Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3050 del 06/02/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 06/02/2017, (ud. 09/11/2016, dep.06/02/2017),  n. 3050

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. VENUTI Pietro – Consigliere –

Dott. MANNA Antonio – rel. Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 28195-2014 proposto da:

SCARDELLATO S.R.L. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FLAMINIA 213,

presso lo studio dell’avvocato ROMOLO REBOA, che la rappresenta e

difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

V.N. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA SAN TOMMASO D’AQUINO 47, presso lo studio dell’avvocato UMBERTO

CANTELLI (Studio BONETTI), che lo rappresenta e difende, giusta

delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3859/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 04/07/2014 R.G.N. 5110/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/11/2016 dal Consigliere Dott. ANTONIO MANNA;

udito l’Avvocato REBOA ROMOLO;

udito l’Avvocato CANTELLI UMBERTO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO RITA che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza pubblicata il 4.7.14 la Corte d’appello di Roma, in riforma della sentenza di rigetto emessa dal Tribunale capitolino e in accoglimento della domanda proposta da V.N. contro la Scardellato S.r.l., dichiarava illegittimo il licenziamento per superamento del periodo di comporto intimato il 13.3.11 al lavoratore, ordinandone la reintegra nel posto di lavoro con le conseguenze economiche di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 18.

Per la cassazione della sentenza ricorre la Scardellato S.r.l. affidandosi a cinque motivi.

V.N. resiste con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1- Con il primo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia sull’eccepita inammissibilità dell’appello dell’odierno controricorrente per difetto di specifiche confutazioni delle argomentazioni spese dal primo giudice nel rigettare la sua domanda.

Doglianza sostanzialmente analoga viene fatta valere con il secondo motivo, sotto forma di denuncia di violazione e falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c..

Il terzo motivo prospetta vizio di omesso esame d’un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, consistente nella data di superamento del periodo di comporto, ravvisata dalla Corte territoriale nel 15.1.11, data rispetto alla quale ha ritenuto tardivo il licenziamento, intimato soltanto il 16.3.11; inoltre – prosegue il motivo – la sentenza impugnata non ha considerato che V.N. era stato nuovamente assente per malattia a decorrere dal 7.3.11, così superando il periodo di comporto una seconda volta il 14.3.11.

Il quarto motivo denuncia violazione dell’art. 115 c.p.c., per non avere l’impugnata sentenza preso in considerazione la prova decisiva che la lettera di licenziamento del 16.3.11 specificava mese per mese il periodo di comporto esaurito dal lavoratore.

Il quinto motivo deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2110 c.c., comma 2, perchè, quand’anche il periodo di comporto si fosse esaurito il 15.1.11, ad ogni modo la società aveva atteso circa un mese per verificare l’effettiva capacità di reinserimento del lavoratore (come, d’altronde, sancito da costante giurisprudenza) e, solo dopo, l’aveva licenziato.

2- I primi due motivi – da esaminarsi congiuntamente perchè connessi – sono infondati.

Effettivamente la sentenza impugnata non si è pronunciata sull’eccezione, sollevata in rito, di inammissibilità del gravame per mancanza di specificità dei motivi.

Nondimeno, ritiene questa Corte di aderire all’orientamento (cfr. Cass. n. 23989/14; Cass. n. 18537/14; Cass. n. 28663/13; Cass. n. 8622/12) secondo, cui anche in presenza d’un error in procedendo questa S.C. ha il potere di correggere o integrare la motivazione su questione di diritto e non di fatto.

In siffatta evenienza la Corte di cassazione, in ragione della funzione nomofilattica ad essa affidata dall’ordinamento, nonchè dei principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo, di cui all’art. 111 Cost., comma 2, ha il potere, alla luce di una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 384 c.p.c., di correggere la motivazione, anche a fronte di un error in procedendo (tale essendo la motivazione omessa), mediante l’enunciazione delle ragioni che giustificano in diritto la decisione assunta, sempre che si tratti di questione che non richieda ulteriori accertamenti in fatto (altri precedenti propendono invece, sempre che non siano necessari nuovi accertamenti in punto di fatto, per la cassazione senza rinvio con decisione nel merito ex art. 384 c.p.c., comma 2: cfr. Cass. n. 21968/15; Cass. n. 5729/12; Cass. n. 15112/13; Cass. n. 2313/10).

Si premetta – ancora – che, secondo il principio sancito da Cass. S.U. n. 8077/12, cui va data continuità, quando con il ricorso per cassazione venga dedotto un error in procedendo, il sindacato del giudice di legittimità investe direttamente l’invalidità denunciata, mediante l’accesso diretto agli atti sui quali si basa il ricorso medesimo, indipendentemente dall’eventuale sufficienza e logicità della motivazione adottata in proposito dal giudice di merito, atteso che, in tali casi, la Corte di cassazione è giudice anche del fatto processuale.

Nel caso di specie, l’appello di V.N. conteneva apposite e specifiche confutazioni delle argomentazioni esposte dal primo giudice nel rigettare la domanda, censurando la pronuncia di prime cure per le eccezioni in rito non accolte, per non aver valutato che il superamento del periodo di comporto si era verificato a cagione del contegno della società (che ripetutamente si era rifiutata di chiarirne il tempo residuo malgrado reiterate apposite istanze in tal senso avanzate dal dipendente), per non aver considerato il legittimo affidamento del lavoratore e, infine, per aver ignorato la tardività del recesso.

3- Il terzo motivo è infondato perchè, contrariamente a quanto si suppone in ricorso, in realtà la sentenza impugnata ha specificamente esaminato il fatto decisivo consistente nella data di superamento del periodo di comporto. Quanto alla sua esatta individuazione, il dibattito su tale esattezza può porsi – a seconda dei casi – come questione di diritto o di mero apprezzamento delle risultanze di causa, ma in quanto tale non può mai farsi rientrare nell’alveo dell’art. 360 c.p.c., n. 5 nuovo testo, che concerne esclusivamente l’omesso non erroneo – esame d’un fatto inteso nella sua accezione storico-fenomenica.

4- Ancora da disattendersi è il quarto motivo perchè, ad onta del richiamo normativo in esso contenuto, in realtà sollecita soltanto una rivisitazione nel merito delle prove documentali, operazione non consentita in sede di legittimità.

5- Infine, il quinto motivo è inammissibile, perchè non censura l’altra concorrente ratio decidendi adottata dalla Corte territoriale, che ha invalidato il licenziamento non solo per tardività, ma anche per violazione dei principi di correttezza e buona fede da parte della società, che reiteratamente invitata dal dipendente a chiarire quanti giorni di ferie e permessi fossero ancora a suo credito e ciò per poterne fruire onde evitare il superamento del periodo di comporto, non ha neppure risposto alle missive dell’odierno controricorrente, così come non mai fornito alcun chiarimento circa il residuo periodo di comporto, sebbene specificamente interpellata anche a riguardo.

Invero, allorquando la sentenza di merito si basi su una pluralità di autonome ragioni, ciascuna di per sè sufficiente a giustificare la decisione (poco importa se esatta o meno), la parte soccombente ha l’onere di censurare e confutare ognuna di esse con apposite argomentazioni, non potendo il giudice dell’impugnazione estendere il proprio esame a punti non compresi neppure per implicito nei termini prospettati dal gravame, senza violare il principio della corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato (cfr., ex aliis, Cass. nn. 18310/07, 7809/01 e 7675/95).

E’ pur possibile un’implicita censura d’una ratio decidendi, ma soltanto quando le due o più rationes decidendi siano in rapporto di pregiudizialità logica o giuridica: in siffatta evenienza la specifica impugnazione della ratio pregiudicante contiene per implicito anche la contestazione della ratio pregiudicata, non potendo quest’ultima reggersi da sola una volta che sia stata dimostrata l’infondatezza della prima.

Ma, a tutta evidenza, non è questo il caso di specie.

Va dunque ribadito il principio secondo cui, ove venga impugnata una sentenza – o un capo di questa – fondata su più ragioni, tutte autonomamente idonee a sorreggerla, è necessario che ciascuna di esse abbia formato oggetto di specifica censura; diversamente, l’omessa impugnazione di una di esse rende inammissibile la censura relativa alle altre, la quale, essendo divenuta definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, non potrebbe produrre in nessun caso la rimozione della sentenza (v. Cass. 25.2.13 n. 4672; cfr. altresì, ex aliis, Cass. 3.11.11 n. 22753 e Cass. S.U. 8.8.2005 n. 16602).

6- In conclusione, il ricorso è da rigettarsi.

Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza e si distraggono ex art. 93 c.p.c. in favore del difensore antistatario.

PQM

La Corte:

rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente a pagare le spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 4.600,00 di cui Euro 100,00 per esborsi ed Euro 4.500,00 per compensi professionali, oltre al 15% di spese generali e agli accessori di legge, spese da distrarsi in favore dell’avv. Umberto Cantelli, antistatario.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater come modificato dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 9 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 6 febbraio 2017

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