Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30511 del 28/10/2021

Cassazione civile sez. lav., 28/10/2021, (ud. 14/01/2021, dep. 28/10/2021), n.30511

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – rel. Consigliere –

Dott. DE MARINIS Nicola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24859/2016 proposto da:

G.A., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato FABRIZIO RIGHINI;

– ricorrente –

contro

P.M., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato STEFANO VERSARI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 313/2016 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 11/04/2016 r.g.n. 23/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

14/01/2021 dal Consigliere Dott. MATILDE LORITO.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

G.A. adiva il Tribunale di Ravenna ed esponeva di aver stipulato con P.M., titolare della agenzia di assicurazioni Milano, un accordo per la cessione del portafoglio clienti relativo alla agenzia Aurora Assicurazioni – in favore della quale aveva svolto la propria attività di agente sino al 31/7/2008 – a fronte della instaurazione di una collaborazione che si sarebbe realizzata mediante l’erogazione di un compenso mensile di Euro 1.000,00 fino al raggiungimento del 70 anno di età e l’assunzione di due impiegate, fra le quali la figlia del G., dapprima con contratto di lavoro a termine e, quindi, con contratto di lavoro a tempo indeterminato.

Si doleva che il P. avesse disatteso il contenuto dell’accordo, non avendo assunto a tempo indeterminato la figlia A. e chiedeva condannarsi il predetto al pagamento dei “due anni residui di contributo pattuito”, al pagamento dell’importo corrispondente al portafoglio clienti trasferito, nonché al risarcimento del danno.

Il convenuto si costituiva in giudizio instando per la reiezione del ricorso.

Espletata attività istruttoria, il giudice adito accoglieva parzialmente le domande attoree.

Detta pronunzia veniva riformata dalla Corte distrettuale che respingeva integralmente il ricorso.

A fondamento del decisum il giudice del gravame, in estrema sintesi, osservava che non poteva ritenersi raggiunta in base agli elementi probatori raccolti, la prova della conclusione fra le parti, di un accordo avente il contenuto descritto da parte attrice.

La bozza di accordo scritto era priva di data e di firma; la prova testimoniale non era sufficiente a suffragare la tesi attorea giacché la teste B. era stata generica nel riferire il contesto entro il quale sarebbe maturato l’accordo, omettendo di precisare quali fossero state, in particolare, le riunioni nelle quali sarebbe maturata la decisione, né i relativi partecipanti. La teste G., dal canto suo, palesava un evidente difetto di attendibilità in ragione del legame familiare che la univa al ricorrente e dell’interesse proprio alla affermazione della esistenza in proprio favore, di un obbligo di assunzione a carico del convenuto.

In ogni caso la prova testimoniale era volta non a confermare il contenuto dell’accordo, ma l’esistenza di patti aggiunti e stipulati contemporaneamente allo stesso, in contrasto coi dettami di cui all’art. 2722 c.c..

D’altronde, l’assenza di prova della stipula di un accordo inter partes nei sensi accreditati dal G., era desumibile anche dalla “assenza di qualsiasi recriminazione da parte del predetto quando, alla scadenza di un anno, il contratto a tempo determinato della figlia” non era stato convertito in contratto a tempo indeterminato, ma solo prorogato, “essendosi già in quella occasione, in teoria, consumata la violazione del preteso accordo”.

Avverso tale decisione G.A. interpone ricorso per cassazione affidato a tre motivi.

Resiste con controricorso la parte intimata.

Entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Deve preliminarmente verificarsi la infondatezza della eccezione di improcedibilità sollevata dal controricorrente con riferimento alla violazione del termine di deposito del ricorso ex art. 369 c.p.c..

Occorre premettere che risulta dagli atti che il ricorso è stato depositato in data 28/10/2016; va altresì rammentato che il termine di venti giorni dall’ultima notificazione si calcola dalla data di ricezione dell’atto notificato alla parte contro cui il ricorso è proposto (vedi Cass. 7/5/2014 n. 9861).

Nella specie, il ricorso è stato ricevuto dal destinatario il 10 ottobre 2016 sicché il deposito del ricorso perfezionato in data 28 ottobre 2016 deve ritenersi tempestivo.

2. Con il primo motivo si denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 2722 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si stigmatizza la sentenza impugnata per aver ritenuto non ammissibili le testimonianze su cui era basato il pronunciamento del primo giudice, in quanto volte non a confermare il contenuto dell’accordo ma a dimostrare, in contrasto con la previsione di cui alla citata norma codicistica, l’esistenza di patti aggiunti al predetto accordo e stipulati contemporaneamente ad esso.

Si osserva che le testimonianze erano state correttamente ammesse dal giudice di primo grado in quanto attinenti alla prova della conclusione dell’accordo fra le parti (o più precisamente, di un accordo in fieri, non concluso per iscritto) ed il contenuto dello stesso, non in contrasto con alcun atto scritto.

3. Il secondo motivo prospetta violazione o falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si deduce che, diversamente da quanto argomentato dal giudice del gravame, le dichiarazioni rese dalla teste B. erano specifiche, concernevano la previsione di un compenso nonché l’assunzione di due impiegate prima a tempo determinato e poi a tempo indeterminato, come appreso direttamente nel corso di alcune riunioni ed anche secondo quanto riferito dalle parti.

Si addebita alla Corte di merito di aver travisato il contenuto di detta deposizione, che verteva essenzialmente sulla assunzione di due impiegate secondo le modalità temporali enunciate e consentiva di ritenere suffragata la tesi attorea.

4. Con la terza critica si denuncia omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio discusso fra le parti.

Ci si duole che la Corte distrettuale abbia del tutto trascurato di considerare la trascrizione della conversazione intervenuta fra il P. e la B. in data 3/11/2014 – prodotta dai procuratori di entrambe le parti confermativa delle circostanze allegate in atto introduttivo del giudizio in ordine alla conclusione dell’accordo fra le parti ed al suo contenuto.

5. I motivi, che possono congiuntamente trattarsi per presupporre la soluzione di questioni giuridiche connesse, vanno disattesi perché sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione e falsa applicazione di legge e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, degradano in realtà versò l’inammissibile richiesta a questa Corte di una rivalutazione dei fatti storici da cui è originata l’azione (cfr. Cass., Sez. Un., 17/12/2019, n. 33373).

In breve, la complessiva censura traligna dal modello legale di denuncia di un vizio riconducibile all’art. 360 c.p.c., perché pone a suo presupposto una ricostruzione del merito degli accadimenti difforme rispetto a quella delineata nella pronuncia impugnata.

In particolare, con riferimento alla seconda critica, è bene rammentare che una censura relativa alla violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., non può avere ad oggetto l’erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo il fatto che questi abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti o disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, ovvero abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, o abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (cfr., fra le più recenti, Cass. nn. 1229 del 2019, 4699 e 26769 del 2018, 27000 del 2016), restando conseguentemente escluso che il vizio possa concretarsi nella censura di apprezzamenti di fatto difformi da quelli propugnati da una delle parti (Cass. n. 18665 del 2017) o, in più in generale, nella denuncia di un cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali, non essendo tale vizio inquadrabile né nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., n. 5, né in quello del precedente n. 4, che, per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4, attribuisce rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuti in violazione di legge costituzionalmente rilevante (Cass. n. 11892 del 2016).

Quale corollario degli enunciati principi, discende inammissibilità del secondo motivo ed, a fortiori, del terzo, concernente la violazione art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, che è denunciabile solo quando l’anomalia motivazionale si tramuti in violazione di legge costituzionalmente rilevante, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, in quanto attiene all’esistenza della motivazione in sé, l’omesso esame di elementi istruttori denunciato in questa sede, non integrando di per sé vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa – come nella specie – sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.

6. Con riferimento alla prima censura, considerato che il cuore della decisione era integrato dalla esegesi interpretazione delle acquisizioni probatorie ritenute dal Collegio di merito inidonee a fondare il diritto azionato da parte ricorrente, appare evidente che la statuizione relativa alla ritenuta non corretta ammissione delle prove da parte del giudice di prima istanza per la assunta violazione dell’art. 2722 c.c., integri elemento che non abbia influito sul dispositivo della decisione, sorretta dalla diversa “ratio decidendi” cui si è fatto richiamo.

Da ciò discende, secondo i consolidati dicta di questa Corte, l’inammissibilità del motivo per difetto di interesse (vedi ex aliis, Cass. 10/4/2018 n. 8755, Cass. 18/12/2017 n. 30354).

Conclusivamente, alla stregua delle superiori argomentazioni, il ricorso non si palesa meritevole di accoglimento.

La regolazione delle spese inerenti al presente giudizio, segue il regime della soccombenza, nella misura in dispositivo liquidata.

Trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013 sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 5.250,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15%.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 14 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 28 ottobre 2021

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