Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30472 del 23/11/2018

Cassazione civile sez. II, 23/11/2018, (ud. 14/09/2018, dep. 23/11/2018), n.30472

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 563-2015 proposto da:

C.E., rappresentato e difeso dagli Avvocati LUCA

D’ANDREA e ARTURO ANTONUCCI ed elettivamente domiciliato presso lo

studio del secondo in ROMA, C.SO TRIESTE 87;

– ricorrente –

contro

M.G., rappresentato e difeso dagli Avvocati RICCARDO

LEONARDI e DANIELE PROVINCIALI, ed elettivamente domiciliato presso

lo studio dell’Avv. WALTER FELICIANI, in ROMA, VIA COSTANTINO MORIN

1;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 766/13 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 12/11/2013;

letta la requisitoria scritta del P.M. in persona del Sostituto

Procuratore Generale Dott. TRONCONE FULVIO, che ha concluso per il

rigetto del ricorso principale, l’accoglimento di quello incidentale

e assorbimento del ricorso incidentale condizionati;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

14/09/2018 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con atto di citazione notificato in data 17.1.2002, M.G. conveniva innanzi al Tribunale di Ancona – Fabriano C.E., per sentir accertare il diritto di proprietà pro-quota (con condanna alla rimozione degli impedimenti al godimento del diritto e al risarcimento del danno) sull’area esterna, asseritamente condominiale – distinta nel Catasto Terreni con la particella n. (OMISSIS) di mq 519 (attualmente part. n. (OMISSIS)) -, adiacente all’edificio sito in (OMISSIS), nel quale insistevano l’appartamento e il garage di sua proprietà (Catasto Fabbricati, particella n. (OMISSIS)), acquistati con decreto di trasferimento 11.12.1995 nell’ambito di procedura esecutiva.

Si costituiva C.E., spiegando domanda riconvenzionale, tesa all’accertamento della propria piena proprietà sull’area in oggetto, in quanto pertinenza esclusiva del locale negozio al piano terra dello stesso stabile, distinto in Catasto Fabbricati con la part. n. (OMISSIS), acquistato con decreto di trasferimento 30.10.1998 nell’ambito della stessa procedura esecutiva immobiliare.

Epletata CTU e supplemento di essa e assunte prove testimoniali, il Tribunale di Ancona-Fabriano, con sentenza n. 130/2007 dell’8.10.2007 rigettava la domanda principale e accoglieva la riconvenzionale del C., affermando la natura pertinenziale esclusiva del piazzale rispetto al negozio.

Avverso detta sentenza proponeva appello il M., sostenendo la natura condominiale dell’area, in quanto nessuna indicazione di pertinenza esclusiva emergeva dal decreto di trasferimento del 1998 in favore di C..

Si costituiva il C., insistendo sulle proprie domande.

Con sentenza n. 766/2013, depositata il 12.11.2013, la Corte d’Appello di Ancona, accertava la contitolarità del M. sulla corte comune, condannando l’appellato alla rimozione dei paletti e delle catene ivi collocati e al rilascio del bene; rigettava la domanda del C. avente ad oggetto la declaratoria di pertinenza esclusiva del detto bene a favore dell’immobile adibito a negozio; rigettava la domanda di risarcimento dei danni proposta dal M. nei confronti del C..

Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione C.E. sulla base di sei motivi; resiste M.G. con controricorso, spiegando ricorso incidentale sulla base di due motivi e ricorso incidentale condizionato, sulla base di altri due motivi.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. – Con il primo motivo, il ricorrente lamenta, in riferimento all'”Art. 360 c.p.c., n. 5 – Omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti: la destinazione pertinenziale disposta dall’atto negoziale notar G. del 22.5.1973 (atto di provenienza)”, giacchè la Corte di merito sembra applicare e interpretare l’art. 81 c.c. sulla scorta del richiamato insegnamento giurisprudenziale che, per la sussistenza del vincolo pertinenziale, oltre alla piena disponibilità della cosa accessoria in capo al proprietario della cosa principale, richiede che la destinazione pertinenziale, specie se derivi da un atto non negoziale, risulti nella sua attualità ed effettività e sia riconducibile a un comportamento oggettivamente valutabile, omettendo tuttavia di esaminare proprio l’esistenza di una volontà negoziale istitutiva del vincolo pertinenziale nel contratto di compravendita del Notaio G. del 22.5.1973, nel quale è espressamente indicato un negozio con accessori al piano terra, con allegata planimetria dell’area.

1.2. – Con il secondo motivo, il ricorrente deduce, in riferimento all'”Art. 360 c.p.c., n. 3 – Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1362 c.c.”, affermando che, per stabilire la destinazione pertinenziale di un bene accessorio rispetto a un altro principale, bisogna fare riferimento all’intenzione delle parti contraenti per appurare se le stesse abbiano inteso attribuire all’area tale destinazione; il ricorrente lamenta che, nella fattispecie, la Corte di merito ha stabilito che tale relazione pertinenziale non sussistesse, senza indagare nè l’intenzione delle parti quale espressa dall’atto di compravendita e dagli allegati, nè il comportamento complessivo delle parti medesime.

1.3. – Con il terzo motivo, il ricorrente deduce, in riferimento all'”Art. 360 c.p.c., n. 3 – Violazione dell’art. 817 c.c. e contestuale falsa applicazione dell’art. 1062 c.c.”, là dove la Corte di merito non si limita ad applicare il contenuto di tale norma (che prevede un’obiettiva destinazione del bene accessorio), ma estende tale obiettività oltre i confini della norma, non ritenendo sufficiente l’elemento richiesto dalla medesima (e cioè “l’aver adibito l’area… a parcheggio esclusivo”, che configura il “comportamento di destinazione obiettivamente valutabile”), ma richiedendo, addirittura, la realizzazione di “opere visibili e permanenti della servitù”.

1.4. – Con il quarto motivo, il ricorrente lamenta, in riferimento all'”Art. 360 c.p.c., n. 3 – Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1117 c.c.”, in quanto la Corte d’appello ha accertato la contitolarità del M. sull’area in oggetto in applicazione implicita della presunzione di cui alla citata norma errando nell’applicarla, giacchè, con l’atto di provenienza per notaio G. del 1973 l’impresa costruttrice, originaria proprietaria dell’intero edificio, non ha costituito un condominio sull’intera porzione verticale del fabbricato est sulla quale insiste l’area per cui è causa.

1.5. – Con il quinto motivo, il ricorrente deduce, in riferimento all'”Art. 360 c.p.c., n. 5 – Omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio discusso tra le parti: la reale conformazione dei luoghi e in particolare l’adibizione a parcheggio mediante copertura del suolo”, in quanto la Corte di merito non ha percepito il fatto che esso ricorrente avesse adibito l’area a parcheggio esclusivo attraverso opere visibili e permanenti, come specificato nella CTU del 18.6.2004, da cui risulta che il piazzale in terra battuta presenta un soprastante pietrisco ed è utilizzato per il parcheggio di autovetture. E la sentenza impugnata ha erroneamente ritenuto che l’adibizione dell’area a parcheggio sarebbe stata solo parziale, in quanto una parte di essa è destinata a giardino con alberi di alto fusto e panchine.

1.6. – Con il sesto motivo, il ricorrente deduce, in riferimento all'”Art. 360 c.p.c., n. 5 – Omesso esame di fatto decisivo discusso tra le parti: destinazione dell’area risultante dalle testimonianze dei precedenti proprietari dell’area e contemporaneamente condomini del fabbricato”, avendo i testimoni affermato che l’area in questione era riservata al negozio, che in precedenza era di proprietà di P.E..

2. – In ragione della loro connessione, nonchè del comune riferimento alla denunciata violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, i motivi primo, quinto e sesto di ricorso principale vanno congiuntamente esaminati e decisi.

2.1. – Essi sono inammissibili.

2.2. – Il modello introdotto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (nella nuova formulazione adottata dal D.L. n. 83 del 2012, convertito dalla L. n. 134 del 2012, applicabile alle sentenze impugnate dinanzi alla Corte di cassazione ove le stesse siano state pubblicate in epoca successiva al 12 settembre 2012, e quindi ratione temporis anche a quella oggetto del ricorso in esame, pubblicata il 12 novembre 2013) prevede che la sentenza può essere impugnata con ricorso per cassazione solo in caso di “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”. Orbene è noto come, secondo le Sezioni Unite (n. 8053 e n. 8054 del 2014), la norma consenta di denunciare in cassazione – oltre all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, e cioè, in definitiva, quando tale anomalia si esaurisca nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione – solo il vizio dell’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, vale a dire che, ove esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia (Cass. n. 14014 e n. 9253 del 2017).

2.3. – Nel rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente avrebbe dovuto specificamente indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività” (Cass. n. 14014 e n. 9253 del 2017).

Orbene, nei tre motivi de quibus, della enucleazione e della configurazione di siffatti presupposti (sostanziali e non meramente formali), onde poter procedere all’esame del denunciato parametro, non v’è traccia.

Sicchè, alla luce del sopra richiamato consolidato indirizzo giurisprudenziale, riguardante la più angusta latitudine della nuova formulazione rispetto al previgente vizio di “omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio”, le censure mosse in riferimento al parametro di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 si risolvono, in buona sostanza, nella richiesta generale e generica al giudice di legittimità di una (ri)valutazione alternativa delle ragioni poste a fondamento in parte qua della sentenza impugnata (Cass. n. 1885 del 2018), inammissibile seppure effettuata con asserito riferimento alla congruenza sul piano logico e giuridico del procedimento seguito per giungere alla soluzione adottata dalla Corte distrettuale e contestata dal ricorrente.

3. – Il secondo motivo non è fondato.

3.1. – E’ principio consolidato che “l’interpretazione del contratto è attività riservata al giudice di merito, censurabile in sede di legittimità solo per violazione dei canoni ermeneutici” (cfr., ex plurimis e da ultimo, Cass. n. 375 del 2018; Cass. n. 16181 del 2017). L’accertamento, anche in base al significato letterale delle parole, della volontà degli stipulanti, in relazione al contenuto del negozio (cfr. Cass. n. 18509 del 2008), si traduce dunque in un’indagine di fatto affidata in via esclusiva al giudice di merito.

Pertanto, tale accertamento è censurabile in sede di legittimità soltanto per vizio di motivazione (Cass. n. 1646 del 2014), nel caso in cui (contrariamente a quanto risulta nella presente fattispecie) la motivazione stessa risulti talmente inadeguata da non consentire di ricostruire l’iter logico seguito dal giudice per attribuire all’atto negoziale un determinato contenuto, oppure nel caso di violazione delle norme ermeneutiche; con la precisazione che nessuna di tali censure può risolversi in una critica del risultato interpretativo raggiunto dal giudice, che si sostanzi nella mera contrapposizione di una differente interpretazione (tra le tante, Cass. n. 26683 del 2006; Cass. n. 18375 del 2006; Cass. n. 1754 del 2006).

Per sottrarsi al sindacato di legittimità, infatti, quella data dal giudice del merito al contratto non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili e plausibili interpretazioni, sì che quando di una clausola contrattuale siano possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto la interpretazione poi disattesa dal giudice del merito, dolersi in sede di legittimità che sia stata privilegiata l’altra (Cass. n. 27136 del 2017; Cass. n. 6125 del 2014; Cass. n. 8909 del 2013; Cass. n. 24539 del 2009; Cass. n. 15604 del 2007; Cass. n. 4178 del 2007; Cass. n. 17248 del 2003).

Qualora, dunque, deduca la violazione dei citati canoni interpretativi, il ricorrente deve precisare in quale modo il ragionamento del giudice se ne sia discostato, non essendo sufficiente un astratto richiamo ai criteri asseritamente violati e neppure una critica della ricostruzione della volontà dei contraenti che, benchè genericamente riferibile alla violazione denunciata, si riduca, come nella specie, alla mera prospettazione di un risultato interpretativo diverso da quello accolto nella sentenza impugnata (Cass. sez. un. n. 1914 del 2016; cfr. Cass. n. 3657 del 2016; Cass. n. 25728 del 2013 e, tra le altre, Cass. n.1754 del 2006).

3.2. – Ne consegue allora che (indiscusso essendo che il sindacato di legittimità non può investire il risultato interpretativo in sè, afferendo ai canoni di ermeneutica) il ricorrente avrebbe dovuto precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice di merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati, o se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche o contraddittorie (Cass. n. 772 del 2016); viceversa risulta che l’attività ermeneutica condotta, nella specie, dalla Corte di merito sia connotata da congruità, ragionevolezza e plausibilità, e, come tale sia immune quindi dagli asseriti vizi di violazione o falsa applicazione di legge dedotti nel motivo di ricorso.

4. – Anche il terzo motivo non merita d’essere accolto.

4.1. – Secondo il ricorrente, la Corte distrettuale avrebbe travalicato i limiti segnati dall’art. 817 c.c. (che richiede per la sussistenza del vincolo pertinenziale la presenza della obiettiva destinazione del bene accessorio) pretendendo la realizzazione di opere visibili permanenti della servitù. Viceversa, la lettura del secondo capoverso di pag. 3 della sentenza impugnata, chiarisce il diverso concetto sotteso alla ratio decidendi, ossia che “l’aver adibito l’area (parzialmente, perchè parte è destinata a giardino con alberi di alto fusto e panchine) a parcheggio esclusivo per il negozio non ha avuto di questa oggettiva tangibilità in difetto della presenza di cartelli di divieti o di destinazione o di ostacoli all’ingresso (apposti dal C. soltanto a ridosso della procedura e proprio perchè il M. insisteva a parcheggiare la propria autovettura)”.

La Corte, dunque, ha escluso la pertinanzialità dell’area rispetto al solo negozio, traendone motivo sia dalla lettura ed interpretazione degli atti di trasferimento, sia dalla rilevazione della assenza di elementi oggettivi e tangibili in tal senso.

Il giudice d’appello, avendo indicato le fonti e le ragioni del proprio convincimento (senza violazione delle norme evocate), ha posto in essere un accertamento di fatto sorretto da adeguata e logica motivazione, come tale immune dalle censure sollevate dal ricorrente (Cass. n. 1916 del 2011), che sostanzialmente si limita a prospettare l’erroneità delle affermazioni della Corte di merito, non richiamate tuttavia nel loro effettivo contenuto.

5. – Anche il quarto motivo va rigettato.

5.1. – Il ricorrente ripropone le argomentazioni contenute nel primo motivo (di cui s’è dichiarata la inammissibilità) in ordine alla asserita impossibilità di considerare comune l’area in questione, non potendo operare la presunzione di condominialità, che la Corte di merito ha invece applicato in favore del controricorrente.

Nel primo motivo di ricorso (pag. 5 e 6), il C. deduce che il contratto di compravendita per Notaio G. del 22.5.1973, quale atto di provenienza degli immobili dei contendenti, conterrebbe infatti una serie di pattuizioni dalle quali si evincerebbe in modo “assolutamente chiaro” l’intenzione della costituzione del vincolo pertinenziale tra l’area scoperta e il negozio venduto.

Orbene, come detto, la Corte d’appello – anche a seguito di una attività ermeneutica, connotata da congruità, ragionevolezza e plausibilità, e, come tale immune quindi dagli asseriti vizi di violazione o falsa applicazione di legge dedotti nel motivo di ricorso (v. sub 3.1. e 3.2.) – è viceversa pervenuta alla diversa conclusione, incensurabile in questa sede poichè frutto di un corretto apprezzamento di fatto (a fronte della genericità della richiamata affermazione del ricorrente), della inesistenza di una costituzione del vincolo pertinenziale tra l’area scoperta ed il solo negozio venduto.

6.1. – Con il primo motivo di ricorso incidentale, il controricorrente deduce la “Violazione o falsa applicazione di legge ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 in relazione all’art. 1226 c.c. in merito alla mancata liquidazione del danno in via equitativa”, in quanto la Corte d’appello, pur riconoscendo la natura condominiale dell’area in oggetto e, quindi, l’illegittimità del comportamento tenuto dal C. sin dal mese di ottobre 2000, quando ha con la forza estromesso il M. dall’uso e dal possesso del bene, ha disatteso la domanda di risarcimento del danno.

6.2. – Con il secondo motivo di ricorso incidentale, il controricorrente lamenta la “Omessa motivazione della sentenza ex art. 360 c.p.c., n. 5 in relazione all’art. 132 c.p.c., n. 4 relativamente al mancato accoglimento della domanda di risarcimento del danno. Nullità della sentenza nella parte in cui è priva dei motivi sui quali la decisione si fonda ovvero caratterizzata da motivazione apparente”.

7.1. – Con il primo motivo di ricorso incidentale condizionato, proposto nell’ipotesi di accoglimento dei motivi di ricorso principale nn. 3, 5 e 6, il controricorrente deduce la “Violazione e falsa applicazione di legge ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 in merito alla mancata delibazione dell’eccezione di nullità della perizia del CTU espletata in primo grado, come eccepito nell’atto di appello”.

7.2. – Con il secondo motivo di ricorso incidentale condizionato il controricorrente lamenta la “Violazione o falsa applicazione di legge ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 in merito alla mancata delibazione dell’eccezione di nullità della sentenza di primo grado per violazione del principio del contraddittorio, come eccepito ed argomentato nell’atto d’appello”.

8. – Per la loro stretta connessione, i due motivi di ricorso incidentale vanno congiuntamente esaminati e decisi.

8.1. – Essi vanno accolti.

8.2. – La Corte territoriale ha ritenuto che debba invece “essere disattesa la domanda di risarcimento dei danni (in favore del controricorrente per effetto del subito spoglio) in difetto di un qualsiasi referente atto ad evitare che la liquidazione equitativa del danno si traduca in arbitrio”. Così argomentando, tuttavia, la Corte non ha escluso la ricorrenza di un fatto illecito, nè che lo stesso abbia dato luogo ad un danno risarcibile, ma ha, semplicemente, omesso di verificare (e, conseguentemente di motivare) la possibilità di una liquidazione equitativa ex art. 1226 c.c., apoditticamente escludendone la praticabilità.

8.3. – Va invero rilevato che, l’orientamento maggioritario della giurisprudenza di legittimità afferma che, nel caso di occupazione illegittima di un immobile il danno subito dal proprietario è in re ipsa, discendendo dalla perdita della disponibilità del bene, la cui natura è normalmente fruttifera, e dalla impossibilità di conseguire l’utilità da esso ricavabile, sicchè costituisce una presunzione iuris tantum e la liquidazione può essere operata dal giudice sulla base di presunzioni semplici, con riferimento al cd. danno figurativo, quale il valore locativo del bene usurpato (Cass. n. 20545 del 2018; Cass. n. 1193 del 2018; Cass. n. 16670 del 2016; Cass. n. 20823 del 2015). Peraltro, diverso orientamento, minoritario, ritiene che il danno da occupazione abusiva di immobile non può ritenersi sussistente in re ipsa e coincidente con l’evento, che è viceversa un elemento del fatto produttivo del danno, ma, ai sensi degli artt. 1223 e 2056 c.c., trattasi pur sempre di un danno-conseguenza, sicchè il danneggiato che ne chieda in giudizio il risarcimento è tenuto a provare di aver subito un’effettiva lesione del proprio patrimonio per non aver potuto locare o altrimenti direttamente e tempestivamente utilizzare il bene, ovvero per aver perso l’occasione di venderlo a prezzo conveniente o per aver sofferto altre situazioni pregiudizievoli, con valutazione rimessa al giudice del merito, che può al riguardo avvalersi di presunzioni gravi, precise e concordanti (Cass. n. 13071 del 2018; Cass. n. 18494 del 2015; Cass. n. 15111 del 2013).

Va ad ogni modo rilevato che questa Corte ha precisato che il contrasto giurisprudenziale deve ritenersi soltanto apparente in quanto, la tesi del danno in re ipsa non prescinde dal predetto accertamento, ma si limita ad affidare alla prova logica presuntiva, ritenendo che la allegazione da parte del danneggiato di determinate caratteristiche materiali e specifiche qualità giuridiche del bene immobile, consentano di pervenire alla prova – fondata su una ragionevole certezza, la cui rispondenza logica deve essere verificata alla stregua del criterio probabilistico dell’id quod plerumque accidit – che “quel tipo di bene immobile” sarebbe stato destinato ad un impiego fruttifero. In tal senso i contrasti che si registrano tra i precedenti richiamati non attengono al principio di diritto della necessità della prova del danno-conseguenza di cui è onerato il danneggiato, ma si risolvono nella diversa specificità delle fattispecie concrete esaminate, avuto riguardo alle peculiari circostanze addotte dal danneggiato in relazione alle caratteristiche del bene immobile, alle qualità soggettive del titolare dello stesso, oltre che ad altre rilevanti circostanze fattuali, elementi tutti che consentono di pervenire all’accertamento del probabile impiego che dell’immobile avrebbe fatto il legittimo titolare (Cass. n. 13224 del 2016).

9. – Il ricorso principale va dunque rigettato, con assorbimento dei motivi di ricorso incidentale condizionato; vanno invece accolti il primo ed il secondo motivo del ricorso incidentale; la sentenza impugnata va cassata, in relazione alle censure accolte, con rinvio alla Corte d’appello di Ancona, in diversa composizione, anche in ordine alla liquidazione delle spese del presente giudizio.

PQM

La Corte rigetta il ricorso principale; assorbiti i motivi di ricorso incidentale condizionato. Accoglie il primo ed il secondo motivo del ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata, in relazione alle censure accolte, e rinvia la stessa alla Corte d’appello di Ancona, in diversa composizione, che provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione seconda civile della Corte Suprema di Cassazione, il 14 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 23 novembre 2018

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