Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30506 del 23/11/2018

Cassazione civile sez. I, 23/11/2018, (ud. 26/09/2018, dep. 23/11/2018), n.30506

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – rel. Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5567/2013 proposto da:

Fallimento (OMISSIS) s.a.s. (OMISSIS) e del socio accomandatario in

proprio Travagliante Antonino, in persona del curatore Dott.

D.M.F., elettivamente domiciliato in Roma, Via D. Chelini n. 5,

presso lo studio dell’avvocato Veroni Fabio, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato Ceciarini Massimo, giusta procura a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Banca Popolare dell’Etruria e del Lazio Società Cooperativa, in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in Roma, Via G. Bettolo n. 17, presso lo studio

dell’avvocato Massari Michele Arcangelo, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato Scorza Giuseppe, giusta procura

speciale per Notaio Dott. T.M. di (OMISSIS);

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 287/2012 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 24/02/2012;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

26/09/2018 dal Cons. Dott. NAZZICONE LOREDANA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza del 24 febbraio 2012, la Corte d’appello di Firenze, in riforma della decisione impugnata ed accogliendo l’appello incidentale della società, ha respinto integralmente la domanda revocatoria L. Fall., ex art. 67, comma 2, proposta dal Fallimento (OMISSIS) s.a.s. contro la Banca Popolare dell’Etruria e del Lazio soc. coop., con riguardo alle rimesse eseguite sul conto corrente aperto dalla società.

La corte territoriale, per quanto ancora rileva, ha ritenuto che la domanda non potesse trovare accoglimento, neppure nella ridotta misura, decisa dal tribunale, di Euro 2.406,67, a fronte di una domanda di pagamento di Euro 167.415,76, in quanto non sussiste la prova della scientia decoctionis, la quale deve essere effettiva e non potenziale, sebbene dimostrabile anche con presunzioni: laddove, invece, nella specie difettano adeguati elementi indiziari da cui poter desumere la conoscenza effettiva, non essendo a ciò sufficiente un’esecuzione immobiliare risalente al 2000 contro la socia accomandante e moglie dell’accomandatario, due pignoramenti immobiliari ed un decreto ingiuntivo, e non potendo attribuirsi nessun valore presuntivo al nuovo credito dietro garanzia concesso dalla banca nell’anno 2000, mentre manca la prova dell’inserimento del nome della società poi fallita presso la Centrale dei rischi. Soprattutto, secondo la corte territoriale, esiste un elemento presuntivo contrario alla detta conoscenza in capo alla banca, consistente nella concreta movimentazione del conto corrente nel periodo interessato, caratterizzato dalla ordinaria alternanza di operazioni attive e passive, secondo la sua normale e fisiologica funzione di cassa per l’imprenditore correntista, senza nessuna evidenza di una movimentazione, all’opposto, impostata al rientro.

Avverso questa sentenza propone ricorso per cassazione la procedura, sulla base di un motivo.

Resiste con controricorso l’intimata.

Le parti hanno depositato la memoria di cui all’art. 380-bis.1 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – L’unico motivo di ricorso deduce la violazione e la falsa applicazione degli artt. 2697,2727,2729 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c., L. Fall., art. 67, comma 2, oltre alla motivazione insufficiente, contraddittoria ed illogica, non avendo la corte del merito valutato adeguatamente le prove offerte, posto che la richiesta di una garanzia indica la mancanza di fiducia del creditore nella solvibilità dell’obbligato, mentre la segnalazione alla Centrale Rischi era un atto imposto; si dilunga, altresì, nella ricostruzione degli elementi probatori offerti.

2. – Il motivo è inammissibile.

Esso, sotto l’egida del vizio di violazione di legge o di motivazione, mira, in verità, a riproporre il giudizio di fatto, precluso in sede di legittimità.

La valutazione degli elementi di fatto, che hanno indotto la corte del merito ad escludere la conoscenza effettiva dello stato di insolvenza della (OMISSIS) s.a.s., è stata ampiamente motivata dalla stessa, senza vizi logico-giuridici, mediante l’esame e la ponderazione di tutte le prove offerte dalla procedura, ed ha condotto ad escludere la sussistenza dell’elemento soggettivo della fattispecie. Correttamente la sentenza impugnata ha preteso una prova piena, e non meramente dubitativa, della scientia decoctionis, adeguatamente motivando la ritenuta insussistenza di sufficienti elementi indiziari della conoscenza effettiva dell’altrui stato d’insolvenza.

Costituisce principio costante (e multis, Cass. 19 febbraio 2015, n. 3336) che, in tema di revocatoria fallimentare, la conoscenza dello stato di insolvenza da parte del terzo contraente deve essere effettiva, ma può essere provata anche con indizi e fondata su elementi di fatto, purchè idonei a fornire la prova per presunzioni di tale effettività; la scelta degli elementi che costituiscono la base della presunzione ed il giudizio logico con cui dagli stessi si deduce l’esistenza del fatto ignoto costituiscono un apprezzamento di fatto che, se adeguatamente motivato, sfugge al controllo di legittimità.

Mentre è noto come, anche nel vigore del testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, anteriore alle modifiche apportate dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, è compito esclusivo del giudice di merito individuare le fonti del proprio convincimento, assumere e valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, assegnando prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, nonchè la facoltà di escludere anche attraverso un giudizio implicito la rilevanza di una prova, dovendosi ritenere, a tal proposito, che egli non sia tenuto ad esplicitare, per ogni mezzo istruttorio, le ragioni per cui lo ritenga irrilevante (fra le altre, Cass. 4 luglio 2017, n. 16467; Cass. 23 maggio 2014, n. 11511; Cass. 15 luglio 2009, n. 16499).

3. – Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite, liquidate in Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfetarie al 15% ed agli accessori, come per legge.

Dichiara che, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 26 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 23 novembre 2018

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