Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30484 del 23/11/2018

Cassazione civile sez. VI, 23/11/2018, (ud. 24/05/2018, dep. 23/11/2018), n.30484

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – rel. Consigliere –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24826-2015 proposto da:

IDEAFILO2 DI M.S., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CICERONE 60, presso

lo studio dell’avvocato ENZO MUSCO, rappresentata e difesa

dall’avvocato GIUSEPPE PERRONI;

– ricorrente –

contro

LORIS SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CELIMONTANA 38, presso lo

studio dell’avvocato PAOLO PANARITI, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato GIAN PAOLO PARRI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 295/2015 del TRIBUNALE di PRATO, emessa il

03/03/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 24/05/2018 dal Consigliere Dott. PASQUALE D’ASCOLA.

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

1) Dalla sentenza impugnata si apprende che con sentenza n. 1472/2011, il Giudice di Pace di Prato respingeva la domanda proposta da Loris S.r.l. nei confronti di M.S., titolare della Ditta individuale “Idealfilo2 di M.S.”.

La Loris S.r.l. aveva chiesto la declaratoria di risoluzione del contratto di compravendita in corso tra le parti limitatamente ad un quantitativo di merce (rotoli di carta patinata) fatturata ma non consegnata, con conseguente condanna del convenuto al pagamento di Euro 3.858,00, pari alla differenza tra “quanto complessivamente pagato dalla Loris S.r.l. per l’integrale fornitura ed il prezzo per la merce non consegnata”.

Su appello proposto dalla Loris S.r.l., il Tribunale di Prato, con sentenza n. 2792/2012, depositata il 9.03.2015, accoglieva il gravame e per l’effetto pronunciava la risoluzione parziale del contratto di compravendita e condannava Idealfilo2 a corrispondere la differenza del corrispettivo. Respingeva l’appello incidentale.

2) Per la cassazione della sentenza, M.S. ha proposto ricorso, con atto notificato il 12.10.2015, affidato ad un unico motivo.

L’intimato si è difeso con controricorso.

IL relatore ha avviato la causa a trattazione con rito camerale davanti alla Sesta sezione civile, proponendo la declaratoria di inammissibilità.

3) Con l’unico mezzo parte ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione degli artt. 2727 c.c. ss. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Il ricorso è inammissibile da un duplice angolo visuale.

In primo luogo, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 3, il ricorso deve contenere a pena di inammissibilità la esposizione sommaria dei fatti di causa.

Per soddisfare il requisito imposto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3), il ricorso per cassazione deve contenere l’esposizione chiara ed esauriente, sia pure non analitica o particolareggiata, dei fatti di causa, dalla quale devono risultare le reciproche pretese delle parti, con i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le giustificano, le eccezioni, le difese e le deduzioni di ciascuna parte in relazione alla posizione avversaria, lo svolgersi della vicenda processuale nelle sue articolazioni, le argomentazioni essenziali, in fatto e in diritto, su cui si fonda la sentenza impugnata e sulle quali si richiede alla Corte di cassazione, nei limiti del giudizio di legittimità, una valutazione giuridica diversa da quella asseritamente erronea, compiuta dal giudice di merito.

Il ricorso per cassazione in cui manchi completamente l’esposizione dei fatti di causa e del contenuto del provvedimento impugnato è inammissibile; tale mancanza non può essere superata attraverso l’esame delle censure in cui si articola il ricorso, non essendone garantita l’esatta comprensione in assenza di riferimenti alla motivazione del provvedimento censurato, nè attraverso l’esame di altri atti processuali, ostandovi il principio di autonomia del ricorso per cassazione. (Sez. U, Sentenza n. 11308 del 22/05/2014)

Tale principio impone che esso contenga tutti gli elementi necessari a porre il giudice di legittimità in grado di avere la completa cognizione della controversia e del suo oggetto, di cogliere il significato e la portata delle censure rivolte alle specifiche argomentazioni della sentenza impugnata, senza la necessità di accedere ad altre fonti ed atti del processo (cfr., tra le moltissime, Cass. 1926/15). Esso può ritenersi soddisfatto, senza necessità che gli sia dedicata una premessa autonoma e distinta rispetto ai motivi, laddove il contenuto del ricorso consenta al giudice di legittimità, in relazione ai motivi proposti, di avere una chiara e completa cognizione dei fatti che hanno originato la controversia e dell’oggetto dell’impugnazione, senza dover ricorrere ad altre fonti o atti in suo possesso, (Cass Sez. U, n. 11653 del 18/05/2006).

3.1) Nella specie il ricorso non soddisfa i requisiti richiesti. Esso infatti non contiene alcuna esposizione, seppure sommaria, dei fatti di causa.

Il motivo si incentra sulla indicazione di “circostanze ormai assodate” emergenti “dall’esame dei dati istruttori” che il ricorrente accenna a pagg. 2 e 3 del ricorso.

Tale iter argomentativo nulla dice sulle questioni sostanziali agitate dalle parti, sugli snodi decisivi dei fatti di causa, sulle vicende del processo.

In secondo luogo, il ricorso pecca di genericità anche nell’esposizione della censura: non si spiega in cosa consisterebbe l’error iuris in cui sarebbe incorsa la Corte d’appello.

Dopo essersi diffusa in un apprezzamento alternativo di circostanze di causa, per sostenere che controparte era inadempiente, parte ricorrente si limita a liquidare la statuizione d’appello, sorretta da una articolata motivazione in risposta ai motivi di gravame, con tali parole: “il Giudice del Tribunale di Prato non ha inteso minimamente scomodare quindi apprezzare quella semplice quanto scolastica lettura dell’art. 2727 c.c. e segg., trincerandosi dietro una inutile (per motivi già detti) rigidità probatoria avendo a portata di mano la soluzione della lite se in tal senso avesse mosso il suo giudizio. (Cass. Sez. civile 3, 30.01.2014 n. 2082 – Cass. Sez. civile 3, 25.09.2014 n. 20167). Nel concludere chiediamo: Quale motivo aveva l’odierna ricorrente a destinare la merce in altra sede se il tutto non fosse stato concordato tra le parti?”

A supporto di questa doglianza, il ricorrente si limita a riportare alcune circostanze di fatto che considera probanti, sollecitando una ricostruzione alternativa dei fatti di causa, relativi alla consegna dei beni pattuiti, inammissibile in questa sede, posto che il novellato art. 360, n. 5, ammette solo la denuncia per omesso esame di un fatto controverso e non per insufficiente motivazione (SU 8053/2014).

Nè il ricorso individua profili di legittimità, come prontamente rilevato in controricorso.

La mancata esposizione dei fatti, la richiesta di un’inammissibile rivisitazione dei profili di fatto e il difetto di specificità della censura rubricata come violazione di legge cagionano il giudizio di inammissibilità e la condanna alle spese come da dispositivo.

Va dato atto della sussistenza delle condizioni per il raddoppio del contributo unificato.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna parte ricorrente alla refusione a controparte delle spese di lite liquidate in Euro 1.400 per compenso, 200 per esborsi, oltre accessori di legge, rimborso delle spese generali (15%).

Dà atto della sussistenza delle condizioni di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, per il versamento di ulteriore importo a titolo di contributo unificato.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta/2^ sezione civile, il 24 maggio 2018.

Depositato in Cancelleria il 23 novembre 2018

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