Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30477 del 23/11/2018

Cassazione civile sez. II, 23/11/2018, (ud. 26/09/2018, dep. 23/11/2018), n.30477

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 21514/2016 proposto da:

L.A.P., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEGLI

SCIPIONI, 267, presso lo studio dell’avvocato DANIELA CIARDO,

rappresentata e difesa dall’avvocato MICHELE TORRE giusta procura a

margine del controricorso;

– ricorrente –

contro

F.M.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA G.

NICOTERA 29, presso lo studio dell’avvocato GASPARE SALERNO,

rappresentata e difesa dall’avvocato GIACOMO SERRA in virtù di

procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 113/2016 della CORTE D’APPELLO SEZ. DIST. DI

SASSARI, depositata il 18/03/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

26/09/2018 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. CELESTE Alberto, che ha concluso per il rigetto del

ricorso;

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

1. Il Tribunale di Tempio Pausania con ordinanza ex art. 702 bis c.p.c. del 23 marzo 2015 condannava F.M.A. al pagamento in favore di L.A.P. della somma di Euro 35.419,47 quale conguaglio dovuto a seguito della precedente sentenza di divisione dei beni ereditari, con la quale l’unico bene caduto in successione era stato assegnato in proprietà esclusiva alla F., disattendendo pertanto l’eccezione della convenuta secondo cui si trattava di una domanda proposta in violazione del principio del ne bis in idem. A seguito di appello della F., la Corte d’Appello di Cagliari Sezione distaccata di Sassari, con la sentenza n. 113 del 18 marzo 2016, accoglieva il gravame, rigettando la domanda della L..

A tal fine rilevava che il tribunale con la precedente sentenza n. 408/2003 aveva sciolto la comunione ereditaria disponendo la divisione sulla base di un progetto predisposto dal CTU, ma che in realtà tale progetto si era limitato a quantificare il valore complessivo della massa ereditaria, stabilendo a quanto ammontasse la quota di ognuno dei condividenti.

Ne conseguiva che gli eredi erano tuttora in comunione relativamente ai quattro beni che lo stesso Tribunale aveva ritenuto componessero la massa ereditaria.

Per l’effetto la somma di cui veniva richiesto il pagamento, sebbene indicata nel dispositivo della menzionata sentenza non corrispondeva alla quota dovuta a titolo di conguaglio, non legittimando quindi la proposizione della domanda de qua.

L.A.P. ha proposto ricorso avverso tale sentenza sulla base di quattro motivi.

F.M.A. ha resistito con controricorso.

2. Con il primo motivo di ricorso si denuncia ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., in relazione a quanto statuito dalla sentenza del Tribunale di Tempio Pausania n. 408/2003.

In effetti tale sentenza, che pacificamente costituisce cosa giudicata, ha attribuito la proprietà esclusiva del forno alla F., prevedendo quale fosse la quota di ognuno dei figli, in misura esattamente corrispondente a quanto richiesto nel presente giudizio (Euro 35.419,47).

Trattasi quindi del conguaglio dovuto dalla controparte al cui pagamento deve pertanto essere condannata.

Il secondo motivo ripropone le medesime questioni oggetto del primo motivo, nella diversa prospettiva della violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

Il terzo motivo denuncia ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, per la manifesta illogicità tra contenuto della parte espositiva della sentenza e motivazione, in quanto, sempre alla luce di quanto statuito dalla decisione del Tribunale di Tempio Pausania n. 408/2003, il giudice di appello avrebbe dovuto confermare quanto invece statuito dal Tribunale in primo grado.

Il quarto motivo lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, in quanto sempre alla luce delle osservazioni sviluppate in occasione dell’illustrazione del primo motivo, la Corte d’Appello ha omesso di valutare che la sentenza del Tribunale di Tempio Pausania aveva definitivamente sciolto la comunione sull’azienda di panificazione, accertando il valore della quota ereditaria di ogni coerede.

3. Preliminarmente si rileva che, come peraltro si evince anche dalla decisione del Collegio della sesta sezione di rimettere la causa alla pubblica udienza con l’ordinanza n. 12146/2018, deve essere esclusa l’improcedibilità del ricorso per la violazione dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2, in quanto, pur avendo la stessa parte ricorrente dichiarato che la sentenza impugnata le è stata notificata in data 27-28/06/2016 e non risultando però depositata copia autentica con la relazione di notificazione (nè risulta che tale copia autentica fosse stata versata in atti dalla controricorrente, atteso che secondo quanto di recente affermato da Cass. S.U. n. 10648/2017, l’improcedibilità non potrebbe essere dichiarata se la copia autentica della sentenza con relata di notifica, sia stata prodotta dalla controparte), tuttavia, come documentato nelle memorie depositate in prossimità dell’udienza camerale del 27/4/2018, si tratta di notifica effettuata a fini esclusivamente esecutivi alla parte personalmente, e che come tale è inidonea a far decorrere il termine breve, in funzione della cui verifica è appunto posto il requisito del deposito anche della copia autentica della sentenza notificata.

4. Passando alla disamina nel merito, i motivi, che devono essere congiuntamente esaminati per la loro connessione, sono parzialmente fondati.

Ed, invero come si ricava anche dalla lettura del ricorso, all’esito del giudizio di scioglimento della comunione ereditaria del defunto L.M., la sentenza n. 408/2003, nel fare proprio il secondo progetto di divisione (che escludeva dal novero dei beni in comunione l’appartamento acquistato dalla moglie del de cuius, F.M.A., sito alla (OMISSIS)) ha ritenuto che dell’asse facessero parte, oltre alla quota pari alla metà dell’azienda di panificazione sita alla (OMISSIS), compreso il locale di vendita ed il locale cottura, anche i diritti su altri beni immobili.

In tal modo ha accertato che il valore complessivo dell’asse ammontava a Lire 431.490.000 di cui Lire 143.830.000 (pari ad un terzo) spettanti alla F., e Lire 287.660.000 spettanti complessivamente ai quattro figli, con la conseguenza che la quota (sempre calcolata come ideale) vantata da ognuno dei figli, e quindi anche dalla ricorrente, era pari a Lire 71.915.000, corrispondenti ad oggi ad Euro 35.419,47.

La sentenza, inoltre, ha attribuito la quota dell’azienda di panificazione in proprietà esclusiva alla F. (quota quantificata in Lire 342.000.000), nulla disponendo quanto agli altri beni caduti in successione.

L’interpretazione del giudicato de quo compiuta dal giudice di appello nel presente procedimento, se appare in parte condivisibile, laddove reputa che i beni non oggetto di attribuzione siano rimasti in comunione (dovendosi pervenire, in mancanza di specificazioni da parte del giudice a quo, alla conclusione secondo cui i beni per i quali non sia disposta l’attribuzione siano rimasti in comunione tra tutti i condividenti e secondo le quote ideali singolarmente vantate), tuttavia non appare altrettanto condivisibile nella parte in cui da tale premessa ha tratto la conclusione secondo cui alcuna somma potrebbe essere allo stato reclamata dalla ricorrente per effetto delle statuizioni adottate dalla pronuncia passata in giudicato.

Invero, a fronte dell’assegnazione alla F. di un bene che eccede il valore della quota ideale vantata dalla attributaria, agli altri condividenti deve essere riconosciuta la somma pari all’eccedenza dell’attribuzione in natura rispetto alla quota ideale, somma che però non può essere fatta corrispondere al valore della quota ideale a sua volta vantata dalla ricorrente, atteso che tale quota andrà in parte ad essere soddisfatta anche mediante i diritti vantati sui beni ancora indivisi.

E’ pertanto erroneo quanto statuito dal giudice di appello che, sol perchè alcuni beni erano ancora rimasti in comunione, ha negato il diritto dell’attrice ad un corrispettivo in denaro (e ciò alla luce del fatto che il controvalore dei beni ancora in comunione risulta nel complesso ampiamente inferiore alla quota ideale in denaro complessivamente corrispondente a quella dei quattro figli, che quindi hanno diritto a ricevere un conguaglio in denaro al fine di perequare il valore della quota ideale con quella ricevuta in natura), competendo poi al giudice di merito verificare quale sia l’esatto ammontare di tale somma, tenuto conto iella circostanza che la F. risulta tuttora comproprietaria dei beni non oggetto di attribuzione in natura con la sentenza n. 408 del 2003 del Tribunale di Tempio Pausania.

I motivi vanno quindi accolti, come sopra chiarito, con la conseguente cassazione della sentenza impugnata.

Il giudice del rinvio, che si designa in una diversa sezione della Corte d’Appello di Cagliari, provvederà anche sulle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso nei limiti di cui in motivazione, e cassa la sentenza impugnata con rinvio a diversa sezione della Corte d’Appello di Cagliari, anche per le spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 26 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 23 novembre 2018

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