Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30501 del 23/11/2018

Cassazione civile sez. I, 23/11/2018, (ud. 08/06/2018, dep. 23/11/2018), n.30501

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13930/2015 proposto da:

Ocrim S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, Vicolo dell’Oro n. 24, presso lo

studio dell’avvocato Coen Roberto, che la rappresenta e difende

unitamente agli avvocati Prado Claudio Maria, Prado Iuri Maria,

giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Eta Automazione S.r.l., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Piazza Fiammetta n.11,

presso lo studio dell’avvocato Italia Salvatore, che la rappresenta

e difende unitamente agli avvocati Antonioli Franco, Perani Andrea,

giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 9021/2014 del TRIBUNALE di MILANO, depositata

il 08/07/2014 e l’ordinanza della CORTE DI APPELLO di MILANO n.

229/2015 depositata il 27/03/2015;

lette le memorie delle parti ex art. 380 bis1 c.p.c.;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

08/06/2018 dal cons. VELLA PAOLA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con l’impugnata ordinanza ex art. 348 ter c.p.c., la Corte di Appello di Milano ha dichiarato inammissibile, ai sensi dell’art. 348 bis c.p.c., l’appello proposto dalla Ocrim S.p.a. avverso la sentenza – qui contestualmente impugnata – con cui il Tribunale di Milano aveva respinto le domande da essa proposte contro la Eta Automazione S.r.l., per asserita contraffazione dei brevetti per invenzione italiani n. (OMISSIS) e n. (OMISSIS) – relativi ad un dispositivo per la rigatura dei rulli di mulini per cereali e ai procedimenti per il loro funzionamento – dei quali la Ocrim stessa era titolare, dichiarandone la nullità in accoglimento della domanda riconvenzionale proposta dalla convenuta.

2. La Corte territoriale ha ritenuto condivisibili, e non inficiate dai motivi di appello, le valutazioni in fatto e diritto svolte dal giudice di primo grado all’esito di articolata c.t.u., nel senso che “i brevetti di parte attrice, realizzando la sostituzione di motori controllati meccanicamente con motori controllati elettronicamente, non apportano alcuna idea nuova ed inventiva, ma rappresentano la normale evoluzione del settore cui si riferiscono, attuabile da ogni esperto del ramo con l’applicazione di tecniche note”.

3. Ocrim S.p.a. ha proposto tre motivi di ricorso per cassazione avverso l’ordinanza della Corte d’appello di Milano ed ulteriori sei motivi avverso la sentenza del Tribunale di Milano, ai quali Eta Automazione S.r.l. ha resistito con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Cominciando ad esaminare le censure rivolte avverso l’ordinanza della Corte di appello di Milano, con il primo motivo si lamenta la violazione degli artt. 348 bis e 348 ter c.p.c., sostenendosi che il primo comma dell’art. 348 bis c.p.c., sarebbe inapplicabile ai sensi del comma 2, trattandosi di una delle cause di cui all’art. 70 c.p.c., comma 1, n. 1), il quale a sua volta prevede che “il pubblico ministero deve intervenire, a pena di nullità rilevabile d’ufficio, nelle cause che egli stesso potrebbe proporre” e, nel caso di specie, il D.Lgs. 10 febbraio 2005, n. 30, art. 122, comma 1, (Codice della Proprietà Industriale – CPI) dispone appunto che “l’azione diretta ad ottenere la dichiarazione di decadenza o di nullità di un titolo di proprietà industriale può essere esercitata da chiunque vi abbia interesse e promossa d’ufficio dal pubblico ministero”, non avendo asseritamente alcun rilievo l’aggiunta apportata dalla L. n. 99 del 2009, art. 19, comma 3, lett. a), al citato art. 122, comma 1, nel senso che “in deroga all’art. 70 c.p.c., l’intervento del pubblico ministero non è obbligatorio”.

1.1. Il motivo è infondato, poichè l’istituto della inammissibilità dell’impugnazione che non abbia ragionevole probabilità di essere accolta, di cui all’art. 348 bis c.p.c., comma 1, è testualmente inapplicabile, ai sensi del successivo comma 2, lett. a), “quando l’appello è proposto relativamente a una delle cause di cui all’art. 70, comma 1”, norma che contempla i casi di intervento obbligatorio del pubblico ministero – in cui cioè “il pubblico ministero deve intervenire, a pena di nullità rilevabile d’ufficio”, tra i quali rientrano, al n. 1), le “cause che egli stesso potrebbe proporre” e, al n. 5), gli “altri casi previsti dalla legge” – ma non anche le cause in cui la partecipazione del pubblico ministero è meramente facoltativa, ai sensi dell’art. 70 c.p.c., comma 3, tra le quali rientrano le cause di nullità del brevetto, ai sensi del novellato art. 122 C.P.I. (applicabile ratione temporis), ove all’originario comma 1, (“Fatto salvo il disposto dell’art. 118, comma 4, l’azione diretta ad ottenere la dichiarazione di decadenza o di nullità di un titolo di proprietà industriale può essere esercitata da chiunque vi abbia interesse e promossa d’ufficio dal pubblico ministero”) è stato aggiunto, nel 2009, il seguente, inequivocabile, periodo: “In deroga all’art. 70 c.p.c., l’intervento del pubblico ministero non è obbligatorio”.

2. Con il secondo mezzo, la ricorrente lamenta la violazione dell’art. 111 Cost., comma 6, art. 132 c.p.c., comma 4, e art. 348 ter c.p.c., comma 1, nonchè art. 118 disp. att. c.p.c., sostenendo che l’ordinanza della Corte d’appello sarebbe affetta da un difetto assoluto di motivazione, o comunque da una motivazione solo apparente.

2.1. La censura è infondata, poichè la motivazione oggettivamente sussiste, dal punto di vista materiale e grafico, nè si presenta illogica, contraddittoria o perplessa, sì da risultare incomprensibile; semmai, essa è succinta e sintetica, conformemente però al modello del giudizio di tipo prognostico contemplato dall’art. 348 ter c.p.c., il cui primo comma dispone espressamente che l’ordinanza in questione sia “succintamente motivata, anche mediante rinvio agli elementi di fatto riportati in uno o più atti di causa e il riferimento a precedenti conformi”.

2.2. Valga al riguardo il consolidato insegnamento di questa Corte, in base al quale, appunto, “la violazione del dovere di motivazione è riscontrabile solo nelle ipotesi di totale mancanza della motivazione dal punto di vista materiale e grafico ovvero nelle ipotesi ad esse assimilabili, ossia quando, pur essendovi una motivazione in senso materiale e grafico, essa non contiene una effettiva esposizione delle ragioni poste a base della decisione perchè propone contrasti irriducibili fra affermazioni inconciliabili ovvero si presenta perplessa o comunque risulta obiettivamente incomprensibile e quindi non idonea a rivelare la ratio decidendi, essendo peraltro necessario che tale situazione risulti esclusivamente dal medesimo testo della sentenza senza che sia necessario il raffronto con uno o più atti processuali” (Cass. Sez. U, n. 1914/2016, n. 8053/2014, n. 5888/1992).

2.3. Va inoltre ricordato che “la motivazione della sentenza “per relationem” è ammissibile, atteso che l’art. 118 disp. att. c.p.c., nel testo novellato dalla L. n. 69 del 2009, consente di rendere i motivi della decisione attraverso una succinta esposizione dei fatti rilevanti della causa e delle ragioni giuridiche della decisione, anche con riferimento ai precedenti conformi” (Sez. L., 22/05/2012, n. 8053, Rv. 623010 – 01).

3. Il terzo motivo prospetta una questione di legittimità costituzionale degli artt. 348 bis e 348 ter c.p.c., invocando un “supplemento di meditazione” sui relativi profili già esaminati da questa Corte.

3.1. Sul punto, invero, merita di essere integralmente richiamato e ribadito il consolidato orientamento di questa Corte che reputa “manifestamente infondata, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., e art. 111 Cost., comma 7, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 348 ter c.p.c., primo e penultimo comma, nella parte in cui prevedono, rispettivamente, la succinta motivazione dell’ordinanza dichiarativa dell’inammissibilità ex art. 348 bis c.p.c., e l’esclusione della ricorribilità in cassazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, del provvedimento di primo grado allorchè l’inammissibilità sia fondata sulle stesse ragioni, inerenti alle questioni di fatto, poste a base della decisione impugnata, atteso che, un secondo grado di giudizio di merito dinanzi al giudice ordinario non è oggetto di garanzia costituzionale e, quanto alla prima questione, la definizione semplificata del giudizio di appello e la limitazione del controllo di legittimità, in caso di “doppia conforme” in fatto, non solo non impediscono, nè limitano l’esercizio del diritto di difesa, ma contribuiscono a garantirne l’effettività” (Sez. 6 – 3, 11/12/2014 n. 26097, Rv. 633882 – 01); analogamente, si è affermato che “nel caso in cui l’appello venga dichiarato inammissibile per carenza di ragionevole probabilità di accoglimento ai sensi dell’art. 348 bis c.p.c., il ricorso per cassazione avverso la sentenza di primo grado proposto, ex art. 348 ter c.p.c., comma 3, oltre il termine di sessanta giorni dalla comunicazione dell’ordinanza di inammissibilità dell’appello è, a propria volta, inammissibile, dovendosi escludere la violazione degli artt. 24 e 111 Cost., atteso che la proposizione dell’impugnazione nel termine ordinario non costituisce un onere tale da impedire o rendere eccessivamente gravoso l’esercizio del diritto di difesa, nè, comunque, tale termine decorrerebbe qualora dalla comunicazione non fosse possibile ricondurre il provvedimento adottato a quello previsto dall’art. 348 bis c.p.c.” (Sez. 6 – 3, 15/05/2014 n. 10723, Rv. 630697 – 01).

3.2. D’altro canto, è già stato ampiamente chiarito che “l’ordinanza di inammissibilità dell’appello resa ex art. 348 ter c.p.c., è ricorribile per cassazione, ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 7, limitatamente ai vizi suoi propri costituenti violazioni della legge processuale (quali, per mero esempio, l’inosservanza delle specifiche previsioni di cui all’art. 348 bis c.p.c., comma 2, e art. 348 ter c.p.c., comma 1, primo periodo e, comma 2, primo periodo), purchè compatibili con la logica e la struttura del giudizio ad essa sotteso” (Sez. U, 02/02/2016 n. 1914, Rv. 638368 01) e che l’ordinanza di inammissibilità del gravame ai sensi degli artt. 348 bis e 348 ter c.p.c., è autonomamente impugnabile anche qualora essa “indichi ulteriori “rationes decidendi” – del tutto assenti nella sentenza di primo grado – con le quali il giudice di appello abbia corroborato la propria decisione… nella parte in cui ha aggiunto e integrato la motivazione del giudice di prime cure” (Sez. 3, 09/03/2018, n. 5655, Rv. 648291 – 01), ovvero qualora essa “rilevi l’inesattezza della motivazione della decisione di primo grado e sostituisca ad essa una diversa argomentazione in punto di fatto o di diritto”, poichè in tal caso, pur avendo “la veste formale di ordinanza, ha contenuto sostanziale di sentenza di merito, sicchè è ricorribile direttamente per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., fermo restando, in ogni caso, il termine prescritto dall’art. 348 ter c.p.c., comma 3, atteso che, applicando all’ordinanza avente contenuto di sentenza il termine lungo dalla comunicazione ex art. 327 c.p.c., il decorso di distinti termini per impugnare i due provvedimenti comporterebbe il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado, rendendo incomprensibile la ricorribilità avverso l’ordinanza” (Sez. 3, 08/02/2018 n. 3023, Rv. 647940 – 01).

3.3. Così ricostruito ed interpretato, il quadro normativo in disamina non soffre dunque dei prospettati dubbi di incostituzionalità.

4. Passando all’esame dei motivi di impugnazione della sentenza di primo grado, con il primo mezzo si denuncia la violazione dell’art. 48 C.P.I. nella parte in cui il Tribunale, “in presenza di insegnamenti tecnici noti”, ha condiviso le conclusioni del c.t.u. in base alle quali “ogni tecnico del ramo, alla luce delle comuni esigenze evolutive di passaggio dai sistemi meccanici ai sistemi elettronici, avrebbe saputo collegare gli insegnamenti in questione e realizzare i macchinari “de quo””, in quanto, così facendo, il giudice di primo grado sarebbe incappato nel condizionamento della “conoscenza ex post” dell’invenzione da valutare (finendo cioè per ritenere ovvio ciò che, senza conoscere l’invenzione, non lo sarebbe), piuttosto che adottare il corretto metodo del cd. problem-solution approach elaborato nella prassi dell’Ufficio Brevetti Europeo (EPO) e formalizzato nelle relative Linee Guida, ed in particolare i criteri di valutazione dell’originalità definiti dal cd. could-would approach, in base al quale occorre valutare se, alla luce della tecnica nota, un esperto del ramo non (semplicemente) “avrebbe potuto” individuare la soluzione poi brevettata, ma (specificamente) “sarebbe stato spinto” verso quel trovato.

5. Con il secondo motivo si contesta analogamente la violazione degli artt. 48,51 e 52 C.P.I. perchè il Tribunale avrebbe “fatto propri, adagiandovisi, l’iter argomentativo e le conclusioni dell’esperita CTU”, però affetta da plurimi errori, quanto alla individuazione: a) del problema tecnico (giudizio ex post facto); b) dell’esperto del ramo (un “super esperto nella rigatura dei rulli”); c) delle anteriorità rilevanti (il brevetto US (OMISSIS), afferente un settore completamente diverso e relativo ad un problema tecnico completamente diverso).

5.1. Le due censure, che in quanto connesse possono essere esaminate congiuntamente, sono inammissibili, in quanto, sebbene apparentemente veicolate da vizi di violazione di legge, attengono in realtà alla ricostruzione del fatto ed alla relativa valutazione tecnica, però non sindacabile in questa sede, tanto più avendo il Giudice del merito non solo esplicitato la portata delle conclusioni del c.t.u. (affermando che “sotto il profilo della modalità di effettuazione sia della rettifica che della rigatura dei rulli, i brevetti sono stati ampiamente anticipati da macchinari già ben noti al momento della loro concessione ed, in particolare, da MIAG n. (OMISSIS), che insegna la medesima tecnica di rettifica e rigatura dei rulli… con motori elettrici controllati meccanicamente e non elettronicamente”; e “sotto il profilo dei motori controllati elettronicamente… i brevetti attorei sono ampiamente anticipati a macchinari anchèessi già noti al momento della loro concessione ed, in particolare, da US (OMISSIS) (E1) che riguarda un settore identico, ovvero molto prossimo e, cioè, quello della rigatura di rulli per materie plastiche”), ma anche puntualmente passato in rassegna, superandole, le contestazioni di parte attrice alle conclusioni del c.t.u. (v. pag. 3 della sentenza).

6. Con il terzo mezzo si deduce la violazione dell’art. 48 C.P.I. per avere il Tribunale errato nel non applicare i principi del cd. “piccolo passo” e considerare tutelabile solo il cd. “colpo di genio”.

7. Con il quarto mezzo si lamenta la violazione degli artt. 48,51 e 52, C.P.I., per non avere il Tribunale valutato gli elementi secondari e, soprattutto, non aver considerato che tra le due invenzioni comparate non correvano cinque bensì cinquanta anni.

8. Analogamente, il quinto motivo assume la violazione degli artt. 48 e 52 C.P.I., per non essersi il Tribunale avveduto della diversità e novità della macchina oggetto dei due brevetti della ricorrente.

8.1. Anche questi ulteriori tre profili, che in quanto connessi vanno esaminati congiuntamente, integrano censure inammissibili, perchè attinenti alla ricostruzione del fatto ed alla valutazione tecnica, non sindacabile in questa sede.

9. Con il sesto motivo si lamenta infine la violazione dell’art. 112 c.p.c., per omessa pronuncia del Tribunale sulla domanda di concorrenza sleale ascritta alla Eta Automazione S.r.l., per il tramite del suo vicepresidente e consigliere delegato nonchè responsabile tecnico, ing. F., già collaboratore e poi consulente di Ocrim, nonchè inventore designato in entrambi i brevetti di quest’ultima.

9.1. La censura è infondata, in quanto il Tribunale, affermando la nullità dei brevetti in questione, ha implicitamente escluso anche la illiceità della concorrenza sleale ipotizzata, secondo il principio per cui “l’imitazione servile del prodotto dell’impresa concorrente può configurare, qualora ricorrano certi presupposti, un atto di concorrenza sleale, e determinare l’obbligazione del risarcimento del danno pur se il prodotto imitato non costituisca oggetto di privativa o di valida privativa. Qualora la concorrenza sleale venga, peraltro, denunciata come consistente soltanto nella violazione dei diritti derivanti da brevetto, la declaratoria di nullità di quest’ultimo esclude ogni ipotesi di illecito concorrenziale” (Sez. 1, 26/01/1999 n. 697, Rv. 522635 – 01).

10. Al rigetto del ricorso segue la condanna alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo.

PQM

Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.000,00 per compensi, oltre a spese forfettarie nella misura del 15 per cento, esborsi liquidati in Euro 200,00 ed accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 8 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 23 novembre 2018

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