Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30509 del 30/12/2011

Cassazione civile sez. I, 30/12/2011, (ud. 01/12/2011, dep. 30/12/2011), n.30509

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITRONE Ugo – Presidente –

Dott. FORTE Fabrizio – rel. Consigliere –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

Avv. D.G.A., difensore di se stesso, elettivamente

domiciliato in Roma, alla Via Laura Mantegazza n. 24, presso il cav.

Luigi Gardin;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del ministro in carica, ex lege

domiciliato in Roma, alla Via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato e da questo rappresentato e difeso;

– controricorrente –

avverso il decreto n. 119/09 del ruolo della Corte di appello di

Campobasso, del 13 ottobre – 5 novembre 2009. Udita, all’udienza del

1 dicembre 2011, la relazione del cons. dr. Fabrizio Forte e sentito

l’avv. D.G.A. e il P.G. Dott. Immacolata Zeno, che ha

concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

L’avv. D.G.A., con ricorso del 15 gennaio 2009 alla Corte d’appello di Campobasso, ha chiesto di condannare il Ministero della Giustizia a corrispondergli Euro 12.000,00, a titolo di equa riparazione ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, per i danni patrimoniali e non patrimoniali subiti per l’irragionevole durata del processo iniziato nei suoi confronti davanti al Tribunale di Pescara con opposizione a decreto ingiuntivo della s.a.s. Piermoda, respinta in primo grado da sentenza del 26 marzo 2002, riformata in appello con la revoca della ingiunzione in una decisione del dicembre 2003, cassata senza rinvio dalla Corte di Cassazione, con sentenza del 26 maggio 2008 n. 13587.

Pur avendo rilevato che il processo presupposto era durato 16 anni, la Corte d’appello, su eccezione del Ministero della giustizia, ha accertato la tardività della domanda proposta oltre sei mesi dopo che la sentenza conclusiva del processo presupposto era divenuta definitiva e la connessa decadenza dall’azione ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 4 dichiarando decaduto il D.G. dal diritto all’indennizzo, per il decorso del semestre di cui a tale norma anche tenendo conto nel computo dei termini feriali (si cita Cass. n. 5895/09) ed ha compensato le spese per la “registrabile oggettiva lungaggine del processo presupposto”. Per la cassazione di tale decreto l’avv. D.G. propone ricorso di sette motivi, illustrato da memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c., cui resiste il Ministero della giustizia con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1. Il primo motivo di ricorso denuncia violazione dell’art. 324 c.p.c., in rapporto all’art. 391 bis c.p.c. e alla L. n. 89 del 2 001, art. 4 e falsa applicazione degli artt. 111 Cost., art. 2 c.p.c., art. 132 c.p.c., n. 4 e dell’art. 118 disp. att. c.p.c. dovendo negarsi che il processo presupposto fosse “definitivamente concluso”, a seguito della sentenza di cassazione senza rinvio della decisione di appello n. 13587 del 26 maggio 2008, impugnata per revocazione ai sensi dell’art. 391 bis c.p.c. dall’avversario in quel processo del ricorrente, con atto notificato il 14 luglio 2009.

Poichè la revocazione per errore di fatto di cui all’art. 295 c.p.c., n. 4 e all’art. 391 bis c.p.c. costituisce mezzo di impugnazione ordinaria, deve negarsi la definitività della sentenza di primo grado, tornata efficace con la cassazione senza rinvio di quella d’appello che l’aveva riformata, a decorrere dal 26 maggio 2008, con conseguente inoperatività del termine semestrale della L. n. 89 del 2001, art. 4.

1.2. Il secondo motivo d’impugnazione denuncia violazione della L. n. 89 del 2001, art. 4 in relazione dell’art. 324 c.p.c., e degli artt. 6, 35, e artt. 1, e 46 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, ratificata in Italia con la L. n. 848 del 1955, oltre che dell’art. 132 c.p.c., n. 4 e dell’art. 118 disp. att. c.p.c., nonchè dello stesso art. 324 c.p.c., in rapporto all’art. 391 bis c.p.c. e disapplicazione degli artt. 3 e 24 Cost..

Se il giudice italiano deve interpretare la L. n. 89 del 2001 in modo conforme alla Convenzione europea più volte citata e al diritto vivente, costituito dalla lettura delle norme sopranazionali data dalla Corte di Strasburgo, è errata una lettura dell’art. 4 della legge citata del tipo di quella data dalla Corte d’appello di Campobasso. Il decreto oggetto di ricorso non tiene conto della impugnabilità per revocazione ai sensi dell’art. 391 bis c.p.c. della sentenza di cassazione e considera come definitivo il processo ancora pendente, pur essendo in corso il giudizio sulla istanza di revocazione.

1.3. Si denuncia in terzo luogo la carenza motivazionale del decreto su punti decisivi della causa, prospettati dalle parti o rilevabili di ufficio, per essersi ritenuto concluso il processo dalla citata sentenza della corte di Cassazione del 2008, per cui il ricorso per equo indennizzo è stato erroneamente considerato tardivo, mentre il processo presupposto era ancora pendente ed era possibile proporre l’istanza di equa riparazione in ogni momento.

1.4. Il quarto motivo di ricorso censura il decreto per violazione degli art. 6, e artt. 1, 13, 34, ultima parte, artt. 35 e 41 della Convenzione europea diritti dell’uomo e della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 1 e della L. n. 848 del 1955 di ratifica dell’accordo sopranazionale che precede, oltre che degli artt. 111 e 117 Cost..

La questione si propone per il principio di effettività della tutela, da garantire in ogni ordinamento interno, che sarebbe solo apparente nel caso si precludesse la domanda di equa riparazione, ancora in pendenza del processo presupposto in base alle norme processuali interne vigenti. In quanto l’art. 35 della Convenzione prevede che un termine di decadenza sia opponibile alla parte solo a decorrere dalla data in cui la sentenza che chiude il processo presupposto sia divenuta definitiva, solo il carattere immodificabile, irrevocabile o non riformabile di essa, determina il decorso del termine di decadenza. Nel caso si è ritenuto erroneamente esservi detta definitività, pur essendo la sentenza di cassazione ancora soggetta a istanza di revocazione.

1.5. Si censura poi il decreto per omessa o insufficiente motivazione, avendo da un canto rilevato la “registrabile oggettiva lungaggine del processo presupposto” e quindi la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo per poi impedirne l’esercizio, anche se la sentenza conclusiva di esso era ancora soggetta a revocazione.

1.6. Con il sesto motivo di ricorso si lamenta infine la violazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 1, e art. 4 e 6, e artt. 1, 13, 34, 35 e 41 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, oltre che degli artt. 111 e 117 Cost. L’avere escluso il rilievo della comunicazione del deposito della sentenza di cassazione, come dies a quo del termine semestrale di decadenza del diritto di agire per l’equo indennizzo da irragionevole durata, ha determinato una indebita limitazione dell’effettività della tutela della posizione soggettiva del ricorrente.

1.7. Analoghe carenze motivazionali sono infine dedotte in relazione alla mancata considerazione della comunicazione della sentenza di cassazione e all’omesso rilievo della pubblicazione di essa, come termine iniziale dei sei mesi previsti per chiedere l’equa riparazione, non consentendo al ricorrente di essere posto in condizione di conoscere il momento iniziale del termine di decadenza di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 4.

Ciascuno dei sette motivi del ricorso è chiuso da rituale quesito di diritto ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c. e il controricorrente replica ad ognuno di essi.

2.1. Il ricorso è in parte inammissibile, in quanto denuncia una questione che dal decreto non risulta prospettata dal ricorrente, dopo l’eccezione del Ministero di tardività della domanda presentata successivamente alla scadenza del termine semestrale della L. n. 89 del 2001, art. 4 come dedotto incontestatamente nel controricorso, mentre è infondato in rapporto alle questioni in esso proposte relative alla decorrenza del termine che precede, riprese anche negli altri sei motivi successivi. Inoltre l’art. 391 bis c.p.c., nel prevedere la revocazione delle sentenze di cassazione per errore di fatto, concede il termine “perentorio” di un anno dalla pubblicazione della sentenza di cassazione, che nel caso risulterebbe comunque violato con l’istanza relativa, notificata solo il 14 luglio 2009, essendosi la sentenza da revocare pubblicata il 26 maggio 2008 e comunque dovendo il termine semestrale per la proposizione del ricorso di equa riparazione decorrere dalla “data di emissione d’una decisione divenuta non impugnabile con un mezzo ordinario di impugnazione” (Cass. 22 agosto 2011 n. 17446). Invero la richiesta di revocazione di una sentenza di cassazione senza rinvio della pronuncia di appello, la quale determina la definitività della decisione di primo grado se riformata con l’impugnazione di merito e il passaggio in giudicato di essa, in quanto potenzialmente idonea a far venir meno detta definitività, costituisce un mezzo d’impugnazione straordinaria, non rilevante sul decorso del termine semestrale, a differenza di quanto accade per la revocazione ordinaria che incide su decisioni non divenute definitive (cfr. con riferimento alle sentenze della Corte dei conti, Cass. 2 luglio 2010 n. 15778). Con il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado per effetto della sentenza di cassazione senza rinvio, il processo presupposto diviene definitivo e dalla data in cui l’evento si verifica (nel caso il 26 maggio 2008) nessun rilievo può avere la domanda di revocazione che peraltro nel caso appare ictu oculi tardiva, in quanto prospettata oltre un anno dopo la sentenza di cassazione che vorrebbe far venir meno per un preteso errore di fatto. La definitività della sentenza di merito che ha chiuso il processo presupposto, conseguita per la pronuncia di cassazione che ha cassato senza rinvio quella di appello che era stata di riforma della decisione del Tribunale divenuta conclusiva del giudizio presupposto, comporta che l’istanza di revocazione costituisce nel caso l’inizio di un nuovo processo con durata autonoma rispetto all’altro, la cui durata eccessiva è dedotta come causa petendi della domanda di riparazione (così la cit. Cass. 17446/2011). La novità della questione proposta e la insussistenza della pendenza del processo presupposto, da ritenere definito anche nella pendenza del termine annuale per la revocazione straordinaria della sentenza di cassazione comunque già scaduto alla data indicata dal ricorrente del ricorso per revocazione (14 luglio 2009), determina la inammissibilità del primo motivo di ricorso che prospetta per la prima volta in sede di legittimità una questione che si sarebbe dovuta proporre nel merito.

In ogni caso il ricorso è infondato denunciando la violazione di norme che non vi è stata, dovendosi ritenere definito il processo presupposto non solo se concluso da sentenza di rigetto in cassazione, come desume il D.G., ma anche ogni volta che tale effetto consegua per una delle pronunce di merito a causa dell’accoglimento del ricorso per cassazione, come accaduto in questo caso. La revocazione ai sensi dell’art. 391 bis c.p.c., in quanto può incidere su una sentenza già passata in giudicato, costituisce un caso di impugnazione straordinaria, che non consente di ritenere pendente il giudizio presupposto, con infondatezza chiara dei motivi dal secondo al quarto oltre che del sesto che chiede una interpretazione delle norme interne e sopranazionali in contrasto con la loro lettera. Infine il quinto e settimo motivo di ricorso sono inammissibili, chiedendo solo di sostituire le corrette e logiche valutazioni del decreto impugnato sulla conclusione del processo presupposto, con quelle del ricorrente, senza chiarire le ragioni di tale richiesta.

Comunque, la rilevata inammissibilità del primo motivo di ricorso per la novità della questione con esso proposta per la prima volta in cassazione, circostanza non contestata neppure con la memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c. dal ricorrente, e la infondatezza dei motivi che deducono insussistenti violazioni di legge, per la natura straordinaria della revocazione per errore di fatto di una sentenza di cassazione del tipo di quella descritta, assorbono ogni questione proposta con la impugnazione per cassazione dal ricorrente.

3. Il ricorso deve quindi complessivamente rigettarsi e il ricorrente dovrà rimborsare al controricorrente le spese del presente giudizio, nella misura che si liquida in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rimborsare al controricorrente le spese del presente giudizio di cassazione che liquida in Euro 800,00 (ottocento/00), oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 1A sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 1 dicembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 30 dicembre 2011

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