Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3048 del 08/02/2018


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 3048 Anno 2018
Presidente: CAMPANILE PIETRO
Relatore: MERCOLINO GUIDO

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 4418/2015 R.G. proposto da
COMUNE DI ARZACHENA, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall’Avv. Giuseppe Bardini, con domicilio eletto in Roma, via G.B. Vico, n.
1, presso lo studio dell’Avv. Roberto Carlino;
– ricorrente contro
SOC. COOP. ITER – COOPERATIVA RAVENNATE INTERVENTI SUL TERRITORIO A R.L., in persona del presidente p.t. Daniele Lolli, rappresentata e difesa dall’Avv. Massimo Lotti, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via di Ripetta, n. 70;
– controricorrente avverso la sentenza della Corte d’appello di Cagliari, Sezione distaccata di
Sassari, n. 531/13 depositata il 23 dicembre 2013.

Data pubblicazione: 08/02/2018

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12 dicembre 2017
dal Consigliere Guido Mercolino.

1. Con sentenza del 23 dicembre 2013, la Corte d’appello di Cagliari,
Sezione distaccata di Sassari, ha accolto il gravame interposto dalla Società
Cooperativa Iter – Cooperativa Ravennate Interventi sul Territorio a r.l. av-

condannando il Comune di Arzachena al pagamento della somma di Euro
487.226,72, oltre interessi determinati ai sensi degli artt. 35 e 36 del d.P.R.
16 aprile 1962, n. 1063 con decorrenza dalla domanda, a titolo di corrispettivo per la realizzazione di lavori di risanamento ambientale con collettamento di reflui fognari e successiva depurazione, affidati all’attrice con contratto del 19 maggio 1994.
2. Avverso la predetta sentenza il Comune ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un solo motivo. La Cooperativa ha resistito con controricorso.
3. Con l’unico motivo d’impugnazione, il Comune denuncia la violazione
e la falsa applicazione dell’art. 180, secondo comma, cod. proc. civ., nel testo introdotto dall’art. 4 del d.l. 18 ottobre 1995, n. 432, convertito con
modificazioni dalla legge 20 dicembre 1995, n. 534, e dell’art. 43 del d.P.R.
n. 1063 del 1962, censurando la sentenza impugnata per aver ritenuto
inammissibile, in quanto sollevata soltanto all’udienza fissata per la trattazione della causa, l’eccezione d’incompetenza del giudice ordinario, da esso
sollevata ai sensi dell’art. 43 cit. Premesso che il rinvio al Capitolato generale d’appalto per le opere di competenza del Ministero dei lavori pubblici,
contenuto nel contratto d’appalto stipulato con l’attrice, si estendeva anche
a quest’ultima disposizione, il cui richiamo rispondeva all’esigenza di una tutela rafforzata d’interessi pubblici, sostiene che il volontario inserimento di
tale clausola nel contratto comportava l’ineludibilità del ricorso all’arbitrato,
imponendo al giudice adito di rilevare anche d’ufficio la propria incompetenza, ed escludendo quindi la necessità di un’eccezione di parte. In quest’ottica, l’eccezione di compromesso sollevata da essa ricorrente dinanzi al Tribunale non poteva considerarsi tardiva, non essendo qualificabile come ec-

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verso la sentenza emessa il 6 aprile 2005 dal Tribunale di Tempio Pausania,

cezione in senso stretto, da proporsi a pena di decadenza nel termine di cui
all’art. 180, secondo comma, cod. proc. civ. (nel testo, applicabile ratione

temporis alla fattispecie in esame, introdotto dall’art. 4 del d.l. 18 ottobre
1995, n. 432, conv. con mod. nella legge 20 dicembre 1995, n. 534).
4. Il motivo è infondato.
In tema di arbitrato, questa Corte ha ripetutamente affermato che la

parti, le quali, così come possono scegliere di affidare la controversia agli
arbitri, sono libere anche di adottare comportamenti processuali tacitamente convergenti verso l’esclusione della loro competenza, con la conseguenza
che l’incompetenza del giudice ordinario, per essere la controversia devoluta
ad arbitri, non è rilevabile d’ufficio, ma dev’essere tempestivamente eccepita dal convenuto. A tale principio, che il Collegio condivide ed intende ribadire anche in questa sede, la giurisprudenza di legittimità si è costantemente attenuta tanto in riferimento all’arbitrato rituale quanto in riferimento a
quello a quello irrituale, evidenziandone la comune origine negoziale, a prescindere dalle profonde differenze strutturali e funzionali rilevabili tra i due
istituti (cfr. Cass., Sez. VI, 21/01/2016, n. 1097; Cass., Sez. II, 4/03/2011,
n. 5265; Cass., Sez. III, 12/10/1998, n. 10086), e facendone applicazione,
in tema di arbitrato rituale, indipendentemente dalla diversità degli orientamenti di volta in volta manifestatisi con riguardo alla sua natura, i quali
hanno inciso esclusivamente sull’individuazione del termine entro il quale la
relativa eccezione deve essere sollevata.
4.1. Nel ritenere tardiva l’eccezione d’incompetenza sollevata dal Comune, la sentenza impugnata ha richiamato l’orientamento in passato prevalente, secondo cui, configurandosi la devoluzione della controversia agli
arbitri come rinuncia all’esperimento dell’azione giudiziaria ed alla giurisdizione dello Stato, attraverso la scelta di una soluzione della controversia con
uno strumento di natura privatistica, la relativa eccezione dà luogo ad una
questione di merito, riguardante l’interpretazione e la validità del compromesso o della clausola compromissoria, e costituisce un’eccezione propria e
in senso stretto, in quanto avente ad oggetto un fatto impeditivo dell’esercizio della giurisdizione statale, con la conseguenza che dev’essere proposta

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competenza arbitrale trova fondamento esclusivamente nella volontà delle

dalle parti nei tempi e nei modi propri delle eccezioni di merito (cfr. Cass.,
Sez. VI, 12/12/ 2011, n. 26635; Cass., Sez. III, 14/07/2011, n. 15474;
Cass., Sez. I, 30/ 05/2007, n. 12684).
In seguito, anche alla luce delle modificazioni apportate all’art. 819-ter
cod. proc. civ., si è peraltro riaffermata la tesi della natura giurisdizionale
dell’arbitrato e della sua funzione sostitutiva della giurisdizione ordinaria

quale ha indotto a riconoscere il carattere processuale dell’eccezione di
compromesso, nonchè a chiarire che la stessa dà luogo ad una questione di
competenza, che deve essere pertanto proposta dalla parte interessata nella
comparsa di risposta e nel termine fissato dall’art. 166 cod. proc. civ., a pena di decadenza e conseguente radicamento presso il giudice adito del potere di decidere in ordine alla domanda (cfr. Cass., Sez. Un. 18/11/2016, n.
23463; 25/10/2013, n. 24153; Cass., Sez. VI, 6/11/2015, n. 22748).
La sentenza impugnata, pur senza menzionarlo espressamente, ha
escluso l’applicabilità di quest’ultimo orientamento, individuandone l’origine
esclusivamente nelle modificazioni introdotte dal d.lgs. 2 febbraio 2006, n.
40 (che ha sostituito l’art. 819-ter cit., prevedendo testualmente che «l’eccezione di incompetenza del giudice in ragione della convenzione di arbitrato deve essere proposta, a pena di decadenza, nella comparsa di risposta»),
e ritenendolo quindi, ai sensi della disposizione transitoria dettata dall’art.
27, comma quarto, di tale decreto, non riferibile alla controversia in esame,
in quanto instaurata in data anteriore a quella di entrata in vigore della
nuova disciplina. La Corte distrettuale ha tuttavia omesso di considerare che
la tesi della natura giurisdizionale dell’arbitrato, già prevalente sotto la vigenza della disciplina originariamente dettata dal codice di rito, ha tratto
alimento, ancor prima che dalla sostituzione dell’art. 819-ter cod. proc. civ.,
dalle modificazioni introdotte dalla legge 5 gennaio 1994, n. 25, espressamente richiamate dai più recenti arresti delle Sezioni Unite, e già vigenti
all’epoca della proposizione della domanda in esame.
In questa sede, non risulta peraltro necessario stabilire se l’eccezione di
arbitrato dovesse essere proposta, conformemente all’orientamento più recente, nella comparsa di risposta e nel termine fissato dall’art. 166 cod.

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(già dominante fino alla sentenza delle Sezioni Unite 3/08/2000, n. 527), la

proc. civ., anziché, come ritenuto dalla sentenza impugnata, nel termine
previsto dall’art. 180, secondo comma, cod. proc. civ. (nel testo introdotto
dal d.l. n. 432 del 1995) per la proposizione delle eccezioni processuali e di
merito non rilevabili d’ufficio: è infatti sufficiente considerare che quest’ultimo termine è successivo al primo, il quale, nella specie, risultava già scaduto al momento della costituzione in giudizio del Comune, avvenuta, come

4.2. Non merita consenso, ai riguardo, la tesi sostenuta dal ricorrente,
secondo cui la tardiva costituzione in giudizio dovrebbe considerarsi irrilevante ai fini della dichiarazione d’incompetenza del Giudice ordinario, trattandosi di una questione sottratta all’ambito di operatività dell’art. 180, secondo comma, cit., in quanto rilevabile d’ufficio, in considerazione del carattere pubblico dell’interesse sotteso alla competenza arbitrale, testimoniato
dal richiamo delle parti al d.P.R. n. 1063 dei 1962, attraverso il quale ha
avuto luogo l’inserimento della clausola compromissoria nel contratto di appalto.
Anche a voler ritenere che, nella logica del d.P.R. n. 1063 del 1962, vigente all’epoca della stipulazione del contratto di appalto, il ricorso all’arbitrato rispondesse ad esigenze di tutela dell’interesse generale sotteso alla
corretta gestione dell’attività di realizzazione delle opere pubbliche, la circostanza che la pattuizione dello stesso abbia avuto luogo mediante il rinvio
alla predetta disciplina non consente di attribuire alla competenza arbitrale
un fondamento normativo, anziché negoziale, e quindi di riconoscere alla relativa previsione una portata imperativa, tale da imporne l’applicazione d’ufficio e da rendere conseguentemente superflua l’eccezione di parte. In proposito, è sufficiente richiamare il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità in materia di opere pubbliche, secondo cui il capitolato
generale approvato con d.P.R. n. 1063 del 1962 ha valore normativo e vincolante e si applica in modo diretto soltanto per gli appalti stipulati dallo
Stato, mentre per quelli conclusi dagli altri enti pubblici, dotati di distinta
personalità giuridica e di propria autonomia, le sue disposizioni (ivi comprese quelle che prevedono il ricorso all’arbitrato per la soluzione delle relative
controversie) sono destinate ad assumere efficacia obbligatoria solo se e nei

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rilevato dalla Corte territoriale, soltanto alla prima udienza di trattazione.

limiti in cui siano richiamate dalle parti per regolare il singolo rapporto contrattuale, configurandosi pertanto come clausole negoziali (cfr. Cass., Sez.
I, 19/01/2016, n. 812; 19/01/2015, n. 747; 6/11/2006, n. 23670).
Attribuire carattere inderogabile alla competenza arbitrale, in ragione
dell’asserita riconducibilità della stessa a una norma imperativa, impedendo
alle parti di sottrarsi all’operatività della clausola compromissoria attraverso

posizione della controversia al Giudice ordinario, anziché agli arbitri, comporterebbe d’altronde una violazione del diritto di difesa, ponendosi in contrasto con il principio, costantemente ribadito dalla Corte costituzionale in
tema di arbitrato, secondo cui la fonte di tale istituto non può ricercarsi e
porsi in una legge ordinaria o, più generalmente, in una volontà autoritativa, dovendo essere invece individuata in una libera scelta delle parti (intesa
come uno dei possibili modi di disporre, anche in senso negativo, del diritto
di cui all’art. 24, comma primo, Cost.), volta a derogare al precetto di cui
all’art. 102 Cost. (cfr. ex plurimis, Corte cost., sent. n. 221 del 2005; n. 152
del 1996).
5. Il ricorso va pertanto rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come dal dispositivo.

P.Q.M.
rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro
7.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per
cento, agli esborsi liquidati in Euro 100,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della I. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza
dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a
norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma il 12/12/2017
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comportamenti successivi univocamente convergenti in favore della sotto-

Il Funzionario Giudiziario
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