Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3051 del 06/02/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 06/02/2017, (ud. 10/11/2016, dep.06/02/2017),  n. 3051

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. VENUTI Pietro – Consigliere –

Dott. CURCIO Laura – Consigliere –

Dott. BRONZINI Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. DELLA TORRE Paolo Negri – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 15557-2014 proposto da:

C.F.P. C.F. (OMISSIS) elettivamente domiciliato

in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 22, presso lo studio dell’avvocato

ANDREA RICCIO, rappresentato e difeso dall’avvocato INNOCENZO

MILITERNI, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

V.A. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

SARDEGNA 50, presso lo studio dell’avvocato EMANUELE MERILLI,

rappresentata e difesa dall’avvocato SERGIO TURRA’, giusta delega in

atti;

– controricorrente –

e contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE C.E. (OMISSIS), in

persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso

l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli

Avvocati ANTONINO SGROI, SCIPLINO ESTER ADA, LELIO MARITATO,

GIUSEPPE MATANO, EMANUELE DE ROSE, CARLA D’ALOISIO, giusta delega in

calce alla copia notificata del ricorso;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 2647/2013 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 10/06/2013 R.G.N. 7528/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/11/2016 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE BRONZINI;

udito l’Avvocato DEL VECCHIO ANDREA per delega

verbale Avvocato MILITERNI DOMENICO;

udito l’Avvocato MERILLI EMANUELE per delega verbale Avvocato TURRA’

SERGIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CERONI FRANCESCA che ha concluso per inammissibilitàin subordine

rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 22.10.2008 la Corte di appello di Napoli rigettava la domanda proposta da C.F.P. di accertamento della sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato con V.A. dal 1972 al 31.7.2003 e di condanna della detta V. al pagamento della complessiva somma di Euro 80.000,00 oltre accessori per differenze retributive e TFR per l’attività di vigilanza, custodia ed altre mansioni accessorie agli stabili, svolta dal ricorrente. La Corte di appello di Napoli con sentenza del 10.6.2013 rigettava l’appello del C.; la Corte territoriale, rammentato il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità in ordine agli elementi che connotano il rapporto di subordinazione, ricostruiva le risultanze della prova per testi e rilevava che era emerso che appellante era presente in villa (a lui pretesamente affidata) in maniera discontinua e saltuaria e che veniva solo chiamato alla bisogna telefonicamente. Persino la disponibilità delle chiavi non era risultata esclusiva, nè il pagamento di bollette o il disbrigo di altre commissioni presso uffici pubblici era idonea a dimostrare gli elementi tipici della subordinazione; l’appellante risultava peraltro retribuito forfettariamente a cadenza annuale per tali saltuarie attività.

Per la cassazione di tale decisione propone ricorso il C. con due motivi corredati da memoria; resiste controparte con controricorso corredato con memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo proposto si allega la violazione dell’art. 2094 c.c. ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3. Non erano stati considerati gli indici sussidiari per l’accertamento della natura subordinata del rapporto. La continuità della prestazione non doveva essere confusa con la quotidianità di questa ove sia risultato una messa a diposizione del lavoratore.

Il motivo appare infondato. Secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte la qualificazione del rapporto (come di lavoro autonomo o subordinato) spetta al Giudice di merito purchè sia congruamente motivata e, ovviamente, risponda ai criteri qualificatori offerti dalla giurisprudenza di legittimità. Nel caso in esame la Corte di appello (confermando quanto già ritenuto dal Giudice di prime cure) ha accertato che il ricorrente ha svolto prestazioni del tutto saltuarie e discontinue per la parte intimata che sono state compensate annualmente forfettariamente. La continuità della prestazione costituisce indubbiamente un indice privilegiato tra quelli pertinenti per la riconducibilità della prestazione allo schema di cui all’art. 2094 c.c.; peraltro emerge dalla sentenza impugnata che non sussisteva un orario “obbligatorio” e, tenuto conto dell’attività svolta, neppure un’eterodirezione della prestazione visto che il ricorrente svolgeva piccole commissioni per la V. o piccoli interventi nella villa di questa. Pertanto il giudizio espresso dalla Corte territoriale appare congruo, con puntali riferimenti agli elementi emersi in sede istruttoria e coerente con la giurisprudenza di questa Corte. Per contro le censure appaiono in realtà dirette ad una “rivalutazione” del fatto inammissibile in questa sede, soprattutto dopo la modifica dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (applicabile ratione temporis).

Con il secondo motivo si allega la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2099 c.c., dell’art. 36 Cost., comma 1 e del CCN:. La Corte di appello aveva errato nel non riconoscere le chieste differenze retributive in quanto non si trattava di lavoro autonomo.

Il motivo appare assorbito dal rigetto del primo in quanto, per quanto già evidenziato, il rapporto di cui è processo non può essere ricondotto allo schema di cui all’art. 2094 c.c..

Si deve quindi rigettare il ricorso con condanna delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come al dispositivo. in favore della parte costituita. Nulla nei confronti dell’INPS.

La Corte ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente in via principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

PQM

La Corte:

rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità nei confronti della parte costituita che si liquidano in Euro 100,00 per esborsi, nonchè in Euro 4.000,00 per compensi oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori come per legge.

La Corte ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente in via principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 10 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 6 febbraio 2017

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