Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30500 del 23/11/2018

Cassazione civile sez. I, 23/11/2018, (ud. 08/06/2018, dep. 23/11/2018), n.30500

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9175/2015 proposto da:

I.c.a.s. – Industria Canavesana Attrezzature Speciali S.p.a., Gefin

S.r.l., in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore,

elettivamente domiciliate in Roma, Via Maria Adelaide n. 8, presso

lo studio dell’avvocato Cau Andrea, rappresentate e difese

dall’avvocato Trinchera Andrea, giusta procura a margine del

ricorso;

– ricorrenti –

contro

Fallimento (OMISSIS) S.r.l.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 3433/2014 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 29/09/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

08/06/2018 dal cons. VELLA PAOLA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Le società Gefin S.r.l. (quale titolare dei brevetti italiani nn. (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS)) e I.c.a.s. – Industria Canavesana Attrezzature Speciali S.p.a. (licenziataria dei medesimi brevetti) convenivano in giudizio davanti al Tribunale di Milano le società concorrenti FAS S.r.l. e F.lli C. S.r.l. lamentando la contraffazione dei loro trovati, consistenti in macchinari industriali destinati alla fabbricazione in serie di “gabbiette ferma tappi”, ossia sistemi di chiusura in filo zincato per rivestire e trattenere i tappi delle bottiglie di vino.

2. Durante la prodromica fase cautelare di descrizione e sequestro D.Lgs. 10 febbraio 2005, n. 30, ex art. 128, (Codice della Proprietà Industriale – CPI), caratterizzata dall’espletamento di apposita c.t.u. e conclusasi con la concessione della invocata inibitoria, spiegavano intervento volontario M.E. (già dirigente dell’ICAS, responsabile dal 1987 al 1995 della manutenzione e montaggio dei macchinari che sfruttavano i brevetti in questione) e la società Me.Com S.r.l. (costituita da M.E. e dalla coniuge, avente come amministratore unico il figlio M.A., il quale tramite la PROME s.a.s. di A.M. & C. aveva curato la fabbricazione per ICAS di alcuni particolari meccanici delle macchine in questione), che assumeva poi la denominazione di (OMISSIS) S.r.l..

3. Raggiunto un accordo con le due società originariamente convenute, la causa di merito promossa da ICAS e GEFIN con atto di citazione del 13/12/2007, per l’accertamento della contraffazione dei brevetti, proseguiva nei confronti di (OMISSIS) S.r.l., la quale veniva successivamente dichiarata fallita in data 26/02/2015 (dopo la pubblicazione della sentenza d’appello qui impugnata).

4. Il Tribunale di Milano, disposta nuova c.t.u., dichiarava la nullità della frazione italiana del brevetto (OMISSIS) (in quanto il brevetto US (OMISSIS) rappresentava una anteriorità opponibile, sebbene in altro settore), del brevetto (OMISSIS) (limitatamente alla rivendicazione n. 5 (con travolgimento delle dipendenti rivendicazioni dal n. 6 al n. 14) e del brevetto (OMISSIS) in titolarità di Gefin S.r.l. ed in licenza di Icas S.p.a. (in quanto mero modello di utilità e non brevetto di invenzione); rigettava la domanda di nullità del brevetto (OMISSIS) (escludendo che con esso interferissero le macchine fabbricate da (OMISSIS) S.r.l.); rigettava le domande di contraffazione formulate contro Me.Com S.r.l. (poi (OMISSIS) S.r.l.) e disponeva la parziale compensazione delle spese di lite tra le parti.

5. Le società ICAS e GEFIN proponevano appello lamentando: i) che il brevetto ‘110 aveva i requisiti dell’invenzione e non del semplice modello di utilità; ii) che l’anteriorità del brevetto US (OMISSIS) non costituiva una anticipazione pertinente ai sensi degli artt. 46 e 48, e art. 52, comma 2, CPI, in quanto era riferita ad un diverso settore merceologico (trasporto di imballi) laddove il brevetto (OMISSIS) aveva ad oggetto un convogliatore per il trasporto delle gabbiette ferma-tappi; iii) che, nonostante gli esiti della c.t.u., il Tribunale aveva immotivatamente dichiarato nulle le rivendicazioni dal 5 in poi del brevetto (OMISSIS) (mentre le rivendicazioni da 1 a 4 erano già state ritenute nulle dal Tribunale di Ivrea e dalla Corte d’appello di Torino, perchè anticipate dalle rivendicazioni del brevetto n. (OMISSIS)).

6. La Corte d’appello respingeva tutti i motivi, affermando: i) che la tecnica produttiva del semilavorato di cui al trovato (OMISSIS) non era sostanzialmente mutata rispetto al precedente brevetto ICAS (OMISSIS), limitandosi ad aggiungere un accorgimento (forma del tracciato circolare e non “a pera”) che conferiva al macchinario una maggiore facilità e comodità di funzionamento, tipica del brevetto di modello di utilità; ii) che l’idea di soluzione dei brevetti EP (OMISSIS) e US (OMISSIS) era la medesima, a prescindere dalle dimensioni e dal settore di utilizzo dei due trovati, poco importando che nel brevetto americano fossero i pallet, e non i prodotti da essi trasportati, a strisciare all’interno della guida atta ad impedirne lo spostamento in senso radiale, mentre nel brevetto italiano a muoversi fossero le gabbiette; iii) che la nullità della rivendicazione n. 5 del brevetto (OMISSIS) era stata dichiarata non sulla base delle “sensazioni” del c.t.u., bensì per l’inoppugnabile similitudine tra i disegni redatti da ICAS e quelli allegati al manuale in russo della macchina “Schneider”, la cui anteriorità era attestata dalla targhetta recante l’anno di costruzione (1980).

7. Avverso la sentenza di secondo grado ICAS e GEFIN hanno proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi. La curatela intimata non ha svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo le ricorrenti invocano la “Nullità della sentenza ex art. 360 c.p.c., n. 4, per violazione dell’art. 112 c.p.c.”, lamentando l’omessa pronuncia della Corte d’appello “sull’eccepito abuso della personalità giuridica da parte della famiglia M. e per non avere, conseguentemente, rilevato il giudicato esterno costituito dalle pronunce n. 4739/12 e n. 19.715/12 di codesta Corte in riferimento (rispettivamente) alla validità del brevetto (OMISSIS) rivendicazioni da 5 a 14 nonchè 17 e 18 – e alla validità, come brevetto per invenzione, del brevetto (OMISSIS) che la Corte milanese ha declassato a modello di utilità, pronunciandone la nullità” e ciò tenuto conto che la relativa eccezione, “pur essendo esplicitata solo nella conclusionale d’appello”, doveva intendersi “ritualmente e tempestivamente formulata”, tanto più trattandosi della “prima difesa successiva alle pronunce citate della Cassazione”.

2. Con il secondo mezzo si deduce analogamente la “Nullità della sentenza ex art. 360 c.p.c., n. 4, per violazione dell’art. 111 Cost., e art. 132 c.p.c., n. 4, e art. 156 c.p.c., comma 2”, qualora “si reputasse che la sentenza impugnala abbia respinto “per implicito” le eccezioni sollevate dalle ricorrenti di abuso della personalità giuridica e del conseguente giudicato esterno”, stante la totale assenza di qualsivoglia motivazione al riguardo.

3. Il terzo motivo censura la “Violazione (ex art. 360 c.p.c., comma1, n. 4) dell’art. 111 Cost., comma 6, e art. 132 c.p.c., n. 4, e art. 156 c.p.c., comma 2, con riferimento alla nullità del brev. (OMISSIS)”, per asserita “illogicità manifesta della motivazione che è così incoerente da potersi qualificare quasi come apparente”, in quanto contenente affermazioni “inconciliabili tra loro” e “non per nulla… opposte” rispetto alle conclusioni cui sarebbero giunte, “a fronte dei medesimi apprezzamenti in fatto, la Corte di appello di Torino, prima (sentenza 113/2007), e codesta Corte, poi (sentenza 19715/12)”.

4. Con il quarto mezzo si denuncia infine la “Falsa applicazione (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) degli artt. 46 e 48, e art. 52, comma 2, C.P.I. con riferimento al brevetto (OMISSIS) ed alla presunta anteriorità del brevetto US (OMISSIS)”, per avere il giudice d’appello errato sia “nell’affermare che i brevetti sono i medesimi perchè “l’idea di soluzione dei due brevetti” sarebbe la medesima” – quando invece “nessun tecnico considererebbe un “pallet” equivalente ad un “prodotto”” – sia nel ritenere la “irrilevanza del settore di utilizzo dei due trovati”, in quanto “il “ramo” ed il conseguente “stato della tecnica” del brevetto americano e quello Gefin sono nettamente differenti e, pertanto, il brevetto invocato da MeCom non costituisce un’anteriorità invalidante”.

5. I primi due motivi di ricorso – che in quanto connessi possono essere esaminati congiuntamente – sono infondati.

5.1. Con essi i ricorrenti invocano sostanzialmente la preclusione del giudicato esterno che si sarebbe formato a seguito delle sentenze di questa Corte n. 4739 del marzo 2012 – sul brevetto (OMISSIS) – e n. (OMISSIS) del dicembre 2012 – sul brevetto (OMISSIS) – di conferma delle pronunce della Corte d’appello di Torino, ad essi favorevoli.

5.2. Senonchè, per costante insegnamento di questa Corte “l’autorità del giudicato sostanziale opera soltanto entro i rigorosi limiti degli elementi costitutivi dell’azione e presuppone che tra la precedente causa e quella in atto vi sia identità di parti, di “petitum” e di “causa petendi”” (Sez. 1, Sentenza n. 6830 del 24/03/2014; conf. Cass. 17/11/2017, n. 27348 e Cass. 27/01/2006, n. 1760). Nel caso di specie è invece pacifico che non vi sia identità delle parti, tanto che le stesse ricorrenti sono costrette ad ancorare la dedotta preclusione pro iudicato ad un asserito abuso della personalità giuridica, il quale presupporrebbe, però, un autonomo giudizio – o quantomeno un compiuto accertamento – nei confronti dei soggetti coinvolti, con doveroso assolvimento dell’onere di provare che le parti del presente giudizio sarebbero, in realtà, le stesse del precedente giudizio sul quale si è formato il giudicato. Tale accertamento non è surrogabile dalle mere argomentazioni svolte nella comparsa conclusionale di primo grado circa la “confusione di persone e patrimoni esistente fra MeCom e ProMe s.a.s.”, nè dalla deduzione dell’abuso della personalità giuridica svolto per la prima volta nella comparsa conclusionale di appello; ciò giustifica anche la mancanza di una espressa pronuncia del giudice a quo, trattandosi di una prospettazione che non risulta sorretta da apposito ed autonomo petitum (del quale invero non si allega neppure la formulazione).

6. La terza censura è infondata, in quanto la motivazione resa dal giudice d’appello a pag. 13 della sentenza impugnata (penultimo capoverso) non risulta nè meramente apparente nè manifestamente illogica o contraddittoria, al punto da rendere nulla l’intera sentenza, sostanziandosi in una chiara ricostruzione delle ragioni in base alle quali i giudici d’appello hanno ritenuto che il trovato (OMISSIS) rientrasse “a pieno nella definizione normativa e giurisprudenziale del brevetto di modello di utilità”; si tratta dunque a ben vedere di una motivazione non già nulla, ma semplicemente non condivisa dalle ricorrenti, anche perchè diversa da quella cui si sarebbe approdati nel precedente giudizio intercorso nei confronti di altri soggetti.

7. Il quarto motivo è infine inammissibile, poichè le censure prospettate come errores in iudicando, oltre a difettare in più parti della dovuta autosufficienza, finiscono per coinvolgere valutazioni di merito, incensurabili in questa sede.

7.1. Al riguardo, questa Corte ha più volte chiarito che: a) il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), può rivestire la forma della violazione di legge – intesa come errata negazione o affermazione dell’esistenza o inesistenza di una norma, ovvero attribuzione alla stessa di un significato inappropriato – e della falsa applicazione di norme di diritto – intesa come sussunzione della fattispecie concreta in una disposizione non pertinente (perchè, ove propriamente individuata ed interpretata, riferita ad altro) ovvero nella deduzione da una norma di conseguenze giuridiche che, in relazione alla fattispecie concreta, contraddicono la sua – pur corretta – interpretazione (Cass. 26/09/2005, n. 18782); b) non integra nè violazione, nè falsa applicazione di norme di diritto la denuncia di una erronea ricognizione della fattispecie concreta in funzione delle risultanze di causa, poichè essa si colloca al di fuori dell’ambito interpretative ed applicativo della norma di legge; c) il discrimine tra la violazione di legge in senso proprio (per erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa) e l’erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, diversamente dalla prima, è mediata – come nel caso di specie – dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (Cass. 11/01/2016, n. 195; 30/12/2015, n. 26110; 04/94/2013, n. 8315; 16/07/2010, n. 16698; 26/03/2010, n. 7394; Sez. U., 05/05/2006, n. 10313).

8. In conclusione, il ricorso va rigettato, senza necessità di statuizione sulle spese processuali che, in assenza di difese della parte intimata, restano a carico delle ricorrenti.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 8 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 23 novembre 2018

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