Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30484 del 28/10/2021

Cassazione civile sez. VI, 28/10/2021, (ud. 05/10/2021, dep. 28/10/2021), n.30484

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FERRO Massimo – Presidente –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13481/2020 proposto da:

E.J., elettivamente domiciliato in Roma, Viale delle Milizie

18, presso lo studio dell’avvocato Antonella Consolo, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– resistente –

Avverso la sentenza n. 5138/2019 della Corte d’appello di Venezia,

depositata il 19/11/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 5/10/2021 dal Consigliere Relatore Dott. GIULIA

IOFRIDA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Venezia, con sentenza n. 5138/2019 depositata in data 19/11/2019, ha respinto il gravame di E.J., cittadino nigeriano, avverso la decisione di primo grado, che aveva, a seguito di diniego della competente Commissione territoriale, respinto la richiesta di riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria od umanitaria.

In particolare, i giudici d’appello hanno sostenuto che: il racconto del richiedente (essere stato costretto a lasciare il Paese d’origine per sfuggire alle minacce della comunità essendosi rifiutato di prendere il posto del padre, alla sua morte, come capo woodoo del villaggio) non era credibile, per genericità e diverse contraddizioni, come anche ritenuto in primo grado, e non integrava i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b); quanto alla protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), la Nigeria e la regione di provenienza (Edo State) non erano interessate (secondo le fonti consultate, Limes 2017, Freedom House, Refworld.org 2018, Easo ed Amnesty International 2017-2018, Human Rights Watch 2018) da violenza generalizzata; in difetto di situazioni di personale vulnerabilità, non ricorrevano i presupposti neppure per la concessione della protezione umanitaria.

Avverso la suddetta pronuncia, E.J. propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno (che dichiara di costituirsi al solo fine di partecipare all’udienza pubblica di discussione).

E’ stata disposta la trattazione con il rito camerale di cui all’art. 380-bis c.p.c., ritenuti ricorrenti i relativi presupposti.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente lamenta: a) con il primo motivo, la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, degli art. 10 Cost, comma 3, della Direttiva 2011/95/UE e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 3, sul dovere di cooperazione istruttoria, nonché l’omesso esame di circostanze decisive sui gravi motivi di persecuzione etnica allegati, in particolare, per la ritenuta non credibilità delle dichiarazioni, con affermazione meramente apodittica, senza esame della documentazione allegata, anche in riferimento alla situazione politica del Paese d’origine; b) con il secondo motivo, la violazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, degli D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, D.Lgs. n. 245 del 2008, art. 8, comma 3, in relazione al diniego di protezione umanitaria, senza alcuna valutazione della situazione di vulnerabilità allegata e delle violenze subite nel paese di transito; c) con il terzo motivo, la violazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 136, comma 2, in relazione alla revoca del beneficio del “gratuito patrocinio”, sulla base della asserita manifesta infondatezza del ricorso.

2. La prima censura è inammissibile.

Invero, si è già chiarito che, in tema di protezione internazionale, la valutazione di non credibilità del racconto, costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito il quale deve valutare se le dichiarazioni del richiedente siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5 lett. c), ma pur sempre a fronte di dichiarazioni sufficientemente specifiche e circostanziate (cfr. Cass. 27593/2018 e Cass.29358/2018).

Anche di recente (Cass. 11925/2020), si è affermato che “la valutazione di affidabilità del richiedente è il risultato di una procedimentalizzazione legale della decisione che deve essere svolta alla luce dei criteri specifici, indicati dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, oltre che di quelli generali di ordine presuntivo, idonei ad illuminare circa la veridicità delle dichiarazioni rese; sicché, il giudice è tenuto a sottoporre le dichiarazioni del richiedente, ove non suffragate da prove, non soltanto ad un controllo di coerenza interna ed esterna ma anche ad una verifica di credibilità razionale della concreta vicenda narrata a fondamento della domanda, i cui esiti in termini di inattendibilità costituiscono apprezzamento di fatto insindacabile in sede di legittimità, se non nei limiti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”.

In ricorso, si lamenta, del tutto genericamente, un mancato esame delle dichiarazioni rese dal richiedente e della situazione generale di instabilità politica del Paese d’origine e si deduce che la storia personale avrebbe dovuto comunque comportare l’accoglimento della chiesta protezione internazionale, per il solo fatto che il proprio Paese non sarebbe in grado di offrire protezione e che il richiedente verserebbe in caso di rientro in condizione serio pericolo.

Ora, deve rilevarsi che la Corte di merito ha esaminato puntualmente sia le dichiarazioni rese dal richiedente sia la situazione del Paese d’origine. Nella specie, tutti gli aspetti significativi della vicenda narrata dal richiedente sono stati esaminati.

Quanto alla verifica officiosa sulla situazione della Nigeria in punto di sicurezza, se è vero che nella materia in oggetto il giudice abbia il dovere di cooperare nell’accertamento dei fatti rilevanti, compiendo un’attività istruttoria ufficiosa, essendo necessario temperare l’asimmetria derivante dalla posizione delle parti (Cass. 13 dicembre 2016, n. 25534), deve tuttavia rilevarsi che la Corte d’appello ha attivato il potere di indagine nel senso indicato, consultando fonti internazionali.

3. Anche la seconda doglianza è inammissibile.

Il ricorrente censura il rigetto della richiesta di protezione umanitaria, lamentando genericamente che la Corte d’appello non avrebbe vagliato la condizione di particolare vulnerabilità cui sarebbe esposto il richiedente, in caso di rientro nel Paese, con riferimento alla perdita dell’integrazione raggiunta in Italia.

Ora la Corte territoriale ha motivatamente ritenuto che i fatti lamentati non costituiscano un ostacolo al rimpatrio né integrino un’esposizione seria alla lesione dei diritti fondamentali.

Le Sezioni Unite (Cass. 24413/2021) si sono nuovamente pronunciate sul tema della protezione umanitaria, alla stregua del testo del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6, anteriore alle modifiche recate dal D.L. 4 ottobre 2018, n. 113, e del contenuto della valutazione comparativa affidata al giudice, tra la situazione che, in caso di rimpatrio, il richiedente lascerebbe in Italia e quella che il medesimo troverebbe nel Paese di origine, già condiviso dalle Sezioni Unite, con la precedente sentenza n. 29459/2019, affermando il seguente principio di diritto: “In base alla normativa del T.U. Imm. anteriore alle modifiche introdotte dal D.L. n. 113 del 2018, ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, occorre operare una valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta in Italia. Tale valutazione comparativa dovrà essere svolta attribuendo alla condizione soggettiva e oggettiva del richiedente nel Paese d’origine un peso tanto minore quanto maggiore risulti il grado di integrazione che il richiedente dimostri di aver raggiunto nel tessuto sociale italiano. Situazioni di deprivazione dei diritti umani di particolare gravità nel Paese d’origine possono fondare il diritto del richiedente alla protezione umanitaria anche in assenza di un apprezzabile livello di integrazione del medesimo in Italia. Per contro, quando si accerti che tale livello sia stato raggiunto, se il ritorno in Paesi d’origine rende probabile un significativo scadimento delle condizioni di vita privata e/o familiare, sì da recare un vulnus al diritto riconosciuto dall’art. 8 Convenzione EDU, sussiste un serio motivo di carattere umanitario, ai sensi dell’art. 5 T. U. cit., per riconoscere il permesso di soggiorno”.

Il ricorso risulta del tutto generico anche in relazione all’integrazione effettiva in Italia del richiedente, limitandosi lo stesso a dedurre di lavorato nel nostro Paese (senza altra specificazione).

4. La terza censura è inammissibile. Questa Corte ha da tempo chiarito (Cass. 3028/2018; Cass. 29228/2017) che “la revoca dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato adottata con la sentenza che definisce il giudizio di appello, anziché con separato decreto, come previsto dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 136, non comporta mutamenti nel regime impugnatorio che resta quello, ordinario e generale, dell’opposizione della stesso D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 170, dovendosi escludere che la pronuncia sulla revoca, in quanta adottata con sentenza, sia, per ciò solo, impugnabile immediatamente con il ricorso per cassazione, rimedio previsto solo per l’ipotesi contemplata dal citato D.P.R. n. 115 del 2002, art. 113” (conf. Cass. 10487/2020; Cass. 16968/2020).

5. Per tutto quanto sopra esposto, va dichiarato inammissibile il ricorso. Non v’e’ luogo a provvedere sulle spese processuali non avendo l’intimato svolto attività difensiva.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della ricorrenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 5 ottobre 2021.

Depositato in Cancelleria il 28 ottobre 2021

 

 

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