Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30507 del 22/11/2019

Cassazione civile sez. III, 22/11/2019, (ud. 19/09/2019, dep. 22/11/2019), n.30507

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. FIECCONI Francesca – rel. Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15218/2018 proposto da:

V.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MONTE SANTO

16, presso lo studio dell’avvocato FABIO GERBINO, rappresentato e

difeso dall’avvocato MASSIMILIANO FABIO;

– ricorrente –

contro

V.C., domiciliato ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA

DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

GIUSEPPE BIONDO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 246/2018 della CORTE D’APPELLO di MESSINA,

depositata il 13/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

19/09/2019 dal Consigliere Dott. FRANCESCA FIECCONI.

Fatto

RILEVATO

che:

1. Con ricorso notificato il 17 maggio 2018 V.G. ricorre per la cassazione della sentenza numero 246-2018 emessa dalla Corte d’appello di Messina, depositata il 13 marzo 2018, con la quale è stata respinta l’impugnazione della sentenza di rigetto dell’opposizione a decreto ingiuntivo emesso per l’importo di Euro 600.000 Euro a favore di V.C., corrispondente a quanto concordemente convenuto in via transattiva il 21.01.2013 ad integrazione dei reciproci rapporti di dare-avere. In particolare la Corte d’appello riteneva non avverata la condizione sospensiva apposta nell’accordo de quo, che quale modalità alternativa di estinzione dell’obbligo di pagamento prevedeva la cessione da V.G. a V.C. della quota societaria da lui detenuta nella Fratelli V.G. & A. snc, corrispondente al 50% del capitale sociale: la cessione, infatti, era stata a sua volta condizionata al mancato esercizio del diritto di prelazione da parte dell’altro socio V.A. (socio titolare della restante quota del 50% del capitale sociale) o, in alternativa, alla prestazione di un esplicito consenso del socio prelazionario al trasferimento della quota, a prescindere dall’esercizio della prelazione societaria. Rilevava infatti la Corte che il debito di V.G. nei confronti di V.C., come rideterminato nell’accordo transattivo, non si era estinto per mancato avveramento delle due condizioni alternativamente apposte nella convenzione di estinzione del debito mediante cessione di quote sociali, essendo mancato l’assenso del socio prelazionario.

2. Il ricorso è affidato a 4 motivi. La parte intimata ha notificato controricorso nei termini indicati in epigrafe.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, il ricorrente deduce la violazione degli artt. 1352 e 1456 c.c., con riguardo all’operato trasferimento delle quote societarie, con avveramento della condizione sospensiva in ragione del consenso prestato dal socio prelazionario al passaggio delle quote, e il mancato rilievo della conseguente estinzione dell’obbligazione di pagamento del credito; con il secondo motivo deduce l’estinzione dell’obbligazione intercorrente tra le parti per avvenuto consenso (in ordine al trasferimento delle quote societarie) intervenuto all’atto di rinuncia alla propria pretesa operata da V.A. al giudizio numero 851-2013 pendente innanzi al tribunale di Patti, e comunque prestato con il successivo atto di assenso prestato allla promessa di trasferimento delle quote da V.C. alla società FINVER s.p.a. in cui figurava la figlia di V.G. quale socia; con il terzo motivo deduce la presunta non necessità del consenso al trasferimento delle quote da parte di V.A. essendo il cessionario V.C. socio di fatto della s.n.c., per l’ingresso del quale nella compagine sociale non sarebbe stato necessario ottenere il consenso dei soci; con il quarto motivo denuncia la violazione delle norme in materia di spese legali, ritenendo che non debbano essere poste a carico del ricorrente, in ragione dell’esito della lite.

2. I primi tre motivi vanno esaminati congiuntamente in quanto concernenti il tema del prestato consenso del terzo al passaggio delle quote da V.G. a C. a soddisfazione del credito di quest’ultimo nei confronti di V.G..

3. La Corte di merito, nello scrutinare i fatti di causa, ha rilevato che le parti, proprio in ragione della norma ex art. 2252 c.c., che dispone che la quota delle società in nome collettivo, essendo pertinente a una società personale, è intrasferibile senza il consenso da parte dei soci, fatta salva una eventuale diversa pattuizione intervenuta tra i soci della società e prevista nel contratto sociale, nell’accordo transattivo de quo le due parti avevano espressamente previsto che il passaggio della quota sociale posto a soddisfazione del pregresso credito di V.C. nei confronti di V.G. fosse alternativamente subordinato all’acquisizione del manifesto dissenso o consenso del socio cui spettava il diritto di prelazione, e ciò mediante due modalità, vale a dire tramite l’esercizio del diritto di prelazione da parte del socio avente diritto (pacificamente non validamente esercitato) ovvero la prestazione del consenso alla cessione da parte del socio prelazionario. La Corte di merito, pertanto, ha rilevato che la transazione intercorsa tra i due fratelli Germani sui pregressi rapporti di dare-avere, prevedente l’estinzione del debito tramite la cessione delle quote sociali al creditore, conteneva due condizioni sospensive, apposte in via alternativa, tutte da realizzarsi, e che esse non si sono realizzate a causa del diniego opposto dal socio prelazionario, non essendo un assenso in tal senso deducibile dalla rinuncia agli atti di causa intervenuto in un pregresso giudizio instaurato da V.A. per far valere la nullità della cessione in ragione del suo diritto di prelazione esercitato e, comunque, del mancato consenso al passaggio delle quote a V.C., a lui non gradito. Inoltre, per quanto qui di interesse, la Corte di merito, a conferma di quanto ritenuto dal giudice di primo grado, ha ritenuto che non vi fossero elementi per ritenere che la prelazione non operasse nei riguardi del cessionario, perchè a dire del ricorrente era socio di fatto della società, proprio in relazione allo stesso tenore dell’accordo che prevedeva, invece, che il diritto di prelazione di V.A. permanesse nei confronti di V.C. che formalmente non era socio. Riteneva infine infondato, riguardo alla pendenza del giudizio inter partes instaurato da V.A. per l’annullamento dell’accordo di cessione di quote, l’argomento teso a trarre un suo implicito consenso alla cessione dalla rinuncia agli atti del giudizio instaurato tra V.A. e i fratelli V., posto che la condizione apposta nella cessione rifletteva il suo diritto di esprimere il suo consenso espresso alla cessione delle quote sociali, non deducibile implicitamente in tale atto di rinuncia agli atti. Conseguentemente, la Corte di merito ha ritenuto che l’atto di cessione intervenuto tra le parti il 20.2.2013 in esecuzione dell’accordo transattivo fosse inefficace per mancato avveramento delle due condizioni alternativamente apposte, e che pertanto il debito di V.G. nei confronti di V.C., come definito nell’accordo transattivo, non si fosse estinto con tale modalità di adempimento (datio in solutum) e dovesse essere onorato.

4. Il ricorrente V.G., nei primi tre motivi, intende offrire in realtà una diversa ricostruzione delle vicenda, in contrasto con quella osservata funditus dalla Corte di merito nel rispetto del giusto contraddittorio, senza apportare censure specifiche alla ratio decidendi, nè riferirsi specificamente al tenore della medesima. Sul piano della verifica del rispetto della completezza e logicità della motivazione adottata, le censure risultano inammissibili in quanto non dimostrano di avere considerato adeguatamente tutte le circostanze indicate dalla Corte a supporto della decisione, rivelando pertanto l’intento di muovere una critica alla ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito, attraverso una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto esaminati dalla Corte di merito, apoditticamente denunciati come mal interpretati o omessi.

5. Per quanto riguarda la censura relativa all’omessa considerazione che la predetta cessione di quote da V.G. a C. si è verificata in ogni caso nel mese di dicembre 2015, e prima della sentenza di primo grado con la quale si è concluso il giudizio relativo all’asserito inadempimento contrattuale di V.G. nei confronti di V.C. (ovvero il presente giudizio), essa riguarda un ulteriore fatto (l’assenso alla cessione delle quote da V.G. a V.C. che, a sua volta, le ha promesse in vendita alla società Finver s.p.a. con il consenso di V.A., ove nel relativo bilancio, a p. 9, è previsto alla voce ” altri crediti-acquisto partecipazione V. s.n.c. Euro 600.000,00″). In proposito, lo stesso ricorrente deduce che detta circostanza è stata allegata da controparte al tempo del deposito della memoria conclusionale di replica del giudizio di appello del 1.2.2018 del procedimento RG 2179/206/CC a dimostrazione del passaggio di quote a V.C.: il che tutto dimostra tranne che la circostanza sia stata oggetto di discussione nel giusto contraddittorio delle parti nel presente giudizio (v. p. 17 del ricorso).

6. La circostanza, inoltre, non fa riferimento al testo dell’accordo e quindi si dimostra anche insufficientemente dedotta. Difatti, essa è stata contrastata dalla parte resistente che ha indicato come tale ulteriore trasferimento da V.C. alla società Finver spa sia comunque avvenuto pro solvendo al realizzarsi di una condizione, relativa proprio all’esito negativo del giudizio n. 851/2013 promosso da V.A. nei confronti di V.C. e di V.G., ancora in parte pendente in parte innanzi al Tribunale di Patti, volto ad ottenere una sentenza che dichiari che non era avvenuto il trasferimento delle quote della fratelli V. s.n.c. da V.G. a C.: dal che si desume che l’argomento speso, riguardante una vendita a non domino sottoposta alla condizione che il giudizio fosse sfavorevole per V.A., oltre a non dimostrarsi allegato e discusso tra le parti nel rispetto del giusto contraddittorio, qualora fosse stato in ipotesi tempestivamente allegato e omesso, sarebbe tutt’altro che decisivo.

7. Pertanto tale specifico motivo si dimostra primariamente inammissibile in quanto, ex art. 366 c.p.c., n. 6, non espressamente riferito a una circostanza di cui sia dimostrata la tempestiva deduzione e allegazione e la specifica concludenza quanto al contenuto intrinseco dell’accordo sottostante.

8. Sicchè, non apparendo i motivi correlati alle ragioni di rigetto dell’appello, essi impingono nella ragione di inammissibilità espressa dal principio di diritto recentemente rinverdito da Cass. SU n. 7074 del 2017, in quanto, per denunciare un errore bisogna identificarlo e, quindi, fornirne la rappresentazione, l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo. In riferimento al ricorso per Cassazione tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un “non motivo”, è espressamente sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 4.

9. Il 4^ motivo è ugualmente inammissibile, in quanto denuncia la violazione della regola soccombenza in sostanza assumendo l’erroneità della decisione di 1^ e 2^ grado nel merito, il che si dimostra come un “non motivo”, mentre per quanto riguarda la denuncia di violazione dei parametri correlati al D.M. n. 127 del 2004, il motivo omette ogni indicazione degli elementi da cui trarre detta considerazione.

10. Conclusivamente il ricorso viene rigettato, con ogni conseguenza in ordine alle spese, che si liquidano in dispositivo ai sensi del D.M. n. 55 del 2014, a favore della parte resistente.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti alle spese, liquidate in Euro 6.600,00, oltre Euro 200,00 per spese, spese forfettarie al 15% e oneri di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 19 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 22 novembre 2019

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