Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30507 del 23/11/2018

Cassazione civile sez. I, 23/11/2018, (ud. 26/09/2018, dep. 23/11/2018), n.30507

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – rel. Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4651/2013 proposto da:

Caorle Riviera s.r.l., incorporante Pine Wood Immobiliare s.r.l., in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in Roma, Viale Carso n. 61, presso lo studio

dell’avvocato Manzi Luigi, che la rappresenta e difende unitamente

all’avvocato Pellegrini Vincenzo, giusta procura a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

Fallimento N.L., in persona del curatore rag.

P.B.L., elettivamente domiciliato in Roma, Via Barnaba Tortolini

n. 13, presso lo studio dell’avvocato Verino Mario Ettore, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato Visconti Maurizio,

giusta procura in calce al controricorso e ricorso incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

Caorle Riviera s.r.l., incorporante Pine Wood Immobiliare s.r.l., in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in Roma, Viale Carso n. 61, presso lo studio

dell’avvocato Manzi Luigi, che la rappresenta e difende unitamente

all’avvocato Pellegrini Vincenzo, giusta procura a margine del

controricorso al ricorso incidentale;

– controricorrente al ricorso incidentale –

contro

N.L.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1973/2012 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 18/09/2012;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

26/09/2018 dal Cons. Dott. NAZZICONE LOREDANA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza del 18 settembre 2012, la Corte d’appello di Venezia ha confermato la decisione impugnata, la quale, in accoglimento della domanda proposta dal Fallimento di N.L., ha annullato la rinuncia all’azione L. Fall., ex art. 67, comma 1, operata dallo stesso fallimento, e revocato il contratto di compravendita di un fondo, concluso in data 18 giugno 1999 tra il fallito e la Pine Wood Immobiliare s.r.l., per sproporzione del prezzo pagato al venditore rispetto al valore del bene.

Avverso questa sentenza propone ricorso per cassazione la Carole Riviera s.r.l., incorporante la Pine Wood Immobiliare s.r.l..

Resiste con controricorso l’intimata procedura, proponendo ricorso incidentale per un motivo, illustrato da memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Il motivi del ricorso principale possono essere riassunti come segue:

1) violazione e falsa applicazione della L. Fall., art. 67, comma 1, L.R. n. 61 del 1985, artt. 18 e 76, L. n. 1159 del 1942 e successive modifiche, artt. 5.3 e 5.4 delle N.T.A. del Piano regolatore generale del Comune vigenti al 18 giugno 1999, perchè la sentenza impugnata non ha correttamente determinato il valore dell’immobile e, quindi, il requisito della sproporzione tra bene compravenduto e corrispettivo: ciò, in quanto la normativa dell’epoca consentiva unicamente il mantenimento della volumetria esistente per i terreni edificati, onde solo sulla base di questo dato avrebbe dovuto essere calcolato il valore del bene, dovendosi concludere per la perfetta congruità del prezzo corrisposto;

2) omesso esame di fatto decisivo, per avere il giudice d’appello affermato che, prima dell’approvazione della c.d. variante, la quale aveva permesso l’edificabilità anche dei suoli già costruiti, la disciplina urbanistica presentava profili di dubbia interpretazione;

3) violazione e falsa applicazione degli artt. 2727 e 2729 c.c., non sussistendo indici gravi, precisi e concordanti che gli operatori avessero avuto avvisaglia circa l’adeguamento della normativa urbanistica predetto;

4) violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c. e nullità della sentenza, oltre ad omesso esame di fatto decisivo, perchè il giudice si è fondato sulle valutazioni della c.t.u., però priva di motivazione e contenente una stima arbitraria del valore del bene;

5) violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 c.c. e segg. e L. Fall., art. 35, in quanto il fallimento sottoscrisse un accordo transattivo rinunciando ad esercitare l’azione revocatoria per cui è causa, previa valida autorizzazione del tribunale: in particolare, ripercorso l’iter dell’istanza di autorizzazione e di questa, sino alla transazione, la ricorrente lamenta la violazione dei canoni ermeneutici, in particolare delle norme sulla interpretazione letterale e secondo la volontà delle parti, della interpretazione di buona fede e di quella conservativa;

6) violazione e falsa applicazione dell’art. 210 c.p.c. e art. 94 att. c.p.c., per non avere accolto l’istanza di esibizione, la quale riguardava gli atti prodromici alla transazione, e per averla ritenuta genericamente formulata, mentre essa si riferiva specificamente a tali atti ed ai loro allegati;

7) violazione e falsa applicazione degli artt. 1428,1429 e 1969 c.c., perchè nessun errore di diritto è ravvisabile da parte del curatore, nè la questione attinente alla determinazione della volumetria edificabile dalla data del rogito era questione incontroversa: trattandosi dell’azione revocatoria per sproporzione, invero, detta questione era per definizione controversa, come esplicitato dalle premesse stesse della transazione; si tratta inoltre di errore non essenziale e non riconoscibile, in quanto l’errore sul valore economico non è errore sulla qualità ex art. 1429 c.c..

Con l’unico motivo del ricorso incidentale, si deduce la violazione dell’art. 112 c.p.c., non avendo la corte territoriale esaminato la domanda di condanna della società acquirente al pagamento del controvalore del bene, ove alienato in tutto o in parte.

2. – Il primo motivo del ricorso principale è infondato.

Con esso la ricorrente contesta il dato della obiettiva incertezza della disciplina urbanistica menzionata: ma l’assunto non ha pregio, atteso quanto riferito dalla sentenza impugnata e dallo stesso ricorso con riguardo ai precedenti provvedimenti dell’amministrazione comunale.

Per il resto, la ricorrente articola censure di merito, proponendo un riesame delle questioni in fatto.

3. – Il secondo motivo è in parte inammissibile ed in parte parimenti infondato, riguardando il medesimo assunto, sotto altro profilo.

Se, invero, da un lato, l’incidenza del dubbio interpretativo non è un fatto, ma una valutazione ad esso conseguente, con il conseguente rilievo di inammissibilità, dall’altro lato la corte territoriale ha ritenuto tale dubbio decisivo, reputando che il valore atteso del bene fosse appunto quello determinato dalla prassi in atto, senza nessun vizio di omesso esame.

4. – Il terzo ed il quarto motivo, da trattare congiuntamente in quanto intimamente connessi, sono inammissibili.

La corte territoriale, per quanto ancora rileva, ha ritenuto che sussista la sproporzione, quale elemento costitutivo della fattispecie dell’azione proposta dalla procedura, in quanto il “giusto prezzo” di un immobile è dato dal valore di mercato del medesimo, dipendente dall’apprezzamento che esso riceve tra i soggetti interessati all’acquisto in un certo momento storico: e, con riguardo ad un terreno, in tale apprezzamento ha reputato rientrare pure l’aspettativa per le capacità edificatorie del lotto, sia pur non coincidenti con gli strumenti urbanistici attuali. Ciò in particolare allorchè, come nella specie accertato anche tramite c.t.u., sia stata provata una prassi reiterata del Comune concedere la facoltà di edificare pari a 3mc/mq. anche ai terreni già edificati, purchè previa demolizione dei fabbricati preesistenti, e non solo a quelli inedificati, come apparentemente lo strumento urbanistico disponeva; senza che, ha aggiunto la corte di merito, l’illegittimità di tali deliberazioni comunali (peraltro non impugnate o revocate in autotutela) potesse escludere di per sè l’incremento di valore dovuto alla suddetta fondata aspettativa.

Ha ritenuto, inoltre, infondato il motivo di appello che censurava l’acritica adesione alla c.t.u., dato che il consulente ha ben chiarito le ragioni della stima operata.

Orbene, alla luce di quanto ricordato, i motivi predetti, pur sotto l’egida del vizio di violazione di legge, mirano, in verità, a riproporre il giudizio di fatto, precluso in sede di legittimità, circa l’effettivo valore del bene e la sproporzione col corrispettivo versato.

L’accertamento del requisito oggettivo della “notevole sproporzione tra le prestazioni”, di cui alla L. Fall., art. 67, comma 2, costituisce un apprezzamento di fatto del giudice di merito, sottratto al sindacato di legittimità se logicamente e congruamente motivato (cfr. Cass. 18 novembre 2010, n. 23356; Cass. 17 aprile 2007, n. 9142).

E’ noto come sia compito esclusivo del giudice di merito individuare le fonti del proprio convincimento, assumere e valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, assegnando prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, nonchè la facoltà di escludere anche attraverso un giudizio implicito la rilevanza di una prova, dovendosi ritenere, a tal proposito, che egli non sia tenuto ad esplicitare, per ogni mezzo istruttorio, le ragioni per cui lo ritenga irrilevante (fra le altre, Cass. 4 luglio 2017, n. 16467; Cass. 23 maggio 2014, n. 11511; Cass. 15 luglio 2009, n. 16499).

5. – Il quinto motivo è infondato.

Al riguardo, afferma la corte territoriale – con duplice ratio decidendi – che la transazione non riguardò la rinuncia all’azione de quo; comunque, ha aggiunto, essa deve essere annullata per errore di diritto, non ricadente nei limiti di cui all’art. 1969 c.c..

Per quanto ora attiene al primo profilo, la sentenza impugnata ha dunque affermato che la transazione non fu autorizzata dal tribunale fallimentare quanto alla rinuncia all’azione revocatoria per sproporzione del prezzo pagato, non essendovi al riguardo neppure la res dubia, onde la rinuncia, operata al riguardo dalla curatrice il 28 settembre 2000, deve essere annullata per difetto di autorizzazione. Ciò emergerebbe dall’istanza della curatrice del 21 settembre 2000, che si limitava a riportare i pareri dei componenti il comitato dei creditori ed a richiedere l’autorizzazione a transigere; onde, in pari data, il tribunale autorizzò il curatore a sottoscrivere l’accordo transattivo sulla base delle condizioni esposte nell’istanza. Ha concluso nel senso che non vi è prova documentale circa la richiesta e la concessione dell’autorizzazione a rinunciare all’azione L. Fall., ex art. 67, comma 1, non esaminata affatto dal tribunale.

Sotto il secondo profilo, la corte d’appello ha poi aggiunto che, pur ove si possa interpretare la richiesta e la concessione dell’autorizzazione al tribunale fallimentare come ricomprendente la rinuncia alla predetta azione, essa sarebbe annullabile ex art. 1969 c.c., in quanto il tribunale è stato indotto in errore essenziale di diritto sulla situazione costituente mero presupposto del caput controversum dalla inadeguata relazione di un tecnico ingegnere, il quale si era limitato a stimare il bene osservando che la modifica urbanistica è intervenuta dopo il rogito, errore riconoscibile dalla società acquirente.

La ricorrente censura entrambe le rationes della decisione, attaccando la prima con il mezzo in esame.

Il motivo, tuttavia, non è ammissibile.

Invero, a fronte della motivazione esposta dalla sentenza impugnata sull’interpretazione del contratto, la ricorrente prospetta una diversa (e più favorevole) interpretazione rispetto a quella adottata dal giudicante, traducendosi ciò tuttavia nella richiesta di un nuovo accertamento di fatto, inammissibile in sede di legittimità, dovendo restare l’accertamento della volontà dei contraenti un’operazione ermeneutica riservata al giudice del merito.

Occorre invero ricordare il consolidato principio di diritto secondo cui, con riguardo all’interpretazione del contenuto di un accordo operata dal giudice di merito, l’invocato sindacato di legittimità non può investire il risultato interpretativo in sè, che appartiene all’ambito dei giudizi di fatto riservati a quel giudice, ma deve appuntarsi esclusivamente sul mancato rispetto dei canoni normativi di interpretazione dettati dal legislatore agli artt. 1362 c.c. e segg.: l’indagine ermeneutica, è riservata invero esclusivamente al giudice di merito (Cass. 14 luglio 2016, n. 14355; Cass. 10 febbraio 2015, n. 2465; Cass. 13 febbraio 2002, n. 2074).

Le censure proposte non permettono l’indagine di questa Corte, in quanto non risultano violati gli artt. 1362 c.c. e segg., , emergendo dalla motivazione della sentenza impugnata l’esame di tutti i documenti negoziali, e risultando detta motivazione in sè coerente e adeguata, sia pure in taluni passaggi sintetica: ma tale, in ogni modo, da dare conto dell’esame di tutte le risultanze istruttorie, secondo l’apprezzamento discrezionale a quel giudice riservato.

6. – Il sesto motivo è inammissibile.

La corte territoriale ha ritenuto che l’istanza di esibizione ex art. 210 c.p.c., non potesse trovare accoglimento, in quanto relativa ad atti comuni ad entrambe le parti e genericamente proposta, non essendo indicati quali atti esistenti nel fascicolo fallimentare, oltre a quelli propedeutici alla transazione, non sarebbero stati palesati.

Il ricorrente nel motivo menziona, quale oggetto dell’istanza di esibizione proposta con l’atto di appello, la “istanza di nomina di un comitato dei creditori datata 3.8.2000, comprensiva degli allegati”. La curatela controricorrente ha sostenuto che l’istanza di nomina del comitato dei creditori, la quale è stata prodotta in giudizio, sia però priva della indicazione di allegati, ed in effetti il contrario non risulta dagli atti: onde il motivo non è al riguardo adeguatamente specifico, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., ai fini di contrastare la valutazione di genericità operata dalla sentenza impugnata.

7. – Il settimo motivo è inammissibile, secondo il consolidato principio per il quale, ove la sentenza sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, l’omessa impugnazione di una di esse rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre, la quale, essendo divenuta definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, in nessun caso potrebbe produrre l’annullamento della sentenza (Cass. 18 aprile 2017, n. 9752; Cass. 14 febbraio 2012, n. 2108; Cass. 3 novembre 2011, n. 22753).

8. – Il ricorso incidentale merita accoglimento.

Esso lamenta fondatamente l’omessa pronunzia sulla domanda di pagamento del tantundem, per il caso che fosse stato trascritto atto di rivendita a terzi prima della trascrizione della domanda giudiziale, questione sulla quale la corte d’appello avrebbe dovuto pronunciarsi.

9. – In conclusione, in accoglimento del ricorso incidentale, la sentenza impugnata va cassata in parte qua, con rinvio della causa innanzi alla Corte d’appello di Venezia, in diversa composizione, cui si demanda anche la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte rigetta il ricorso principale; accoglie il ricorso incidentale, cassa in relazione ad esso la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese di legittimità, innanzi alla Corte d’appello di Venezia, in diversa composizione.

Dichiara che, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, sussistono i presupposti per il versamento, da parte della dell’ulteriore ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 26 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 23 novembre 2018

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