Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3048 del 06/02/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 06/02/2017, (ud. 08/11/2016, dep.06/02/2017),  n. 3048

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 4593-2011 proposto da:

F.P.R. C.F. (OMISSIS), domiciliato in ROMA PIAZZA

CAVOUR presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE,

rappresentato e difeso dagli avvocati NICOLA ZAMPIERI, FLAVIO PANA,

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

PROVINCIA DI VICENZA C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

CRESCENZIO 58, presso lo studio dell’avvocato BRUNO COSSU, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato MARIA LUISA MIAZZI,

giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 763/2009 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 05/08/2010 R.G.N. 743/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

08/11/2016 dal Consigliere Dott. IRENE TRICOMI;

udito l’Avvocato ZAMPIERI NICOLA;

udito l’Avvocato CESTER CARLO per delega Avvocato MIAZZI MARIA LUISA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO Rita che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. La Corte d’Appello di Venezia con la sentenza n. 763 del 2009, depositata il 5 agosto 2010, rigettava l’appello proposto da F.P.R. nei confronti della Provincia di Vicenza in ordine alla sentenza emessa tra le parti dal Tribunale di Vicenza n. 9 del 2009.

2. La Provincia di Vicenza aveva proposto opposizione avverso il decreto ingiuntivo azionato dal F. per il pagamento della somma di Euro 1.363,16 a titolo di compensi L. n. 109 del 1994, ex art. 18 in relazione alla attività svolta dal F. medesimo, già dirigente dell’ente opponente, per gli adeguamenti alla normativa per la prevenzione degli incendi eseguiti presso (OMISSIS) e per i lavori di ampliamento del (OMISSIS) della stessa città. La Provincia aveva proposto, altresì, domanda riconvenzionale, con la quale aveva chiesto la condanna del F. al pagamento dell’indennità sostitutiva del preavviso atteso che quest’ultimo si era dimesso in data 23 giugno 2004, con effetto immediato, senza rispettare il termine di preavviso di cui all’art. 31 del CCNL.

Il F. si costituiva in sede di opposizione e chiedeva il rigetto dell’opposizione e della domanda riconvenzionale di cui eccepiva l’improcedibilità. Con distinto ricorso depositato il 10 agosto 2005, il F. chiedeva la condanna della Provincia al risarcimento dei danni per comportamento mobizzante e l’accertamento della sussistenza della giusta causa di dimissioni, con proprio diritto al pagamento della indennità sostitutiva del preavviso ed il recupero di arretrati retributivi. La Provincia si costituiva eccependo l’inammissibilità e la non fondatezza delle domande.

3. Le due cause venivano riunite per connessione e il Tribunale con sentenza del 13 gennaio 2009 dichiarava inammissibili le domande proposte dal F. nella causa promossa con ricorso del 10 agosto 2005 relativamente all’accertamento della illegittimità dei provvedimenti di modifica degli incarichi e di accertamento dei comportamenti mobizzanti fino al 25 giugno 2003, le domande di condanna al pagamento di emolumenti risarcitori per perdite retributive e per danni non patrimoniali verificatisi fino al 25 giugno 2003 ad essi collegati, nonchè la domanda di risarcimento del danno riferito alla pretesa imposizione del servizio di reperibilità. La sentenza dava atto del pagamento da parte della Provincia della somma oggetto del decreto ingiuntivo e dei compensi per rimborso spese e indennità di trasferta e per tredicesima mensilità – titoli quest’ultimi azionato con il ricorso del 10 agosto 2005 – revocando il decreto ingiuntivo opposto.

Il Tribunale, quindi, condannava la provincia di Vicenza al pagamento in favore del F. della somma di Euro 5.300,00 a titolo di indennità sostitutiva di ferie e respingeva le ulteriori domande proposte dal F. relative alla retribuzione di risultato per gli anni dal 2000 al 2002, all’indennità sostitutiva del preavviso e agli emolumenti risarcitori per perdite retributive e danni non patrimoniali successivi al 25 giugno 2003. Infine dichiarava il diritto della Provincia a trattenere la somma di Euro 10.953,46 a titolo di indennità sostitutiva del preavviso, compensando tra le parti le spese di lite.

4. Per la cassazione della sentenza d’ appello ricorre il F. prospettando 14 motivi di ricorso (indicati nel ricorso dal n. 2 al n. 15).

5. Resiste con controricorso la Provincia di Vicenza.

6. Entrambe le parti hanno depositato memoria in prossimità

dell’udienza pubblica.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Occorre rilevare che la sentenza di appello premette che la domanda di condanna della Provincia al pagamento dell’indennità sostitutiva era fondata su due distinti fatti costitutivi.

In primo luogo veniva prospettata come giusta causa di dimissione il comportamento della provincia comportante mobbing.

In secondo luogo veniva richiamato l’art. 44 (recte: 4) del CCNL del 2002, che prevedeva in caso di conferimento al dirigente di un nuovo incarico comportante la riduzione della retribuzione di posizione goduta in relazione ad un precedente incarico, la possibilità per il dirigente di dimettersi per giusta causa ai sensi dell’art. 2119 c.c. o di chiedere la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro.

Il Tribunale aveva respinto la domanda sotto entrambi i profili.

2. Il giudice di secondo grado dava atto, quindi, che l’appellante censurava la sentenza di primo grado con riferimento alla sussistenza del requisito dell’immediatezza delle dimissioni, da accertare anche in base ad una valutazione relativa riferita alla piena consapevolezza (a seguito dell’inoltro dei certificati medici attestanti la malattia riconducibile a stress lavorativo) da parte del datore di lavoro del proprio inadempimento.

La Corte d’Appello in ragione della mancata comunicazione dei motivi delle dimissioni e del tempo trascorso tra il mutamento dell’incarico dirigenziale e le dimissioni, senza la sussistenza di esigenze di salvaguardia degli interessi del datore di lavoro, escludeva la sussistenza di un rapporto causale tra le ragioni poste a fondamento delle dimissioni solo negli atti di causa e le dimissioni stesse, nel momento in cui erano state rassegnate. Riteneva, quindi, l’irrilevanza, ai fini della conoscenza dell’inadempimento datoriale connesso al mobbing, dei certificati medici.

3. La Corte d’Appello confermava la sentenza del Tribunale che aveva ritenuto non fondata la domanda di risarcimento del danno riferita ad una pretesa condotta mobbizzante del datore di lavoro.

In ragione della mancata deduzione di censure relative alla statuizione del Tribunale di Vicenza di inammissibilità della domanda risarcitoria per la parte riferita agli episodi anteriori alla data del 25 giugno 2003 (in quanto oggetto di altro giudizio definito in ordine al quale il Tribunale si pronunciava con la sentenza n. 307 del 2006), il giudice di appello ha affermato il passaggio in giudicato della stessa.

La Corte d’Appello, quindi, rilevava che il Tribunale, correttamente, aveva considerato solo i comportamenti qualificati come mobbizzanti successivi alla data del 25 giugno 2003:

valutazione di punti 60/100 della capacità e comportamenti dirigenziali dell’appellante per il 2002;

invito all’appellante da parte del vicepresidente Fontanella, in data 14 maggio 2003, a cambiare lavoro e a lasciare l’Amministrazione provinciale;

blocco di tutti i provvedimenti di Giunta proposti dopo l’incontro di cui al punto precedente.

Riteneva, quindi, non fondate, le relative doglianze.

4. Tanto premesso può passarsi all’esame dei motivi di ricorso.

5. Con il primo motivo di ricorso (indicato come n. 2 nel ricorso) è dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 2118 e 2119 c.c., in relazione alla irrilevanza del tempo decorso prima delle dimissioni e delle motivazioni indicate nella lettera di dimissioni, nonchè in merito alla mancanza di un onere di specificità delle dimissioni. Erronea applicazione della L. n. 604 del 1966, art. 2. Violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3.

Assume il ricorrente che l’art. 2119 c.c. non prescrive nè l’immediatezza nè la specificità delle dimissioni o di supportare il differimento delle dimissioni con esigenze di salvaguardia del datore di lavoro.

Esso ricorrente aveva dedotto che la Provincia lo aveva sistematicamente esautorato, isolato e demansionato, conferendogli incarichi di sempre minore livello economico e del tutto incompatibili con la professionalità di architetto, che legittimavano il diritto ad ottenere il pagamento dell’indennità sostitutiva di preavviso, dato che la dequalificazione unilaterale poteva costituire giusta causa di dimissioni.

La sentenza sarebbe viziata nel non avere accertato se sussisteva una giusta causa di recesso anche oltre le motivazioni indicate nella lettera di dimissioni.

6. Con il secondo motivo di ricorso (indicato come n. 3 nel ricorso) è dedotta insufficiente e contraddittoria motivazione sulla pretesa mancata comunicazione delle ragioni del recesso nonostante l’accertata violazione dell’art. 4 del CCNL del 2002. Violazione dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 e dell’art. 2119 c.c.. Vizio di motivazione su un punto decisivo della controversia. Vizio in procedendo ex artt. 12, 115 e 116 c.p.c., nonchè vizio in iudicando ex art. 2119.

Erroneamente, la Corte d’Appello escludeva un rapporto causale tra le ragioni poste a fondamento delle dimissioni negli atti causa e le dimissioni stesse, atteso che nella lettera di dimissioni si indicava che il recesso per giusta causa era stato effettuato in considerazione dell’attribuzione dell’incarico di dirigente settore interventi ambientali, con retribuzione di posizione inferiore al precedente incarico.

Peraltro la stessa Corte d’appello dava atto che il ricorrente aveva comunicato le proprie dimissioni per violazione dell’art. 44 (recte: 4)del CCNL dirigenza enti locali.

7. Con il terzo motivo di ricorso (indicato come 4 nel ricorso) è dedotta violazione degli artt. 2697 e ssg. c.c. e degli artt. 112, 115, 116, 420, 359 e 437 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Omesso esame da parte dei giudici di merito di documenti decisivi ai fini dell’accoglimento della domanda.

La denuncia di omesso esame è prospettata con riguardo a documenti ritenuti decisivi ai fini dell’accoglimento della domanda, comprovanti la conoscenza da parte della Provincia della contestazione dell’incarico assegnato, della natura mobizzante del comportamento posto in essere nei confronti del ricorrente, delle condizioni di salute dello stesso e conseguentemente delle effettive ragioni del recesso.

8. Con il quarto motivo di ricorso (indicato con il n. 5 nel ricorso) è dedotta omessa motivazione in relazione all’impossibilità di estendere la ratio della immediatezza del licenziamento alla ipotesi delle dimissioni. Ulteriore violazione dell’art. 2119 c.c. e dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5.

Già nel ricorso in appello, esso ricorrente aveva dedotto che, poichè il principio dell’immediatezza è finalizzato ad assicurare al lavoratore l’esercizio del diritto di difesa, manca nelle dimissioni una simile esigenze, per cui il tempo decorso tra le dimissioni e la condotta causa delle stesse non può impedire la sussistenza della giusta causa delle medesime.

9. Con il quinto motivo di ricorso (indicato come n. 6 nel ricorso) è dedotta ulteriore violazione e falsa applicazione degli artt. 2118 e 2119 c.c., mancato e insufficiente esame di punti decisivi della controversia attinente alla valutazione in senso relativo della immediatezza del recesso e alla necessaria valutazione concreta ed unitaria della situazione fattuale. Violazione dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5.

Erroneamente la Corte d’Appello ha valutato in astratto la tempestività del recesso senza tenere conto del fatto che la tempestività dello stesso, conseguente al demansionamento e al comportamento mobbizzante posto in essere dal datore di lavoro, doveva essere considerato in modo relativo, tenendo conto del complessivo comportamento datoriale che aveva indotto il ricorrente a dimettersi.

10. Con sesto motivo di ricorso (indicato come n. 7 nel ricorso) è prospettata la violazione e falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, in relazione agli artt. 36 e 38 Cost., del D.Lgs. n. 675 del 1996 e del D.Lgs. n. 196 del 2003. Omessa e comunque insufficiente e contraddittoria motivazione in relazione agli artt. 2118 e 2119 c.c., degli artt. 1362, 1363, 1366, 1369, 1370, 1371, 1374 e 1375 c.c..

Erroneamente la Corte d’appello ha ritenuto l’irrilevanza dello stato di malattia, atteso che il ricorrente aveva dedotto che proprio l’aggravamento delle condizioni di salute, determinate dall’acuirsi del comportamento datoriale, lo avevano costretto a dimettersi per salvaguardare la propria salute. Il mancato riferimento nelle lettera di dimissioni allo stato di salute non implicava alcuna decadenza del diritto a chiedere l’indennità di preavviso considerato che l’aggravarsi delle condizioni di salute era noto alla provincia cui erano stati consegnati i certificati di malattia. Ciò tenuto conto anche del diritto alla riservatezza e alla tutela della privacy.

11. Con il settimo motivo di ricorso (indicato come n. 8 nel ricorso) si prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 4 del CCNL del 12 febbraio 2001 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Assume il ricorrente che la Corte d’Appello ha fatto non corretta applicazione della disposizione contrattuale, poichè la stessa non richiede l’immediatezza delle dimissioni, ed egli, peraltro, con nota sul verbale consegna PEG 2003 in data 27 marzo 2003, non appena aveva ricevuto l’incarico, aveva fatto presente di prendere atto dell’incarico e di riservarsi di verificarne la legittimità, impegnandosi a proseguire, per quanto le proprie possibilità personali glielo avrebbero consentito, gli obiettivi PEG affidatigli.

12. Con l’ottavo motivo di ricorso (indicato come nono nel ricorso) è dedotta la violazione dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, in relazione alla violazione degli artt. 1175 e 1375 c.c., e alla omessa o insufficiente motivazione in ordine ad un punto decisivo della immediata contestazione da parte del dipendente della impossibilità di svolgere l’incarico e della non accettazione dell’incarico conferito.

La Corte d’Appello avrebbe dovuto considerare, anche in applicazione dei principi di buona fede e correttezza, che la Provincia era consapevole delle ragioni per le quali il ricorrente si era dimesso. Esso lavoratore, in modo analogo a quanto previsto per la tempestività della contestazione disciplinare, già al momento in cui gli era notificato il decreto di nomina in calce allo stesso aveva scritto che non accettava l’incarico.

13. I suddetti motivi, che superano il vaglio di ammissibilità atteso che la formulazione delle deduzioni difensive consente di esaminare le censure proposte, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, come vigenti ratione temporis, in ragione della loro connessione devono essere esaminati congiuntamente.

Gli stessi sono fondati nei termini di seguito esposti.

14. E’ pacifico tra le parti che il F. in data 23 giugno 2004 rassegnava le proprie dimissioni da dirigente del settore interventi ambientali della Provincia di Vicenza (conferito con decreto n. 15 del 24 marzo 2003).

15. La Corte d’Appello precisa che la domanda di accertamento del diritto al pagamento dell’indennità sostitutiva del preavviso veniva proposta in ragione di due distinti fatti costitutivi:

la sussistenza di giusta causa di dimissioni per comportamento mobizzante del datore di lavoro;

la previsione contenuta nell’art. 44 (recte: 4) del CCNL del 2002, atteso che la retribuzione di posizione assegnatagli era inferiore a quella legata al precedente incarico, Capo settore della protezione civile e sicurezza 626.

16. L’art. 4 del CCNL area dirigenza comparto regioni e autonomie locali, biennio economico 1.1.2000 – 31.12.2001, area dirigenza enti locali, sottoscritto il 12 febbraio 2002, prevede al comma 1: “Qualora, in presenza di processi di riorganizzazione, al dirigente sia conferito un nuovo incarico, tra quelli previsti dall’ordinamento organizzativo dell’ente, per cui sia prevista una retribuzione di posizione di importo inferiore a quella connessa al precedente incarico, la contrattazione decentrata integrativa definisce criteri e modalità per la disciplina degli effetti economici derivanti dal conferimento del nuovo incarico” e al comma 4 “Nell’ipotesi prevista dal comma 1, in alternativa alla garanzia prevista dallo stesso comma, sussistendone le condizioni, il dirigente può avvalersi delle dimissioni per giusta causa, ai sensi dell’art. 2119 del codice civile, o richiedere la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, secondo le previsioni dell’art. 17 del CCNL del 23.12.1999”.

17. La Corte d’Appello non ha vagliato la dedotta legittimità delle dimissioni, ai fini del riconoscimento dell’indennità di cui trattasi, in relazione alla prospettata sussistenza di giusta causa ascrivibile a mobbing del datore di lavoro. Nè ciò può intendersi ricompreso nell’esame della fattispecie di cui all’art. 4 del CCNL.

Nè la mancanza di tempestività delle dimissioni relativa alla fattispecie prevista dalla suddetta norma contrattuale può essere traslata, senza un’autonoma valutazione, alla fattispecie del mobbing.

La giusta causa di dimissione prevista dall’art. 4 del CCNL, infatti, come si evince dal tenore letterale della stessa, è ipotesi diversa, per presupposti ed effetti, da quella invece di mobbing integrante giusta causa di dimissioni, che non è stata valutata, con accertamento di merito, dalla Corte d’Appello (si cfr., sia pure resa in una diversa fattispecie, Cass., n. 17990 del 2015).

Come questa Corte ha avuto modo di affermare può ammettersi la sussistenza di dimissioni per giusta causa anche quando il recesso non segue immediatamente i fatti che lo giustificano, e che il lavoratore possa recedere e solo successivamente addurre l’esistenza di una giusta causa (Cass., n. 24477 del 2011), salvo che il lavoratore, manifestando la volontà di dimettersi, abbia dichiarato al datore di lavoro di essere pronto a continuare a svolgere la sua attività per tutto o per parte del periodo di preavviso, atteso che in tale ipotesi è lo stesso lavoratore ad escludere, con il suo comportamento, la ravvisabilità di circostanze tali da impedire la prosecuzione, anche soltanto temporanea, del rapporto.

A sua volta, ai fini della configurabilità del mobbing lavorativo devono ricorrere: a) una serie di comportamenti di carattere persecutorio – illeciti o anche leciti se considerati singolarmente – che, con intento vessatorio, siano posti in essere contro la vittima in modo miratamente sistematico e prolungato nel tempo, direttamente da parte del datore di lavoro o di un suo preposto o anche da parte di altri dipendenti, sottoposti al potere direttivo dei primi; b) l’evento lesivo della salute, della personalità o della dignità del dipendente; c) il nesso eziologico tra le descritte condotte e il pregiudizio subito dalla vittima nella propria integrità psico-fisica e/o nella propria dignità; d) l’elemento soggettivo, cioè l’intento persecutorio unificante di tutti i comportamenti lesivi (Cass. n. 17698 del 2014).

Che il thema decidendum delle dimissioni per giusta causa in presenza di asserito mobbing fosse stato sottoposto alla Corte d’Appello si rileva dalla medesima sentenza ove si afferma, senza riportare la relativa motivazione che il Tribunale aveva escluso la sussistenza del mobbing, e che la sentenza di primo grado veniva censurata, tra l’altro, con riferimento al requisito dell’immediatezza da accertare in base ad una valutazione relativa riferita alla piena consapevolezza da parte del datore di lavoro dello stato di malattia riconducibile a stress lavorativo, trattandosi poi, in un distinto successivo periodo della motivazione, la questione dell’immediatezza in relazione all’art. 4 del CCNL.

Nè l’affermazione riportata a pag. 13 della sentenza di appello circa “l’irrilevanza, ai fini della individuazione del momento di conoscenza del preteso inadempimento del datore di lavoro riferito al mobbing, del dato temporale costituito dalla certificazione medica attestante lo stato di malattia da stress lavorativo”, costituisce accertamento circa la sussistenza o meno di giusta causa di dimissioni in relazione al dedotto mobbing datoriale.

18. In ragione dell’accoglimento, nei termini sopra indicati, dei primi 8 motivi di ricorso (indicati con i nn. 2-9 nel ricorso), i restanti motivi di ricorso, di seguito riportati, che riguardano l’impugnazione della statuizione relativa al mancato riconoscimento del risarcimento del danno da mobbing sono assorbiti, nei limiti del giudicato dichiarato dalla Corte d’Appello, la cui statuizione non ha formato oggetto di specifica impugnazione. E’ assorbito anche l’ultimo motivo che attiene ai compensi L. n. 109 del 1994, ex art. 18.

19. Con il nono motivo di ricorso (indicato come n. 10 nel ricorso) di deduce la violazione degli artt. 2087 e 2697 e ssg. c.c., D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 3 nonchè artt. 112, 115, 116, 420, 359 e 437 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Omesso esame da parte del giudice di merito di documenti decisivi ai fini dell’accoglimento della domanda di risarcimento per comportamento mobizzante della Provincia.

20. Con il decimo motivo di ricorso (indicato come n. 11 del ricorso) si prospetta la violazione degli artt. 23 e 39 del CCNL dirigenti del 10 aprile 1996, del D.Lgs. n. 165 del 2001, artt. 21 e 19 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

21. Con l’undicesimo motivo di ricorso (indicato come n. 12 del ricorso) è prospettata violazione del D.Lgs. n. 267 del 200, art. 109 degli artt. 1175 e 1375 c.c., dell’art. 22 del CCNL dirigenza enti locali, della L. n. 2412 del 1990, art. 3, del D.Lgs. n. 165 del 2001, artt. 19 e ss. nonchè delle regole della correttezza e della buona fede e dei principi di buon andamento, trasparenza imparzialità delle scelte effettuate dalla Pa, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

22. Con il dodicesimo motivo di ricorso (indicato come n. 13 del ricorso) è dedotta la violazione dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 e dell’art. 43 del CCNL. Vizio di motivazione su un punto decisivo della controversia. Vizio in procedendo ex artt. 112, 115 e 116 c.p.c., nonchè vizio in iudicando in ordine alla violazione degli artt. 1175 e 1375 c.c., per mancata riliquidazione della retribuzione di risultato.

23. Con il tredicesimo motivo di ricorso (indicato come n. 14 nel ricorso) sono prospettate deduzioni sull’entità del risarcimento;

24. Con il quattordicesimo motivo di ricorso (indicato come n. 15 nel ricorso) si deduce violazione dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5. Vizio di motivazione su un punto decisivo della controversia, vizio in procedendo ex artt. 112, 115 e 116 c.p.c., in ordine al mancato pagamento dei compensi L. n. 109 del 1994, ex art. 18.

25. Il ricorso va accolto nei sensi di cui in motivazione. Cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Milano anche per le spese del presente giudizio.

PQM

La Corte accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione. Cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Milano anche per le spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 8 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 6 febbraio 2017

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