Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30491 del 23/11/2018

Cassazione civile sez. VI, 23/11/2018, (ud. 05/06/2018, dep. 23/11/2018), n.30491

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – rel. Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11309-2017 proposto da:

COMUNE CAPACCIO PAESTUM C.F. (OMISSIS), in persona del Sindaco pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA piazza Cavour presso la

Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso

dall’avvocato EMILIO GRIMALDI;

– ricorrente –

contro

D.M.C.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 5113/2016 del TRIBUNALE di SALERNO, depositata

il 09/11/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 05/06/2018 dal Consigliere Dott. ELISA PICARONI.

Fatto

RITENUTO

che il Comune di Capaccio ricorre per la cassazione della sentenza del Tribunale di Salerno, depositata il 9 novembre 2016, che ha rigettato l’appello proposto da D.M.C. avverso la sentenza del Giudice di pace di Capaccio n. 453 del 2011, e nei confronti del suddetto Comune, e ha disposto la compensazione delle spese del giudizio di secondo grado;

che il Tribunale ha fatto applicazione del principio di diritto enucleato da Cass. Sez. U. 22 settembre 2016, n. 18569, e compensato le spese in ragione della sopravvenienza di tale pronuncia all’introduzione del giudizio d’appello;

che il Comune ricorre sulla base di un motivo, anche illustrato da memoria;

che la parte intimata non ha svolto difese;

che il relatore ha formulato proposta di decisione, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., di manifesta infondatezza del ricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che con l’unico motivo di ricorso è denunciata violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. e si contesta la disposta compensazione delle spese di lite del giudizio d’appello;

che, secondo il ricorrente Comune, il contrasto giurisprudenziale assunto dal giudice a giustificazione della decisione era stato superato prima della sopravvenuta pronuncia a Sezioni unite n. 18569 del 2016, e l’infondatezza del gravame proposto dal D.M.C. impediva, in ogni caso, la compensazione delle spese;

che la doglianza è manifestamente infondata sotto tutti i profili;

che il contrasto giurisprudenziale di cui dà atto il Tribunale nella pronuncia impugnata è stato risolto dalle Sezioni Unite in epoca successiva all’introduzione del giudizio d’appello;

che, infatti, dopo la pronuncia a Sezioni Unite 01/08/2012, n. 13794 richiamata dal Comune, è intervenuta la sentenza della Corte cost. n. 3 del 2015, che ha ritenuto non fondata su base interpretativa la questione di legittimità costituzionale degli artt. 133 e 327 c.p.c.;

che, secondo il Giudice delle leggi, “per costituire dies a quo del termine per l’impugnazione, la data apposta in calce alla sentenza dal cancelliere deve essere qualificata dalla contestuale adozione delle misure volte a garantirne la conoscibilità e solo da questo concorso di elementi consegue tale effetto, che, in presenza di una seconda data, deve ritenersi di regola realizzato esclusivamente in corrispondenza di quest’ultima”;

che successivamente, apertosi contrasto sull’applicazione del dictum della Corte costituzionale, le Sezioni Unite sono nuovamente intervenute ed hanno enucleato il principio di diritto secondo il quale, “Nel caso in cui risulti realizzata una impropria scissione tra i momenti di deposito e pubblicazione attraverso l’apposizione in calce alla sentenza di due diverse date, il giudice tenuto a verificare la tempestività dell’impugnazione proposta deve accertare – attraverso un’istruttoria documentale o, in mancanza, il ricorso, se del caso, alla presunzione semplice ovvero, in ultima analisi, alla regola di giudizio di cui all’art. 2697 c.c., alla stregua della quale spetta all’impugnante provare la tempestività della propria impugnazione – il momento di decorrenza del termine d’impugnazione, perciò il momento in cui la sentenza è divenuta conoscibile attraverso il deposito ufficiale in cancelleria comportante l’inserimento di essa nell’elenco cronologico delle sentenze e l’attribuzione del relativo numero identificativo”;

che, in definitiva, il Tribunale ha ritenuto tardivo l’appello applicando il principio enucleato dalla sopravvenuta pronuncia delle Sezioni unite n. 18569 del 2016, e ciò giustifica la disposta compensazione ai sensi dell’art. 92 c.p.c., comma 2, anche considerando il testo antecedente alla sentenza della Corte cost. n. 77 del 2018, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della citata norma nella parte in cui non prevede che il giudice possa compensare le spese tra le parti, parzialmente o per intero, anche qualora sussistano altre analoghe gravi ed eccezionali ragioni;

che non è pertinente il richiamo del ricorrente Comune alla infondatezza nel merito dell’appello e al criterio della soccombenza virtuale;

che il criterio della soccombenza virtuale, che impone di esaminare il merito ai fini della pronuncia sulle spese, trova applicazione soltanto a fronte di rilevata cessazione della materia del contendere (ex plurimis, Cass. 07/05/2009, n. 10553; Cass. 08/06/2017, n. 14267), mentre nel caso di specie il giudizio è stato definito con pronuncia di inammissibilità del gravame per tardività, e perciò il Tribunale aveva il dovere di emettere la pronuncia consequenziale ed accessoria in punto di spese del giudizio, come correttamente ha fatto;

che al rigetto del ricorso non fa seguito pronuncia sulle spese del presente giudizio, in mancanza di attività difensiva dell’intimato;

che sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 6-2 Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 5 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 23 novembre 2018

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