Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30509 del 22/11/2019

Cassazione civile sez. III, 22/11/2019, (ud. 20/09/2019, dep. 22/11/2019), n.30509

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 3181-2018 proposto da:

ATRADIUS CREDITO Y CAUCION S.A. DE SEGUROS Y REASEGUROS, in persona

del Dirigente Procuratore Dott. D.G., elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA VITTORIA 10, presso lo studio dell’avvocato

GIANCARLO CASTAGNI, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

COMUNE MILANO, in persona del Sindaco pro tempore S.G.,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA POLIBIO 15, presso lo studio

dell’avvocato GIUSEPPE LEPORE, che lo rappresenta e difende

unitamente agli avvocati ALESSANDRA MONTAGNANI AMENDOLEA, PAOLA

COZZI, ANTONELLO MANDARANO, MARIA LODOVICA BOGNETTI, ANNA MARIA

PAVIN, ELENA MARIA FERRADINI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4673/2017 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 09/11/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

20/09/2019 dal Consigliere Dott. ENZO VINCENTI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PEPE ALESSANDRO, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato GIANCARLO CASTAGNI;

udito l’Avvocato GIUSEPPE LEPORE.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – La Atradius Credito y Caucion S.A. de Seguros y Reaseguros (di seguito, Atradius), convenendo in giudizio il Comune di Milano, si oppose, per ottenerne l’annullamento, all’ingiunzione amministrativa ammontante ad Euro 3.693.697,48, emessa in base all’escussione della polizza fideiussoria n. (OMISSIS), da essa società prestata in favore dell’ente convenuto, a garanzia dell’adempimento delle obbligazioni assunte, con la stipula della convenzione per l’attuazione del piano integrato di intervento (P.I.I.) “(OMISSIS)”, dalle società Città Verde s.r.l. ed Edilmarelli s.r.l., proprietarie delle aree e soggetti attuatori di detto P.I.I., e a fronte dell’inadempimento delle stesse società garantite dell’obbligo convenzionale di realizzazione delle opere di sistemazione a verde (parco).

1.1. – L’adito Tribunale di Milano, nel contraddittorio con il Comune convenuto, rigettò l’opposizione all’ingiunzione.

2. – Avverso tale pronuncia proponeva gravame Atradius, che la Corte di appello di Milano, con sentenza resa pubblica il 9 novembre 2017, respingeva, qualificando la prestata polizza fideiussoria in termini di contratto autonomo di garanzia, nonchè escludendo la fondatezza sia dell’exceptio doli generalis, che dell’eccezione di liberazione del fideiussore ex art. 1956 c.c., sollevate dalla compagnia assicuratrice appellante.

3. – Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Milano ricorre Atradius, sulla base di cinque motivi, avverso i quali resiste con controricorso il Comune di Milano.

Entrambe le parti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- Con il primo motivo è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione o falsa applicazione dell’art. 97 Cost., commi 2 e 3, artt. 112 e 132 c.p.c. (L. n. 2248 del 1865 all. E – D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 63), R.D. n. 639 del 1910, art. 2,L. n. 241 del 1990, art. 6,L. n. 212 del 2000, art. 7,D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 107 e art. 71 dello Statuto Comunale, nonchè dedotto omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.

La Corte territoriale avrebbe erroneamente affermato, con motivazione peraltro “solo apparente e generica”, la competenza dell’Arch. Z., dirigente del settore pianificazione tematica e valorizzazione delle aree comunali (peraltro, senza che in atti vi fosse il provvedimento di nomina dirigenziale) ad emettere l’ingiunzione di pagamento ai sensi del R.D. n. 639 del 1910, non rientrando nei compiti di gestione delle “procedure sanzionatorie relative all’attività edilizia” (attribuiti a quel settore) l’attività di riscossione”, assegnata alla direzione centrale entrate patrimoniali, cui era invece da ascrivere detta specifica competenza.

1.1. – Il motivo è inammissibile.

Secondo il costante orientamento di questa Corte (tra le altre, Cass., 23 luglio 2010, n. 17367) l’interpretazione di un atto amministrativo a contenuto non normativo, risolvendosi nell’accertamento della volontà della P.A., ovverosia di una realtà fenomenica e obiettiva, è riservata al giudice di merito ed è incensurabile in sede di legittimità se sorretta da motivazione adeguata (e nel regime di cui all’attuale formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, – applicabile ratione temporis al presente giudizio di legittimità – rispondente al c.d. “minimo costituzionale”: Cass., S.U., 7 aprile 2014, n. 8053), nonchè immune dalla violazione di quelle norme – in particolare, l’art. 1362 c.c., comma 2 e artt. 1363 e 1366 c.c. – che, dettate per l’interpretazione dei contratti, sono applicabili anche agli atti amministrativi, tenendo peraltro conto della natura dei medesimi, nonchè dell’esigenza della certezza dei rapporti e del buon andamento della pubblica amministrazione.

In tale prospettiva, la parte che denunzi in cassazione l’erronea interpretazione, in sede di merito, di un atto amministrativo, è tenuta, a pena di inammissibilità del ricorso, a indicare quali canoni o criteri ermeneutici siano stati violati; e, in mancanza, l’individuazione della volontà dell’ente pubblico è censurabile non già quando le ragioni addotte a sostegno della decisione siano diverse da quelle della parte, bensì allorchè esse si rivelino inficiate giuridicamente ovvero integrino (nel regime attuale di cui alla norma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) il vizio di omesso esame di un fatto decisivo e discusso tra le parti.

Nella specie, il giudice del merito era tenuto ad interpretare, anzitutto (ossia, prima ancora che lo Statuto comunale e la ripartizione delle competenze dirigenziali ivi stabilita), l’ingiunzione ex R.D. n. 639 del 1910, ossia l’atto amministrativo contenente l’ordine di pagare una determinata somma (Cass., 28 settembre 2015, n. 19166) su cui operare la corretta individuazione dell’organo abilitato alla relativa emissione (come, del resto, reputa la stessa parte ricorrente nella memoria ex art. 378 c.p.c.: cfr. pp. 1 e 2). E tale attività ermeneutica è stata compiuta dalla Corte territoriale, che, con motivazione affatto intelligibile e, quindi, rispettosa del “minimo costituzionale”, ha ascritto il provvedimento di ingiunzione alla competenza del dirigente del settore di pianificazione tematica e valorizzazione delle aree comunali, avendo esso anche compiti di gestione delle procedure sanzionatorie e di vigilanza sull’attività edilizia (come indicati nelle determinazioni dell’Ente concernenti il riparto di competenze tra i propri organi amministrativi), ritenuti, quindi, afferenti alla portata dello specifico titolo di pagamento, che ha inteso, altresì, distinguere dal successivo atto di pignoramento, ricondotto, quest’ultimo, ai compiti di riscossione coattiva delle entrate, affidati a diverso dirigente.

A fronte di siffatto apparato argomentativo, la società ricorrente non veicola censure che riguardino la violazione delle regole ermeneutiche, nè individua un fatto, storico-naturalistico, principale o secondario, il cui esame sia stato omesso (insistendo sull’apparenza della motivazione, quale vizio, come detto, non ravvisabile nella specie), là dove, peraltro (e, invero, ancor prima), neppure fornisce idonea contezza del tenore completo ed effettivo dell’ingiunzione di pagamento (e della relativa specifica localizzazione processuale ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, deducendo soltanto che è stata depositata in primo grado: cfr. p. 7 del ricorso; peraltro, nella memoria ex art. 378 c.p.c. si dà effettivo rilievo alla portata contenutistica dell’ingiunzione), indugiando su presunti errores in iudicando che non si palesano pertinenti rispetto alla ratio decidendi della sentenza impugnata.

Generica, e come tale inammissibile, è poi la censura che attiene all’assenza in atti del provvedimento di nomina a dirigente dell’arch. Z., non avendo il ricorrente – a tacer d’altro (in mancanza di dimostrazione di detta asserita carenza, non superabile con la memoria ex art. 378 c.p.c., avente funzione solo illustrativa e non già emendativa e/o integrativa delle originarie censure: tra le tante, Cass., 25 febbraio 2015, n. 3780) – neppure dedotto di aver proposto la questione in sede di appello, ciò che si rendeva necessario in ragione del fatto che la sentenza impugnata, nel resecare puntualmente le ragioni del gravame, non fa cenno di una critica in tal senso.

2.- Con il secondo mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione o falsa applicazione degli artt. 1223,1362,1366,1325,1936,1938,1941 e 1945 c.c., per aver erroneamente la Corte territoriale qualificato la polizza fideiussoria quale contratto autonomo di garanzia – escludendone così l’accessorietà rispetto al rapporto garantito – e, per l’effetto, negato la possibilità per il garante di opporre eccezioni derivanti dal rapporto del beneficiario.

Ad avviso del ricorrente e contrariamente a quanto affermato dal giudice di merito: a) il beneficiario non potrebbe essere reputato estraneo rispetto al contratto di garanzia in quanto, rispondendo questo allo schema del contratto a favore del terzo, viene stipulato proprio a suo vantaggio; b) non potrebbe predicarsi la c.d. “affinità col deposito cauzionale”, da ipotizzarsi unicamente, semmai, con la sola “funzione strettamente indennitaria” della polizza fideiussoria; c) sarebbe erronea la ritenuta esclusione, ad opera della volontà pattizia, dell’accessorietà della polizza rispetto al rapporto garantito, dovendosi “proporre un’ermeneutica (circolare) più coerente al testo – nella sua complessità – ed alla causa del contratto; comunque divergente rispetto a quella (semplificatrice) ravvisata dalla Corte territoriale” e tale da evitare uno “scollegamento” dei rapporti giuridici implicati “sicuramente contenuto (rectius: compatibile con la fideiussione) e comunque non ablativo”.

2.1.- Il motivo è in parte infondato e in parte inammissibile.

2.2. – Alla luce della giurisprudenza di questa Corte, consolidatasi a partire dall’arresto di cui alla sentenza delle Sezioni Unite n. 3947 del 18 febbraio 2010 (orientamento da ultimo confermato da Cass., 19 febbraio 2019, n. 4717 e dal quale il Collegio non intende discostarsi, non essendo state esibite contrarie ragioni decisive), “il contratto autonomo di garanzia (cd. Garantievertrag), espressione dell’autonomia negoziale ex art. 1322 c.c., ha la funzione di tenere indenne il creditore dalle conseguenze del mancato adempimento della prestazione gravante sul debitore principale, che può riguardare anche un fare infungibile (qual è l’obbligazione dell’appaltatore), contrariamente al contratto del fideiussore, il quale garantisce l’adempimento della medesima obbligazione principale altrui (attesa l’identità tra prestazione del debitore principale e prestazione dovuta dal garante); inoltre, la causa concreta del contratto autonomo è quella di trasferire da un soggetto ad un altro il rischio economico connesso alla mancata esecuzione di una prestazione contrattuale, sia essa dipesa da inadempimento colpevole oppure no, mentre con la fideiussione, nella quale solamente ricorre l’elemento dell’accessorietà, è tutelato l’interesse all’esatto adempimento della medesima prestazione principale. Ne deriva che, mentre il fideiussore è un “vicario” del debitore, l’obbligazione del garante autonomo si pone in via del tutto autonoma rispetto all’obbligo primario di prestazione, essendo qualitativamente diversa da quella garantita, perchè non necessariamente sovrapponibile ad essa e non rivolta all’adempimento del debito principale, bensì ad indennizzare il creditore insoddisfatto mediante il tempestivo versamento di una somma di denaro predeterminata, sostitutiva della mancata o inesatta prestazione del debitore”.

Posta tale funzione – là dove, sul piano della struttura negoziale, viene in rilievo lo schema del contratto a favore di terzo, il quale non è parte nè formale nè sostanziale del rapporto – il contratto autonomo di garanzia, dunque, si caratterizza rispetto alla fideiussione per l’assenza dell’accessorietà della garanzia, derivante dall’esclusione della facoltà del garante di opporre al creditore le eccezioni spettanti al debitore principale, in deroga all’art. 1945 c.c., dalla conseguente preclusione del debitore a chiedere che il garante opponga al creditore garantito le eccezioni nascenti dal rapporto principale, nonchè dalla proponibilità di tali eccezioni al garante successivamente al pagamento effettuato da quest’ultimo (tra le altre, Cass., 31 luglio 2015, n. 16213), là dove l’accessorietà della garanzia fideiussoria postula, invece, che il garante ha l’onere di preavvisare il debitore principale della richiesta di pagamento del creditore, ai sensi dell’art. 1952 c.c., comma 2, all’evidente scopo di porre il debitore in condizione di opporsi al pagamento, qualora esistano eccezioni da far valere nei confronti del creditore (Cass., 17 giugno 2013, n. 15108).

Peraltro, se l’inserimento in un contratto di fideiussione di una clausola di pagamento “a prima richiesta e senza eccezioni” vale di per sè a qualificare il negozio come contratto autonomo di garanzia, in quanto incompatibile con il principio di accessorietà che caratterizza il contratto di fideiussione, salvo quando vi sia un’evidente discrasia rispetto all’intero contenuto della convenzione negoziale (così la citata Cass., S.U., n. 3947/2010), tuttavia, in presenza di elementi – quali quelli in precedenza indicati – che conducano comunque ad una qualificazione del negozio in termini di garanzia autonoma, l’assenza di formule come quella anzidetta non è elemento decisivo in senso contrario.

L’accertamento relativo alla distinzione, in concreto, tra contratto di fideiussione e contratto autonomo di garanzia è, in ogni caso, questione riservata al giudice di merito ed è censurabile in sede di legittimità esclusivamente per violazione dei canoni legali di ermeneutica (tra le tante, Cass., 15 febbraio 2011, n. 3678) ovvero, nel regime vigente (applicabile ratione temporis nel presente giudizio di legittimità), per omesso esame di fatto, storico-naturalistico, decisivo e discusso tra le parti, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in presenza di motivazione rispondente al c.d. “minimo costituzionale” (Cass., S.U., 7 aprile 2014, n. 8053).

2.3. – Nella specie, il giudice di appello, nel giungere a qualificare la polizza fideiussoria per cui è causa come contratto autonomo di garanzia, ha evidenziato che in essa si prevedeva l’obbligo di pagamento a carico del beneficiario entro il termine di 30 giorni dalla richiesta, l’esclusione del beneficiario dalla preventiva escussione del contraente e l’obbligo in capo al fideiussore di pagare l’importo garantito dopo un semplice avviso del contraente”; inoltre, la natura di garanzia autonoma della polizza si evinceva, alla stregua di un’interpretazione sistematica del contratto, dalla clausola (n. 5) in forza della quale le garantite non potevano opporre al garante le eccezioni che avrebbero potuto opporre al Comune beneficiario, terzo rispetto all’accordo negoziale, avvalorando tale patto “l’indipendenza del rapporto di garanzia rispetto al rapporto principale garantito”.

Ciò nel contesto – armonico rispetto al quadro funzionale del negozio di cd. Garantievertrag, sopra rammentato – di un rapporto nascente da una convenzione tra un Comune e soggetti privati tenuti, in base alla convenzione stessa, ad eseguire opere di urbanizzazione e, tra queste, la realizzazione di un parco, area a verde pubblico, là dove l’escussione della polizza è conseguita all’inadempimento degli obblighi assunti dai privati, venendone, dunque, valorizzata la funzione indennitaria.

Dunque, la Corte territoriale non ha fatto mal governo delle regole di esegesi negoziale, interpretando la polizza fideiussoria a partire dal testo contrattuale, ma ricercando, tramite esso, la comune intenzione dei contraenti, senza quindi arrestarsi al significato letterale ed avendo di mira la disciplina di riferimento – quella della fideiussione – rispetto alla quale, in linea con i principi di diritto in precedenza rammentati, ha reputato che le polizze anzidette derogassero.

Tale esito – che, come tale, in quanto risultato dell’attività ermeneutica del giudice di merito, non è suscettibile di sindacato in questa sede (cfr., tra le altre, Cass., 10 febbraio 2015, n. 2465) – è esibito in forza di una motivazione intelligibile e plausibile nel suo sviluppo (più che rispettosa, dunque, del c.d. “minimo costituzionale”), che non è scalfita dalle censure di parte ricorrente (come anche ribadite nella successiva memoria quanto alla posizione del beneficiario del contratto di garanzia), le quali, oltre a non evidenziare (nei termini e modi indicati dalla citata Cass., S.U., n. 8053/2014) fatti il cui esame sarebbe stato omesso dal giudice di appello, propongono una lettura del regolamento negoziale contrapposta a quella fornita dalla Corte territoriale, dolendosi, inammissibilmente, che non sia stata privilegiata in luogo di quella, plausibile, accolta dal giudice di merito (tra le molte, Cass., 28 novembre 2017, n. 28319).

3.- Con il terzo mezzo è prospettata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione o falsa applicazione degli artt. 1173,1218,1223,1225,1322,1325,1375,1938,1945 e 2697 c.c., nonchè, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.

La società ricorrente lamenta, per un verso, la limitazione, operata dalla Corte territoriale, della responsabilità gravante sul Comune alla sola ipotesi del dolo – la cui sussistenza è stata poi esclusa dalla stessa Corte -, dovendosi, invece, configurare una responsabilità contrattuale dell’Ente convenuto per violazione delle regole di condotta imposte dalla buona fede in funzione eteroregolatrice del contratto o, comunque, per abuso del diritto; per altro verso, sostiene che, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di merito, non sarebbe ravvisabile alcuna predeterminazione convenzionale della somma garantita e che, in ogni caso, ciò non comporterebbe automaticamente l’irrilevanza della somma effettivamente impiegata dal Comune per la realizzazione delle opere, poichè l’importo della garanzia, nel caso di “fideiussione per obbligazioni future o condizionali”, rappresenta solo un limite (massimo), là dove il Comune ha appaltato i lavori per la realizzazione del parco per un importo di Euro 1.762.813,90, inferiore all’indennizzo ricavato dal garante a seguito dell’escussione pari ad Euro 3.693.697,48.

4.- Con il quarto mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione o falsa applicazione degli artt. 1375,1405,1406,1407,1408,1941,1955 e 2740 c.c., nonchè, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame su un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, per aver il giudice di appello errato nell’affermare: a) l’irrilevanza della condotta omissiva del Comune sul presupposto – indimostrato ed irrilevante – che l’atto integrativo non aveva comportato alcuna novazione, nè alcuno aumento del rischio; b) l’estraneità del Comune rispetto alla cessione dei terreni edificabili “alle Cooperative” e alla società Sirio “per non averne ricevuto formale comunicazione… nè prestato assenso”, senza tener conto dei permessi edificatori e della certificazione di agibilità rilasciati dallo stesso Comune alle cessionarie; c) l’ultrattività della garanzia, per essere gli oneri di urbanizzazione ancora gravanti sulle società cedenti, mancando di considerare che: la cessione è efficace dal momento dell’accettazione (art. 1407 c.c.) gli oneri di urbanizzazione devono essere eseguiti dai proprietari dei terreni – l’art. 1955 c.c. prevede l’estinzione della garanzia, anche autonoma, quando, per fatto del creditore (nella specie, l’inadempimento dell’obbligo di informazione o i comportamenti contrari a buona fede), non può esservi surrogazione nei diritti e, nella specie, ciò si sarebbe verificato con la “riduzione dell’area del patrimonio originariamente esposto alla garanzia a favore della Compagnai assicuratrice (per effetto dell’atto integrativo del 2009)”.

4.1. – I motivi, da scrutinarsi congiuntamente in quanto tra loro connessi, sono in parte infondati e in parte inammissibili.

4.2. – Secondo orientamento costante di questa Corte (cfr. Cass., 3 febbraio 1999, n. 917, Cass., 21 aprile 1999, n. 3964, Cass., 1 ottobre 1999, n. 10864, Cass., 17 marzo 2006, n. 5997, Cass., 14 dicembre 2007, 26262, Cass., 24 aprile 2008, n. 10652, Cass., 12 dicembre 2008, n. 29215, Cass., 5 aprile 2012, n. 5526, Cass., 12 settembre 2012, n. 15216), l’exceptio doli generalis seu praesentis, da intendersi come limite funzionale all’operatività della garanzia autonoma, rappresentato dall’abuso del diritto da parte del beneficiario, che si verifica qualora la richiesta appaia fraudolenta e con esclusione della buona fede del beneficiario, richiede, come presupposto di fondatezza dell’eccezione stessa, che sia evidente, certo e incontestabile il venir meno del debito garantito per pregressa estinzione dell’obbligazione principale o per altra causa, ovvero l’inesistenza del rapporto garantito.

L’abusività della richiesta della garanzia, ai fini dell’accoglimento dell’exceptio doli, deve risultare prima facie (cfr. Cass. n. 3552/98) o comunque da una prova c.d. liquida, cioè di pronta soluzione, che il garante è tenuto a fornire; con l’ulteriore precisazione che, in materia di contratto autonomo di garanzia, non possono essere addotte a fondamento della exceptio doli circostanze fattuali idonee a costituire oggetto di eccezione di merito opponibile nel rapporto principale dal debitore garantito al creditore e beneficiario della garanzia, in quanto elemento fondamentale di tale rapporto è la inopponibilità da parte del garante di eccezioni di merito proprie del rapporto principale.

4.3. – La Corte di appello, assumendo che l’exceptio doli generalis trova “fondamento nell’esecuzione del contratto secondo buona fede e correttezza”, l’ha ritenuta infondata (escludendo, quindi, che il garante potesse reputarsi liberato dall’obbligazione ex art. 1955 c.c. ovvero ex art. 1941 c.c.) in quanto: a) la stipulazione dell’atto integrativo del 2009, quale circostanza taciuta dal Comune ad Atradius, non aveva comportato alcuna novazione delle obbligazioni principali, andando ad incidere essenzialmente sulla rideterminazione planivolumetrica del progetto iniziale, nè vi era stato un maggior rischio in capo al garante, avendo il Comune riconosciuto alle società garantite la proprietà di terreni pubblici, bilanciando la perdita immobiliare; b) non sussisteva un comportamento doloso in capo all’Ente Comunale circa l’intervenuta cessione delle aree su cui doveva essere realizzato il parco, giacchè non era stata rispettata la modalità procedurale prevista dalla clausola n. 27.2 della convenzione, la quale prevedeva la doverosa comunicazione all’Ente della cessione, alla quale sarebbe dovutàseguire lo specifico assenso, che, a sua volta, non poteva essere desunto semplicemente dai titoli edilizi intestati alle cooperative e, in ogni caso, sulla base della convenzione gli oneri di urbanizzazione sarebbero continuati a gravare sulle società cedenti; c) in forza dell’autonomia del contratto di garanzia e della predeterminazione contrattuale tra le parti della somma pattuita, risultavano irrilevanti le questioni inerenti alla somma effettivamente utilizzata dal Comune, là dove, peraltro, la minor somma da esso impiegata, di Euro 830.000,00, non corrispondeva al costo totale delle opere di urbanizzazione, primaria e secondaria.

4.4. – Tale motivazione si palesa, in iure, rispondente ai principi innanzi ricordati, là dove, poi, la mancanza del carattere fraudolento od abusivo della richiesta di pagamento ha costituito oggetto di un accertamento di fatto, riservato al giudice del merito, che si sottrae alle critiche di parte ricorrente, le quali non solo non evidenziano (alla stregua dell’insegnamento di cui alla citata Cass., S.U., n. 8053/2014), fatti storici-naturalistici il cui esame sarebbe stato omesso dalla Corte territoriale (non essendo, quindi, a tal fine rilevante l’omesso esame di risultanze probatorie o delle difese svolte), ma sono orientate, altresì, a contrapporsi all’apprezzamento della quaestio facti operata dallo stesso giudice di appello. Apprezzamento che muove, essenzialmente, dall’interpretazione della portata della Convenzione tra Comune e soggetti attuatori del P.I.I. e del relativo accordo integrativo, in rapporto poi alla polizza fideiussoria prestata da Atradius, incentrandosi le censure di cui al ricorso (e quanto illustrato con la successiva memoria, ove non inammissibile per essere anche integrativa e/o emendativa di dette censure) sugli esiti di tale presupposta interpretazione, senza peraltro confrontarsi effettivamente con i contenuti rilevanti di detti atti, di cui non si dà contezza specifica, anche per ciò che attiene alla doglianza che investe l’accertamento della Corte territoriale sulla predeterminazione convenzionale della garanzia, limitandosi parte ricorrente a riportare uno stralcio decontestualizzato e circoscritto della polizza fideiussoria.

5.- Con il quinto mezzo è dedotta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione o falsa applicazione degli artt. 1227 e 1956 c.c., per aver la Corte territoriale erroneamente ritenuto “privo di fondamento giuridico e probatorio” il motivo di appello volto ad affermare la sussistenza dell’intervenuta liberazione del garante, nonostante il Comune avesse continuato a concedere credito agli attuatori o, comunque, omesso di compiere, diligentemente, atti idonei ad evitare l’insorgere del danno.

5.1. – Il motivo è infondato, prima ancora che inammissibile (là dove, in particolare, aggredisce il piano della valutazione probatoria, senza, peraltro, dedurre un vizio ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5).

La qualificazione, operata dal giudice di appello, della polizza fideiussoria prestata da Atradius come contratto autonomo di garanzia (contemplante, tra l’altro, come innanzi evidenziato, la facoltà per beneficiario di esigere dal garante il pagamento immediato a semplice richiesta), comporta, in ragione della deroga alla disciplina della fideiussione, l’inapplicabilità delle tipiche eccezioni relative a siffatto tipo negoziale, tra cui quella fondata sull’art. 1956 c.c., consentendo l’applicabilità delle sole eccezioni relative al rapporto garante/beneficiario (Cass., 10 maggio 2002, n. 6728, Cass., 1 giugno 2004, n. 10486, Cass., 14 febbraio 2007, n. 3257, Cass., S.U., n. 3947/2010, cit.).

6. – Il ricorso va, dunque, rigettato e parte ricorrente condannata al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, come liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 19.200,00, per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del citato art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza civile della Corte suprema di Cassazione, il 20 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 22 novembre 2019

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