Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30469 del 23/11/2018

Cassazione civile sez. II, 23/11/2018, (ud. 13/09/2018, dep. 23/11/2018), n.30469

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MATERA Lina – Presidente –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 10998-2014 proposto da:

S.G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA SALARIA 332,

presso lo studio dell’avvocato GABRIELE DE MAJO, che la rappresenta

e difende giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

B.S., C.A., C.T.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1310/2013 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 07/03/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/09/2018 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;

udito il PUBBLICO MINISTERO nella persona del SOSTITUTO PROCURATORE

GENERALE Dott. ALESSANDRO PEPE che ha concluso per il rigetto del

ricorso;

udito l’Avvocato Gabriele De Majo per la ricorrente.

Fatto

RAGIONI IN FATTO

S.G. ha convenuto dinanzi al Tribunale di Rieti gli odierni intimati, quali eredi di C.V., al fine di sentire dichiarare la nullità, l’annullamento e comunque risolto il contratto preliminare di compravendita del 26 gennaio 1979, con il quale l’attrice aveva promesso in vendita al dante causa dei convenuti un terreno di circa mq. 532 in (OMISSIS), atteso il grave inadempimento dei promissari acquirenti che non avevano versato nel termine di trenta giorni dal passaggio in giudicato della sentenza della Corte d’Appello di Roma n. 1491/1998 – che aveva loro trasferito la proprietà del bene – il pagamento del residuo prezzo pari a Lire 35.000.000, con la conseguente condanna al rilascio del bene.

Si costituivano i convenuti i quali eccepivano l’inammissibilità della domanda, atteso che il preliminare era stato ormai sostituito dalla sentenza costitutiva, deducendo altresì l’infondatezza nel merito della pretesa attorea, in quanto in data 5 ottobre 2001 avevano tentato di eseguire il pagamento tramite l’invio di vaglia telematico ed offerta reale.

Il Tribunale adito con la sentenza n. 231/2006 dichiarava inammissibili le domande dell’attrice e rigettata anche la domanda riconvenzionale di risarcimento danni dei convenuti, condannava la S. al rimborso delle spese di lite.

La Corte d’Appello di Roma con la sentenza n. 1310 dell’8 marzo 2013 ha rigettato l’appello della S..

In primo luogo ricordava che, a seguito della pronuncia della sentenza traslativa della proprietà del bene in capo ai convenuti, dovevano reputarsi superate tutte le questioni concernenti direttamente la validità e la risoluzione del preliminare, essendo le stesse coperte dal giudicato.

Tuttavia la domanda proposta doveva intendersi riferita alla richiesta di risoluzione del rapporto scaturente dalla pronuncia costitutiva.

Infatti, l’attrice aveva dedotto che, pur essendo pronta a trasferire la proprietà del bene ed a ricevere il saldo del prezzo a far data dal 2/9/2001 (rappresentante il trentesimo giorno successivo al passaggio in giudicato della sentenza costitutiva), tenuto conto che in tale data era intervenuta la sentenza della Cassazione che aveva rigettato l’appello proposto avverso la sentenza n. 1491/1998 della Corte d’Appello di Roma, che aveva a sua volta dato esecuzione in forma specifica al preliminare, tuttavia i promissari acquirenti non avevano provveduto entro tale data a versare quanto da loro dovuto.

La sentenza d’appello rammentava invece che al rapporto originato dalla sentenza costitutiva de qua è applicabile l’istituto della risoluzione per inadempimento, sempre che ricorrano le condizioni di gravità richieste dall’art. 1455 c.c.

Nella fattispecie, ribadito che l’obbligo di versamento del prezzo era divenuto attuale solo alla scadenza del trentesimo giorno dal passaggio in giudicato della sentenza che aveva disposto il trasferimento del terreno, il richiamo a tale pagamento come condizione doveva invece essere inteso come finalizzato ad assicurare la contestualità logica e temporale tra la prestazione de qua ed il trasferimento della proprietà.

Effettivamente il pagamento sarebbe dovuto avvenire a far data dal 2 settembre 2001, ma emergeva che i convenuti avevano provveduto in data 5/10/2001 a richiedere sette vaglia telematici a favore della S., provvedendo all’offerta reale di un assegno circolare di importo pari al prezzo dovuto, offerta però rifiutata dall’attrice.

Il ritardo di un solo mese rispetto al termine previsto non poteva però essere valutato come un grave inadempimento, nè poteva accedersi alla tesi dell’appellante secondo cui tale versamento costituisse una condizione di efficacia del precedente accordo contrattuale, in quanto solo le parti possono subordinare l’efficacia del contratto ad un avvenimento futuro ed incerto, e non anche il giudice che pronunci una sentenza costitutiva.

Infine, andava anche escluso che il termine sopra indicato avesse carattere essenziale, con la conseguenza che, una volta decorso, l’attrice avrebbe potuto solamente mettere in mora i debitori, anche con una diffida ad adempiere, al fine di conseguire la risoluzione del rapporto.

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione S.G. sulla base di cinque motivi.

Gli intimati non hanno svolto difese in questa sede.

Diritto

RAGIONI IN DIRITTO

1. Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione dell’art. 115 c.p.c., in quanto la sentenza gravata avrebbe erroneamente inteso il reale contenuto della sentenza della Corte d’Appello di Roma n. 1491/1998, divenuta definitiva a seguito del rigetto del ricorso avverso la medesima proposto, giusta sentenza di questa Corte n. 10725/2001 del 3 agosto 2001.

Si ribadisce che la decisione che aveva disposto il trasferimento della proprietà del terreno ai convenuti aveva previsto che il pagamento fungesse da condizione di efficacia dello stesso trasferimento, e precisamente, come poi specificato anche nei successivi motivi, quale condizione risolutiva, con la conseguenza che è erronea l’affermazione secondo cui ai fini della risoluzione bisognerebbe avere riguardo alla gravità dell’inadempimento, e non anche al mero riscontro obiettivo che il prezzo non era stato versato nei trenta giorni dal passaggio in giudicato della sentenza costitutiva.

L’evidente erronea comprensione della portata della sentenza de qua ha quindi comportato che la decisione gravata ha deciso prescindendo dalle prove in atti, in violazione dell’art. 115 c.p.c..

Il secondo motivo denuncia la violazione dell’art. 2909 c.c. per la violazione del disposto della sentenza della Corte d’Appello di Roma n. 1491/1998.

Alla luce di quanto già dedotto nel primo motivo, si ribadisce che il pagamento del saldo prezzo era una condizione risolutiva degli effetti costitutivi, e precisamente determinava il venir meno del già prodottosi trasferimento della proprietà in capo ai convenuti, così che l’avere costruito, come fatto dai giudici di appello, tale evento quale condizione sospensiva ha determinato il tradimento del reale volere della sentenza passata in giudicato.

Il terzo motivo lamenta la violazione dell’art. 646 c.c. in punto di effetti retroattivi della condizione risolutiva, posto che, una volta qualificato correttamente il versamento del saldo quale condizione risolutiva, i giudici di appello, una volta riscontrato che alla scadenza dei trenta giorni dal passaggio in giudicato della sentenza costituiva il prezzo non era stato pagato, avrebbero semplicemente dovuto prendere atto dell’avvenuta perdita di efficacia del trasferimento.

Il quarto motivo (riportato ancora una volta come sub 3) lamenta la motivazione incongrua o contraddittoria circa un fatto decisivo della controversia, in quanto, poichè gli effetti traslativi della proprietà si ricollegano al passaggio in giudicato della sentenza n. 1491/1998 della Corte d’Appello di Roma, il ragionamento svolto nella sentenza oggi gravata è del tutto incongruo, in quanto ha disapplicato proprio il contenuto ed il volere del giudicato.

Il quinto motivo (erroneamente riportato sub 4) lamenta un’ulteriore violazione dell’art. 115 c.p.c. e del giudicato ex art. 2909 c.c., richiamandosi la tesi già sviluppata nei precedenti motivi circa la natura di condizione risolutiva del pagamento del prezzo, essendosi ritenuto che l’obbligazione de qua divenisse attuale solo a far data dal trentesimo giorno dal passaggio in giudicato della sentenza costitutiva, laddove deve invece ritenersi che, essendosi prodotti gli effetti traslativi nello stesso momento del passaggio in giudicato, in tale momento era divenuto attuale anche l’obbligo di pagamento del prezzo, il che porta ad affermare che il versamento è avvenuto in realtà con 73 giorni di ritardo, e non anche solo 43, come invece opinato dai giudici di secondo grado.

2. I motivi, che possono essere congiuntamente esaminati per la loro connessione, sono evidentemente privi di fondamento. Ed, invero, in disparte l’evidente inammissibilità del quarto motivo di ricorso che denuncia la difettosa motivazione della sentenza impugnata sulla base della vecchia formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non più applicabile ratione temporis, l’intera costruzione della tesi della ricorrente si fonda sull’erroneo presupposto che la sentenza che ha disposto il trasferimento della proprietà del bene in capo agli intimati abbia configurato l’adempimento della prestazione gravante su questi ultimi alla stregua di una condizione di efficacia e precisamente come un’ipotesi di condizione risolutiva, il cui avveramento avrebbe quindi determinato l’automatico venir meno dell’effetto traslativo (ex art. 1360 c.c., e non anche in base alla norma di cui all’art. 646 c.c. richiamata nel terzo motivo, specificamente riferita alla materia testamentaria), senza dover quindi far ricorso alle previsioni in tema di risoluzione per inadempimento, con la necessità di dover procedere alla valutazione di gravità ex art. 1455 c.c.

Al riguardo va però ricordato il costante orientamento di questa Corte secondo cui (cfr. Cass. n. 690/2006) dal momento del passaggio in giudicato della sentenza ex art. 2932 c.c. si producono gli effetti del negozio, comportando, nel caso di vendita, il trasferimento della proprietà del bene e correlativamente l’obbligo dell’acquirente di versare il prezzo (o il suo residuo) eventualmente ancora dovuto, obbligo sancito con una pronuncia di accertamento o di condanna o di subordinazione dell’efficacia traslativa al pagamento. In tal modo si origina un rapporto di natura negoziale e sinallagmatica suscettibile di risoluzione nel casi di inadempimento che, ai sensi dell’art. 1455 c.c. sia di non scarsa importanza, il che può verificarsi anche nel caso di ritardo (rispetto al termine eventualmente fissato nella sentenza o altrimenti in relazione alla data del suo passaggio in giudicato, come appunto ritenuto dai giudici di appello) che risulti eccessivo in rapporto al tempo trascorso, all’entità della somma da pagare (in assoluto e in riferimento all’importo in ipotesi già versato) e a ogni altra circostanza utile ai fini della valutazione dell’interesse dell’altra parte.

Peraltro si è precisato che (cfr. Cass. n. 10605/2016) l’istituto della risoluzione per inadempimento applicabile per l’ipotesi di inadempimento degli obblighi scaturenti dalla sentenza costituiva, impedisce che possa farsi applicazione delle diverse previsioni in tema di condizione risolutiva ex art. 1353 c.c., ancorchè impropriamente si parli di trasferimento condizionato all’adempimento degli obblighi gravanti sul compratore.

In tal senso si veda anche Cass. n. 10827/2001, secondo cui con riguardo al rapporto che si costituisce per effetto della sentenza di accoglimento della domanda di esecuzione specifica dell’obbligo a concludere una compravendita, il pagamento del prezzo, cui è subordinato il trasferimento della proprietà, se è vero che assolve alla funzione di condizione per il verificarsi dell’effetto traslativo, non perde peraltro la sua natura di prestazione essenziale destinata ad attuare il sinallagma contrattuale, con la conseguenza per cui l’inadempimento della correlativa obbligazione, può – nel concorso dei relativi presupposti – essere fatta valere dalla controparte, come ragione di risoluzione del rapporto o “ipso iure” o “ope iudicis”, e non già come causa di automatica inefficacia del rapporto medesimo ai sensi dell’art. 1353 c.c.(conf. Cass. n. 25364/2006).

La sentenza impugnata si è correttamente attenuta ai principi espressi in passato da questa Corte, ed ai quali il Collegio intende assicurare continuità, principi che inficiano in radice il presupposto logico – giuridico dal quale prende le mosse la difesa della ricorrente, e cioè che nella fattispecie il mancato pagamento del prezzo, alla scadenza prevista, fungerebbe da condizione risolutiva.

I giudici di appello hanno invece puntualmente ricondotto la fattispecie dedotta in giudizio alle regole della risoluzione per inadempimento, vagliando a tal fine se ricorressero o meno, a fronte del ritardo nell’adempimento, le condizioni per ravvisare la gravità di cui all’art. 1455 c.c., escludendo che ciò si fosse verificato, sulla base di una valutazione in fatto, logicamente argomentata, come tale insuscettibile di censura in questa sede (cfr. quanto alle modalità ed ai termini per il versamento del prezzo da parte del soggetto a favore del quale la sentenza abbia trasferito la proprietà del bene ai sensi dell’art. 2932 c.c., Cass. n. 26364/2017, secondo cui tale obbligo diviene attuale al momento del passaggio in giudicato della sentenza che trasferisce il bene o allo spirare del termine ulteriore da essa eventualmente stabilito, sicchè il ritardo nel pagamento, solo se qualificabile come grave, può essere causa della risoluzione del rapporto sorto con la sentenza sostitutiva del negozio non concluso, non essendo a tal fine necessario che il creditore chieda al giudice la fissazione, ai sensi dell’art. 1183 c.c., del termine per l’adempimento oppure costituisca in mora il debitore).

Il ricorso deve pertanto essere rigettato.

3. Nulla a disporre quanto alle spese di lite, atteso il mancato svolgimento di attività difensiva da parte degli intimati.

4. Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

Rigetta il ricorso;

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente del contributo unificato dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 13 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 23 novembre 2018

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