogo ove da tali eventi sia derivato un evento dannoso” (Cass. n. 522 del 1987, cit.).

“In tale ottica, dunque, l’accertamento del “fortuito” rappresentato dall’evento naturale delle precipitazioni atmosferiche deve essere essenzialmente orientato da dati scientifici di stampo statistico (in particolare, i dati c.d. pluviometrici) riferiti al contesto specifico di localizzazione della res oggetto di custodia” (Cass. n. 2482 del 2018, cit.).

Nella specie un siffatto accertamento non risulta in alcun modo effettuato, mostrandosi, anzi, la sentenza, del tutto silente sul punto, donde, più (e prima ancora) che il vizio di carenza motivazionale dedotto con il quarto motivo, appare rilevabile, anche per tale profilo, l’errore di sussunzione della fattispecie concreta in quelle astratte richiamate.

10. In accoglimento pertanto del quarto e quinto motivo, nei termini testè precisati, la sentenza impugnata deve essere cassata.

Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2; a tal fine, essendo certa e incontroversa l’entità complessiva dei danni (pari ad Euro 29.529) e potendosi ritenere implicito nel riparto operato in sede di merito un giudizio di equivalenza degli apporti causali del fatto dannoso ascritto alla Provincia e del fatto colposo del danneggiato, può affermarsi che, una volta venuta meno, per le ragioni dette, la riduzione determinata dalla identificazione del terzo fattore causale, la responsabilità del danno va ascritta ad entrambe le parti in ragione di pari percentuali (50% per ciascuno).

La peculiarità delle questioni trattate e l’esito dei giudizi di merito giustificano l’integrale compensazione delle spese.

P.Q.M.

accoglie il quarto e il quinto motivo di ricorso, nei termini di cui in motivazione; rigetta il primo; dichiara inammissibili il secondo e il terzo; cassa la sentenza in relazione ai motivi accolti; decidendo nel merito, condanna la Provincia di Taranto al pagamento, in favore del ricorrente, dell’importo di Euro 14.764,50 (pari al 50% dell’ammontare complessivo dei danni), oltre rivalutazione e interessi secondo le decorrenze e con il saggio determinati nel giudizio di merito.

Compensa integralmente le spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, il 15 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 22 novembre 2019

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