Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30484 del 21/11/2019

Cassazione civile sez. VI, 21/11/2019, (ud. 18/06/2019, dep. 21/11/2019), n.30484

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21110-2018 proposto da:

POSTE ITALIANE SPA 97103880585, in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, V.LE MAZZINI 134,

presso lo studio dell’avvocato LUIGI FIORILLO, che la rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

M.V., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PANAMA 74,

presso lo studio dell’avvocato GIANNI EMILIO IACOBELLI, che lo

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3654/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 07/07/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 18/06/2019 dal Consigliere Relatore Dott. LUCIA

ESPOSITO.

Fatto

RILEVATO

CHE:

La Corte d’appello di Roma, con sentenza 24 marzo 2010, ha confermato la decisione del giudice di primo grado che aveva rigettato la domanda proposta da M.V. nei confronti di Poste Italiane s.p.a., volta alla declaratoria di nullità del termine apposto a due contratti di lavoro intercorsi tra le parti, oltre alla riammissione in servizio e al risarcimento dei danni;

la Corte territoriale aveva ritenuto legittimi entrambi i contratti perchè stipulati per ipotesi specificamente individuate dalla contrattazione collettiva su delega del legislatore (L. n. 56 del 1987, art. 23: delega in bianco conferita dal legislatore, con l’unico limite del rispetto della percentuale di contingentamento);

a seguito di ricorso per cassazione questa Corte cassava la sentenza, ritenendo fondati i motivi di ricorso con i quali il lavoratore aveva lamentato vizio di motivazione e violazione delle regole in materia di onere della prova, per avere i giudici d’appello ritenuto che spettava al lavoratore fornire la prova del superamento del limite percentuale previsto dalla contrattazione collettiva per l’assunzione di lavoratori a tempo determinato;

a seguito di riassunzione M.V. chiedeva, in applicazione del principio di diritto affermato dalla Suprema Corte, l’accoglimento delle conclusioni rassegnate in atti;

Poste Italiane con controricorso contestava le avverse deduzioni;

la Corte d’appello, con sentenza 7/7/2017, accoglieva la domanda del ricorrente, osservando che Poste, a fronte del rilievo circa la mancata osservanza della clausola di contingentamento, aveva prospettato in relazione a entrambi i contratti intercorsi tra le parti il rispetto della clausola con riferimento alla media delle assunzioni a termine, chiedendo al riguardo prova testimoniale e producendo, in relazione al secondo contratto, prospetto contenente il numero medio di assunzioni a termine nel periodo in contestazione;

osservava la Corte che i dati forniti da Poste non erano idonei a dimostrare il rispetto della clausola, poichè il testo contrattuale era chiaro nello stabilire che la percentuale prevista di assunti a termine rispetto ai dipendenti in forza con contratto a tempo determinato non dovesse essere mai superata, talchè non assumeva rilevanza la media degli assunti in un arco temporale annuale o di altra durata;

avverso la sentenza propone ricorso per cassazione Poste Italiane S.p.A. con tre motivi;

il lavoratore resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

Con il primo motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione agli artt. 112 e 115 c.p.c. (art. 360 c.p.c., n. 3), osservando che la Corte d’appello, dichiarando il mancato rispetto dei limiti percentuali di assunzione a tempo determinato, si era pronunciata su profili di illegittimità (attinenti alla insufficienza probatoria dei dati sul contingentamento) mai dedotti dal lavoratore, il quale in sede di ricorso ex art. 414 c.p.c., non solo aveva dedotto la violazione della clausola di contingentamento in modo generico, ma non aveva opposto alcuna contestazione alle allegazioni formulate nelle difesa di Poste, specificamente riguardo all’idoneità dei dati indicati dalla società o alla correttezza del criterio di calcolo dalla stessa adoperato;

è da rilevare, in primo luogo, che la sentenza rescindente (Cass. 7574/2016) ha dato conto delle contestazioni mosse dal lavoratore alle argomentazioni difensive di Poste (“nell’affermare che Poste aveva “provato documentalmente” il rispetto della percentuale, la Corte non dà conto di tale assunto nè prende posizione sulle argomentate deduzioni al riguardo formulate nei motivi di appello dal Musarra, trascritte nel presente ricorso, ed in particolare su quella avente carattere decisivo – secondo cui, con riguardo al primo contratto, Poste, come risultava dall’indice dei documenti prodotti in primo grado dalla stessa società, allegato in fotocopia al ricorso, non aveva prodotto alcuna documentazione riguardante il limite percentuale”), osservando, inoltre, con riferimento ai presunti effetti derivanti dalla non contestazione, che il principio di cui agli artt. 115 e 416 c.p.c., comma 2, riguarda solo i fatti cd. primari, costitutivi, modificativi od estintivi del diritto azionato, e non si applica alle mere difese (Cass. n. 17966 del 13/09/2016);

con il secondo motivo deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 8 CCNL 1994, nonchè della L. n. 56 del 1987, art. 23 (art. 360 c.p.c., n. 3), rilevando che il rispetto della clausola di contingentamento e della procedura sindacale risulta estraneo al contenuto normativo del contratto collettivo, con conseguente mancanza di sanzioni correlate al superamento di limiti percentuali;

anche la predetta censura è infondata, poichè, per costante giurisprudenza, in forza della disciplina invocata l’osservanza del rapporto percentuale tra lavoratori stabili e a termine, la cui prova è a carico del datore di lavoro, rileva ai fini della verifica dell’oggettiva esistenza delle condizioni che giustificano l’apposizione di un termine al contratto di lavoro (Cass. n. 4764 del 10/03/2015);

con il terzo motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e degli artt. 253,420,421,437c.p.c. (art. 360 c.p.c., n. 3), rilevando che la Corte d’appello non ha ammesso i mezzi istruttori tempestivamente richiesti dalla società e ha omesso di esercitare i poteri istruttori officiosi, pur ricorrendone i presupposti, sempre con riferimento al rispetto dei limiti numerici;

anche l’ultimo motivo è infondato, poichè la Corte d’appello ha dato conto dell’erroneità dell’assunto di Poste circa il rispetto della clausola di contingentamento in base al parametro della media delle assunzioni a termine, parametro posto a fondamento della tesi in forza della quale era stata chiesta ammissione di prova testimoniale e prodotta ulteriore documentazione, sicchè correttamente la Corte non ha dato corso all’istruzione argomentando che “i citati capitoli di prova testimoniale e la documentazione prodotta risultano irrilevanti ai fini della dimostrazione del rispetto del limite percentuale di contingenta mento “;

il ricorso, pertanto, va rigettato con liquidazione delle spese secondo soccombenza, con distrazione in favore del procuratore anticipatario della parte convenuta.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 3.000,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% e accessori di legge, con distrazione.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 18 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 21 novembre 2019

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