Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30502 del 22/11/2019

Cassazione civile sez. III, 22/11/2019, (ud. 16/04/2019, dep. 22/11/2019), n.30502

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11383-2014 proposto da:

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del Presidente del

Consiglio p.t., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI

PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

TR.EL., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA G. P. DA

PALESTRINA, 19, presso lo studio dell’avvocato STEFANIA DI STEFANI,

rappresentata e difesa dall’avvocato ACCURSIO GALLO;

P.F.G., + ALTRI OMESSI, elettivamente domiciliati

in ROMA, PIAZZA DI SPAGNA 15, presso lo STUDIO CLEARY 6 C,

rappresentati e difesi dall’avvocato GIOVANNI FERRAU’;

T.P.A.M., + ALTRI OMESSI, elettivamente domiciliati

in ROMA, PIAZZA DEI CARRACCI 1, presso lo studio dell’avvocato

GIUSEPPE DI SIMONE, rappresentati e difesi dall’avvocato ROSA MAURO;

M.V., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PREMUDA 2,

presso lo studio dell’avvocato LEANDRO BOMBARDIERI, che lo

rappresenta e difende;

C.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FABIO MASSIMO

107, presso lo studio dell’avvocato GIANFRANCO TORINO, che lo

rappresenta e difende; M.L., elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA PREMUDA 2, presso lo studio dell’avvocato LEANDRO

BOMBARDIERI, che lo rappresenta e difende;

– controricorrenti –

e contro

B.M., + ALTRI OMESSI;

– intimati –

Nonchè da:

AC.EG.; + ALTRI OMESSI, elettivamente domiciliati in ROMA

VIA MONTE ACERO 2-A presso lo studio dell’avvocato GINO BAZZANI che

li rappresenta e difende unitamente all’avvocato ANTONIO PULIATTI;

– ricorrenti incidentali –

contro

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, MINISTERO ISTRUZIONE

UNIVERSITA’ RICERCA (OMISSIS), MINISTERO DELLA SALUTE (OMISSIS),

MINISTERO ECONOMIA FINANZE (OMISSIS);

– intimati –

Nonchè da:

V.A., + ALTRI OMESSI, elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA MONTE ACERO 2-A, presso lo studio dell’avvocato GINO

BAZZANI, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato

ANTONIO PULIATTI;

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA MONTE ACERO 2-A, presso lo

studio dell’avvocato GINO BAZZANI, che li rappresenta e difende

unitamente all’avvocato ANTONIO PULIATTI;

– ricorrenti incidentali –

contro

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, MINISTERO ISTRUZIONE

UNIVERSITA’ RICERCA (OMISSIS), MINISTERO DELLA SALUTE (OMISSIS),

MINISTERO ECONOMIA FINANZE (OMISSIS);

– intimati –

Nonchè da:

S.F.A., + ALTRI OMESSI, elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA NIZZA 59, presso lo studio dell’avvocato PATRIZIA

GIANNINI, rappresentati e difesi dall’avvocato TIZIANA PICCININI;

– ricorrenti incidentali –

contro

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, MINISTERO ISTRUZIONE

UNIVERSITA’ RICERCA (OMISSIS), MINISTERO DELLA SALUTE (OMISSIS),

MINISTERO ECONOMIA FINANZE (OMISSIS);

– intimati –

Nonchè da:

A.S., + ALTRI OMESSI elettivamente domiciliati in ROMA,

PIAZZA DELL’EMPORIO 16/A, presso lo studio dell’avvocato GIANLUCA

BALDACCI, che li rappresenta e difende;

– ricorrenti incidentali –

contro

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, MINISTERO ISTRUZIONE

UNIVERSITA’ RICERCA (OMISSIS), MINISTERO DELLA SALUTE (OMISSIS),

MINISTERO ECONOMIA FINANZE (OMISSIS);

– intimati –

avverso la sentenza n. 3694/2013 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 26/06/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

16/04/2019 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE CRICENTI.

Fatto

RILEVATO

CHE:

La Presidenza del Consiglio dei Ministri ricorre avverso una sentenza della Corte di Appello di Roma, che, in riforma della decisione di primo grado, ha accolto la domanda di alcuni medici specializzandi di vedersi riconosciuta l’indennità connessa al corso di specializzazione frequentato in anni passati.

Con atto di citazione del 27.3.2002 i medici avevano agito verso la Presidenza del Consiglio, ed i Ministeri della Salute e della Ricerca Scientifica, per ottenere il diritto alla remunerazione del periodo di specializzazione, frequentato tra il 1982 ed il 1991.

Lo Stato italiano, infatti, aveva recepito le Direttive 75/363 e 82/76 con ritardo, provvedendovi con D.Lgs. n. 275 del 1991.

Le suddette Direttive prevedevano l’obbligo degli Stati membri di remunerare il periodo di specializzazione, e lo Stato italiano, con il D.Lgs. n. 275 del 1991 ha istituito la relativa borsa di studio, ma solo a partire dal 1992.

Il Tribunale, in primo grado, ha ritenuto prescritto il diritto, assumendo che, trattandosi di un illecito extracontrattuale (quello consistente nella tardiva attuazione delle Direttive) la prescrizione era da ritenersi maturata in cinque anni, termine che peraltro derivava, a prescindere dalla natura dell’illecito, dallo stesso art. 2948 c.c., n. 4, trattandosi di prestazioni periodiche.

In riforma di tale decisione, invece, la Corte di Appello accoglieva le domande dei medici specializzandi, sul presupposto che la tardiva attuazione integrava l’inadempimento di un obbligo ex lege, in cui si prescinde dall’elemento soggettivo, e dunque dalla illiceità, e che doveva ritenersi avere natura indennitaria, con conseguente termine decennale, e non quinquennale di prescrizione.

Avverso tale pronuncia ricorre la Presidenza del Consiglio dei Ministri con quattro motivi. Contro il ricorso sono stati proposti dai medici indicati in epigrafe separati controricorsi.

I medici controricorrenti chiedono il rigetto del ricorso. I controricorrenti con indicati in epigrafe capofila Ac., A., D.G. ( S.F. in epigrafe) e V. propongono ricorso incidentale relativamente sia al calcolo dell’indennizzo riconosciuto in sentenza, che alla rivalutazione, che infine al danno da perdita di chance per il mancato riconoscimento, quanto alle specializzazioni antecedenti il 1983, del valore legale della specializzazione stessa.

Hanno depositato controricorso gli intimati con capofila N.M., l’intimato C., gli intimati con capofila D.C., l’intimata Tr., l’intimato M.V., l’intimato M.L., tutti nei confronti della Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Hanno depositato memorie illustrative M.L., i controricorrenti con capofila N.M., il controricorrente M.V., i controricorrenti con ricorso incidentale indicati in epigrafe come aventi capofila S., i controricorrenti con ricorso incidentale indicati in epigrafe con capofila Ac., i controricorrenti con ricorso incidentale aventi in epigrafe come capofila A..

Nella parte motiva si dirà specificamente dei motivi dei singoli ricorsi incidentali.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1.- Il ricorso principale.

La Presidenza del Consiglio basa le censure alla decisione di appello su quattro motivi.

Il primo motivo denuncia violazione degli artt. 2043 e 2947 c.c., e ritiene che i giudici di merito abbiano erroneamente opinato che la condotta dello Stato, di tardiva attuazione delle direttive comunitarie, costituisca inadempimento di una obbligazione ex lege, avente natura indennitaria e con prescrizione decennale, anzichè ritenere, più correttamente, quel ritardo come un illecito extracontrattuale.

La ricorrente, pur consapevole dell’ormai consolidato orientamento giurisprudenziale, ne propone il mutamento, con l’argomento che il fatto dello Stato è illecito non nel diritto interno, ma in quello comunitario e che lì si atteggia come un illecito extracontrattuale per il cittadino italiano, che di conseguenza ha azione ex art. 2043 c.c., con conseguente prescrizione quinquennale. Queste ragioni tuttavia sono state già valutate da Cass. sez. un. 9147 del 2009, che ha ritenuto invece rilevante nel diritto interno la condotta omissiva dello Stato, e l’ha qualificata come un inadempimento di una obbligazione ex lege, che, antigiuridica nell’ordinamento comunitario, non lo è nel diritto interno, dove si configurerebbe una sorta di danno da attività lecita, di oggettivo inadempimento dell’obbligo di attuazione.

Sono state poi ribadite e ampiamente motivate dalle sentenze gemelle di cui a Cass. 10813, 10814, 10815 e 10816 del 2012, i cui principi sono stati poi costantemente affermati.

Le ragioni, dunque, suggerite per il mutamento di giurisprudenza, non sono nuove, ma già prese in considerazione da questa corte. Con la conseguenza che il motivo deve ritenersi inammissibile ex art. 360 bis c.p.c., n. 1.

1.1.- Il secondo motivo denuncia violazione dell’art. 2935 c.c.. Secondo la Presidenza del Consiglio, la prescrizione è erroneamente fatta decorrere dal 1999, data della successiva specificazione legislativa, dovendo invece farsi decorrere dal 1991, data del primo recepimento, poichè è in quel momento che avviene la violazione dei diritti dei medici che agiscono in giudizio.

Anche su questo punto, tuttavia, il motivo di ricorso non offre nuove ragioni per disattendere l’orientamento consolidato di questa corte, a partire dalle citate sentenze gemelle, secondo cui: “Il diritto al risarcimento del danno da inadempimento della direttiva 26 gennaio 1982, n. 82/76/CEE, riassuntiva delle direttive 16 giugno 1975, n. 75/362/CEE e n. 76/362/CEE, spettante ai soggetti che avevano seguito corsi di specializzazione medica iniziati negli anni dal 1 gennaio 1983 all’anno accademico 1990-1991 in condizioni tali che, se detta direttiva fosse stata attuata, avrebbero acquisito i diritti da essa previsti, si prescrive nel termine di dieci anni decorrente dal 27 ottobre 1999, data di entrata in vigore della L. 19 ottobre 1999, n. 370, art. 11 che ha dato attuazione a tali direttive (Cass. 16104/2013; Cass. 6606/2014; Cass. 23199/2016; Cass. 13758/n 2018).

Anche tale motivo è dunque inammissibile ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c..

1.2.- Il terzo motivo denuncia omessa motivazione su un punto rilevante della decisione con conseguente nullità della sentenza. Secondo la Presidenza del Consiglio, la decisione di merito avrebbe ritenuto per tutti i medici l’esistenza di un atto stragiudiziale di diffida del 31.12.1999, quando invece gli atti di diffida erano stati semmai notificati in tempi diversi, per ciascun medico, e la corte avrebbe dovuto precisare dunque le date delle singole spedizioni, anzichè indicare una data uguale per tutti.

Il motivo tuttavia riguarda una questione non rilevante, dal momento che, decorrendo la prescrizione dal 1999, ed essendo le citazioni in giudizio del 2002, quelle diffide sono irrilevanti, la prescrizione essendo validamente interrotta dall’atto introduttivo del giudizio.

Peraltro, attesa l’inammissibilità dei motivi precedenti, si consolida la sentenza impugnata in ordine al decorso della prescrizione dal 27 ottobre 1999, e dunque resta preclusa ogni questione in ordine alla decorrenza della prescrizione a far data da un periodo anteriore.

1.3.- Con il quarto motivo invece si denuncia violazione dell’art. 2697 c.c., con l’argomento che erroneamente la corte ha escluso che i medici dovessero provare di non avere avuto altri redditi nel periodo della specializzazione, e che potessero limitarsi a dimostrare semplicemente di aver seguito i corsi di specialità. Secondo la Presidenza del Consiglio invece era a carico dei medici la dimostrazione dell’assenza di altri redditi.

Anche su questo punto il ricorso non fornisce motivi nuovi rispetto all’orientamento consolidato di questa corte, secondo cui: lo specializzando che faccia valere la pretesa risarcitoria per siffatto inadempimento è tenuto a dimostrare, quale fatto costitutivo del danno evento costituito dalla perdita dell’adeguata remunerazione, solo la mera frequenza di un corso ricadente negli elenchi predetti, potendo le concrete modalità di svolgimento del corso stesso venire in rilievo, al più, quali circostanze incidenti sulla quantificazione del pregiudizio, ove la scelta dell’una o dell’altra opzione (tempo pieno o parziale) sia dipesa dalla scelta dello specializzando, ma non già ove il corso medesimo sia stato organizzato soltanto con modalità in fatto corrispondenti al tempo parziale, in ragione di quanto deciso dalla singola università in base alla legislazione statale irrispettosa della disciplina dettata dal diritto comunitario (Cass. 23577/2011; Cass. 17068/2013; Cass. 5781/2017).

Anche in tal caso, il motivo incorre nella sanzione di inammissibilità ex art. 360 bis c.p.c..

2.- I ricorsi incidentali.

Alcuni controricorrenti hanno proposto ricorso incidentale su aspetti comuni a ciascun medico.

2.1.- Il ricorso con capofila in epigrafe S. (e nel ricorso stesso D.G.).

I controricorrenti, in questo caso, propongono quattro motivi di ricorso incidentale, con cui denunciano, quanto al primo motivo, violazione dell’art. 1218 c.c. e dell’art. 75 cod. proc. civ., per avere la corte di merito escluso la legittimazione passiva dei Ministeri; quanto al secondo motivo, violazione dell’art. 1223 c.c. per avere la corte erroneamente liquidato il risarcimento del danno ai sensi del D.Lgs. n. 370 del 1999, art. 11 anzichè del D.Lgs. n. 275 del 1991, art. 6; quanto al terzo motivo violazione dell’art. 112 c.p.c., avendo la corte di appello omesso di pronunciare sulla richiesta di risarcimento per perdita di chance, causata dalla tardiva attuazione della direttiva; quanto al quarto motivo, violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., per avere la corte omesso l’esame della domanda sulla rivalutazione monetaria.

Ai sensi dell’art. 334 c.p.c., comma 2, però, il ricorso incidentale, è inefficace, per conseguenza della inammissibilità del ricorso principale, come già illustrata.

Invero, il difensore dei suddetti controricorrenti ha notificato la sentenza, e dunque fatto decorrere il termine breve per i suoi assistiti, e l’impugnazione incidentale proposta a seguito del ricorso principale è stata fatta come impugnazione incidentale tardiva, cosi che, come previsto dalla norma citata, qualora l’appello principale sia inammissibile quello incidentale tardivo perde di efficacia per conseguenza.

2.2.- Ricorso con capofila Ac..

Il ricorso incidentale, in questo caso, è basato su quattro motivi.

Con il primo motivo si denuncia violazione degli artt. 1218 e 1223 c.c. nonchè del D.Lgs. n. 257 del 1991, art. 6.

In sostanza, i ricorrenti ritengono errata la liquidazione dell’indennizzo fatta dalla corte di merito utilizzando il parametro equitativo di cui alla L. n. 370 del 1999, art. 11 anzichè il diverso e più ampio ristoro ricollegabile al D.Lgs. n. 257 del 1991, art. 6.

La questione aveva formato in passato oggetto di contrasti interpretativi, ed è stata risolta, nel senso seguito dal giudice di merito, dalle sezioni unite, secondo cui: in tema di risarcimento dei danni per la mancata tempestiva trasposizione delle direttive comunitarie 75/362/CEE, 75/363/CEE e 82/76/CEE in favore dei medici frequentanti le scuole di specializzazione in epoca anteriore all’anno 1991, deve ritenersi che il legislatore, con l'”aestimatio” del danno effettuata dalla L. n. 370 del 1999, art. 11 abbia proceduto ad un sostanziale atto di adempimento parziale soggettivo valevole anche nei confronti di coloro non ricompresi nel citato art. 11, a cui non può applicarsi il D.Lgs. n. 257 del 1991, art. 6 in quanto tale decreto, nel trasporre nell’ordinamento interno le direttive in questione, ha regolato le situazioni future con la previsione, a partire dall’anno accademico 1991/1992, di condizioni di frequenza dei corsi diverse e più impegnative rispetto a quelle del periodo precedente (Cass. sez. un. 30649/2018).

Il motivo, dunque, non proponendo ragioni nuove per superare il detto orientamento, deve ritenersi inammissibile ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c..

Con il secondo motivo i ricorrenti incidentali denunciano omessa pronuncia su una specifica domanda già formulata in primo grado, riproposta in appello, e concernente il danno, che viene qualificato come da perdita di chance, che i medici specializzati nel periodo che ci riguarda (1982-1991) avrebbero subito per via del mancato riconoscimento che, prima del 1991 era dato constatare, del valore legale della specializzazione, difetto questo che avrebbe impedito loro di sfruttare quel titolo all’estero, e di farne punteggio nei concorsi in Italia.

Si tratta di un motivo inammissibile, quanto alla denuncia di omessa pronuncia, ai sensi dell’art. 360-bis c.p.c., n. 2, in quanto l’oggetto dell’omissione di pronuncia per come correlata alla prospettazione che si dice ribadita nell’atto di appello, risulta relativo alla prospettazione di una perdita di chance del tutto astratta, mentre, come è stato ritenuto da Cass. n. 5536 del 2012 e ribadito da Cass. n. 396 del 2017, il riconoscimento di un danno ulteriore a quello parametrato sulla L. n. 370 del 1999, art. 11 esigeva un onere di allegazione di perdita di chances specifica: “In proposito si deve rilevare, fra l’altro, che la perdita di chance quale danno derivante dall’inadempimento statuale alle note direttive, avrebbe dovuto essere allegata con deduzioni specifiche e non in modo generico, cioè con l’individuazione puntuale delle occasioni favorevoli in concreto perdute da ciascuno dei ricorrenti in ragione della mancata possibilità il titolo conforme alle caratteristiche imposte dal diritto comunitario e non già con la mera deduzione della impossibilità di utilizzazione del titolo in astratto (si veda, in termini, Cass. n. 5533 del 2012)” (anche Cass. nn. 1050, 1051 e 458 del 2019).

L’omissione di pronuncia dunque è stata irrilevante ed all’uopo si rivela priva di decisività e dunque, inammissibile ai sensi dell’art. 360-bis c.p.c., n. 2.

Infatti, come statuito da questa Corte: “In tema di ricorso per cassazione, la censura concernente la violazione dei “principi regolatori del giusto processo” e cioè delle regole processuali ex art. 360 c.p.c., n. 4, deve avere carattere decisivo, cioè incidente sul contenuto della decisione e, dunque, arrecante un effettivo pregiudizio a chi la denuncia” (Cass. 22341 del 2017).

Altro motivo di ricorso incidentale riguarda il mancato riconoscimento della rivalutazione monetaria.

Il motivo è proposto sotto una duplice rubricazione, come omessa pronuncia ex art. 112 c.p.c. e come violazione di legge, e segnatamente degli artt. 1219,1223 e 1224 c.c..

La prima delle due censure è infondata, in quanto risulta dal testo della sentenza impugnata che la questione è stata oggetto di pronuncia, nella parte in cui la corte ritiene il debito dello Stato avente natura di debito di valuta e non di valore, e dunque escludente implicitamente il maggior danno da svalutazione monetaria.

Per il resto, a seguito della aestimatio effettuata ai sensi della L. n. 370 del 1999, art. 11 l’obbligazione è divenuta di valuta, con conseguente irrilevanza della rivalutazione (Cass. 1917 del 2012 e successive).

Con ulteriore, e quarto motivo di ricorso incidentale, si fa valere violazione sia degli artt. 1218,1223, e 1225 c.c. che delle direttive comunitarie, poi attuate tardivamente, su un punto specifico dell’ambito temporale del diritto fatto valere.

Infatti, la corte di appello ha riconosciuto l’indennizzo solo agli specializzandi iscritti a partire dall’anno accademico 1983/1984, e non già a quelli iscritti nell’anno 1982/1983 sul presupposto che l’attuazione della direttiva non poteva trovare accoglimento per corsi già precedentemente avviati, in quanto il termine per l’attuazione decorreva dal 31.12.1982.

La questione ha trovato soluzione nella decisione delle sezioni unite secondo cui il diritto al risarcimento del danno da inadempimento della direttiva comunitaria n. 82/76/CEE, riassuntiva delle direttive n. 75/362/CEE e n. 75/363/CEE, sorto, conformemente ai principi più volte affermati dalla CGUE (sentenze 25 febbraio 1999 in C-131/97 e 3 ottobre 2000 in C-371/97), in favore di soggetti iscritti a corsi di specializzazione negli anni accademici compresi tra il 1983 ed il 1991, spetta anche per l’anno accademico 1982-1983, ma solo a partire dal 1 gennaio 1983 e fino alla conclusione della formazione stessa, in conformità con quanto affermato dalla CGUE nella sentenza del 24 gennaio 2018 (cause riunite C616/16 e C-617/16); ne consegue che occorre commisurare il risarcimento per la mancata percezione di una retribuzione adeguata, non all’intero periodo di durata del primo anno accademico di corso, bensì alla frazione temporale di esso successiva alla scadenza del termine di trasposizione della direttiva (31 dicembre 1982), a partire dalla quale si è verificato l’inadempimento (Cass. sez. Un. 20348/ 2018).

Questo vizio è lamentato in particolare da tre medici controricorrenti incidentali, C., L. e D.P..

Tuttavia, la D.P. risulta iscritta all’anno accademico 1981-1982, e dunque prima dell’anno accademico 1983, a partire dal quale, come sopra ricordato, è riconosciuto il diritto al risarcimento da parte della stessa Corte di Giustizia Europea.

Conseguentemente solo il motivo dei primi due ( C. e L.) può essere accolto.

2.3.- I ricorsi incidentali con capofila A. e A., pur formalmente distinti, sono basati sui medesimi motivi, di quelli indicati al punto 2.2. e dunque inammissibili per le medesime ragioni, già indicate.

2.3.1.- Essi denunciano, con un primo motivo, violazione degli artt. 1218 e 1223 c.c. e del D.Lgs. n. 257 del 1991, art. 6 ritenendosi errata la stima equitativa fatta ai sensi della L. n. 370 del 1999, art. 11.

La questione, come già detto in precedenza, aveva formato in passato oggetto di contrasti interpretativi, ed è stata risolta nel senso seguito dal giudice di merito, dalle sezioni unite, secondo cui: in tema di risarcimento dei danni per la mancata tempestiva trasposizione delle direttive comunitarie 75/362/CEE, 75/363/CEE e 82/76/CEE in favore dei medici frequentanti le scuole di specializzazione in epoca anteriore all’anno 1991, deve ritenersi che il legislatore, con l'”aestimatio” del danno effettuata dalla L. n. 370 del 1999, art. 11 abbia proceduto ad un sostanziale atto di adempimento parziale soggettivo valevole anche nei confronti di coloro non ricompresi nel citato art. 11, a cui non può applicarsi il D.Lgs. n. 257 del 1991, art. 6 in quanto tale decreto, nel trasporre nell’ordinamento interno le direttive in questione, ha regolato le situazioni future con la previsione, a partire dall’anno accademico 1991/1992, di condizioni di frequenza dei corsi diverse e più impegnative rispetto a quelle del periodo precedente (Cass. sez. un. 30649/2018).

Il motivo, dunque, non proponendo ragioni nuove per superare il detto orientamento, deve ritenersi inammissibile ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c..

Con altro motivo, si denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c., anche in relazione agli artt. 2043 e 2049 c.c., per omessa pronuncia sulla perdita di chance che i medici specializzati nel periodo che ci riguarda (19821991) avrebbero subito per via del mancato riconoscimento che, prima del 1991, era dato constatare del valore legale della specializzazione, difetto questo che avrebbe impedito loro di sfruttare quel titolo all’estero, e di farne punteggio nei concorsi in Italia.

Anche in relazione a tali controricorsi va ribadito quanto già detto per gli altri, in ordine a tale motivo.

Si tratta, infatti, di un motivo inammissibile quanto all’omessa pronuncia ai sensi dell’art. 360-bis c.p.c., n. 2, in quanto l’oggetto dell’omissione di pronuncia per come correlata alla prospettazione che si dice ribadita nell’atto di

– appello, risulta relativo alla prospettazione di una perdita di chance del tutto astratto, mentre, come è stato ritenuto da Cass. n. 5536 del 2012 e ribadito da Cass. n. 396 del 2017, il riconoscimento di un danno ulteriore a quello parametrato sulla L. n. 370 del 1999, art. 11 esigeva un onere di allegazione di perdita di chances specifica: “In proposito si deve rilevare, fra l’altro, che la perdita di chance quale danno derivante dall’inadempimento statuale alle note direttive, avrebbe dovuto essere allegata con deduzioni specifiche e non in modo generico, cioè con l’individuazione puntuale delle occasioni favorevoli in concreto perdute da ciascuno dei ricorrenti in ragione della mancata possibilità il titolo conforme alle caratteristiche imposte dal diritto comunitario e non già con la mera deduzione della impossibilità di utilizzazione del titolo in astratto (si veda, in termini, Cass. n. 5533 del 2012)” (anche Cass. nn. 1050, 1051 e 458 del 2019).

Stessa soluzione deve adottarsi per il motivo, comune sia ai ricorrenti con capofila A. che a quelli con capofila A., relativo all’omesso esame della richiesta di vedersi riconosciuta la rivalutazione monetaria.

Anche in tal caso l’inammissibilità ex art. 360 bis c.p.c., n. 2 deriva dal fatto che a seguito della stima equitativa L. n. 370 del 1999, ex art. 11 il debito è diventato di valuta, con conseguente irrilevanza, oltre che infondatezza della questione.

2.3.2.- Quanto infine al motivo relativo alla legittimazione passiva dei Ministeri, esclusa dalla sentenza di merito, ed affermata invece dai ricorrenti incidentali con capifila A. ed A., sia pure in alcuni casi in via condizionata, va osservato che, pur essendo lo Stato italiano, attraverso la Presidenza del Consiglio, il legittimato passivo, l’evocazione in giudizio – oltre che della Presidenza del Consiglio dei Ministri, legittimata a stare in giudizio – anche di singoli Ministeri non comporta alcuna conseguenza in termini di legittimazione sostanziale, trattandosi di articolazioni del Governo della Repubblica (Cass. 6029/2015; Cass. 765/2016), con conseguente infondatezza del motivo proposto.

Va pertanto dichiarato inammissibile il ricorso principale, inefficace quello incidentale con capofila indicato in epigrafe S., inammissibili i ricorsi incidentali con capifila A. e A., ed inammissibili i primi tre motivi del ricorso incidentale con Capofila Ac., di cui va invece accolto il quarto motivo, relativamente al C. e L., con rinvio ad altra sezione della corte di appello di Roma.

Le spese possono compensarsi secondo la regola della reciproca soccombenza tra ricorrente principale e incidentali inammissibili. Vanno invece liquidate a favore dei controricorrenti, che non hanno proposto ricorso incidentale.

PQM

La Corte, riuniti i ricorsi, dichiara inammissibile il ricorso principale. Dichiara inefficace il ricorso incidentale con capofila indicato in epigrafe S.. Dichiara inammissibili i ricorsi incidentali con capofila A. ed A.. Dichiara inammissibili i primi tre motivi del ricorso con capofila Ac.. Accoglie il quarto motivo relativamente a C. e L. e lo rigetta quanto alla D.P.. Cassa la sentenza impugnata, limitatamente al motivo di ricorso incidentale del C. e del L., e rinvia ad altra sezione della Corte di Appello di Roma, in diversa composizione, anche per le spese quanto ai relativi rapporti processuali. Compensa le spese fra ricorrente principale e ricorrenti incidentali i cui ricorsi sono dichiarati inammissibili. Condanna il ricorrente principale a favore dei resistenti non ricorrenti incidentali al pagamento delle spese di lite, nella misura di 2500,00 Euro, oltre 200,00 Euro per spese generali, da distrarsi a favore dei procuratori che hanno dichiarato di averi anticipate.

Così deciso in Roma, il 16 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 22 novembre 2019

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