Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30468 del 23/11/2018

Cassazione civile sez. II, 23/11/2018, (ud. 13/09/2018, dep. 23/11/2018), n.30468

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MATERA Lina – Presidente –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 17444-2014 proposto da:

PAMA IMMOBILIARE SRL, (successore di COLORFER SRL), elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA LIMA, 7, presso o studio dell’avvocato

PASQUALE IANNUCCILLI, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

F.E., F.A., elettivamente domiciliati in ROMA,

VIALE GIUSEPPE MAZZINI 112, presso lo studio dell’avvocato CESARE

FORTE, rappresentati e difesi dall’avvocato ANTONIO SCIAUDONE;

– controricorrenti e ricorrenti incidentali –

avverso la sentenza n. 1954/2013 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 16/05/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/09/2018 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PEPE ALESSANDRO, il quale ha concluso per il rigetto dei ricorsi

principale ed incidentale;

uditi gli Avvocati Iannuccili e Sciaudone.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Colorfer s.r.l. ha proposto ricorso articolato in sette motivi, notificato il 30 giugno 2014, avverso la sentenza n. 1954/2013 della Corte d’Appello di Napoli, depositata il 16 maggio 2013.

F.A. ed F.E. si difendono con controricorso ed hanno proposto ricorso incidentale in unico motivo.

La Colorfer s.a.s. di V.V. & c. (poi Colorfer s.r.l.) con citazione del 27 settembre 2000 convenne i fratelli F.A. ed F.E. davanti al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, domandando la riduzione del prezzo di alienazione dell’immobile sito in via (OMISSIS), condotto in locazione dalla società ed oggetto di preliminare di vendita tra le parti del 30 gennaio 1998, stante la reale destinazione urbanistica d’uso del bene per civile deposito e non per locale commerciale. Con successivo giudizio, poi riunito al primo, intrapreso mediante citazione del 4 luglio 2002, la Colorfer s.a.s. domandò invece la pronuncia di sentenza ex art. 2932 c.c. avente ad oggetto l’immobile di via (OMISSIS), previa riduzione del prezzo di Lire 550.000.000 pattuito nel preliminare. Con sentenza del 26 giugno 2012, il Tribunale dispose, ai sensi dell’art. 2932 c.c., il trasferimento alla Colorfer s.a.s. dell’immobile, pronunciando però soltanto nei confronti di F.E. e non anche nei confronti dell’altra promittente venditrice F.A., rimasta contumace in primo grado. La Corte d’Appello di Napoli accolse in parte l’appello principale della Colorfer s.a.s., dichiarando la nullità della sentenza del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere per l’omessa pronuncia nei confronti di F.A., pur evocata in giudizio, e così ordinò nei confronti di entrambi i convenuti e promittenti alienanti il trasferimento dell’immobile, subordinando peraltro l’effetto traslativo della proprietà al versamento del residuo prezzo di Lire 325.000.000 (Euro 167.848,49), oltre interessi, da parte della promissaria acquirente Colorfer s.a.s., avendo riguardo al prezzo di Lire 550.000.000 convenuto nel preliminare del 30 gennaio 1998 e detratto da esso l’acconto corrisposto pari a Lire 225.000.000. I giudici di appello confermarono, inoltre, il rigetto della domanda di riduzione del prezzo, rilevando come l’immobile oggetto del preliminare fosse esteso mq. 170 (e non mq 300, tale essendo, piuttosto, la consistenza dell’immobile oggetto del diverso contratto di locazione in precedenza intercorso fra le medesime parti). La Corte di Napoli evidenziò come, stando all’espletata Ctu ed alla documentazione acquisita, il mutamento di destinazione, in conformità alle previsioni del preliminare, fosse intervenuto già il 28 aprile 2000, e dunque prima del termine fissato dalle parti per l’atto pubblico (31 dicembre 2000), ovvero della data ultima di stipula del definitivo, stabilita per il 31 gennaio 2001. Quanto poi alla tettoia, della quale il Comune aveva ordinato la demolizione, essa, secondo quanto accertato dalla Corte d’Appello, era relativa a diverso corpo di fabbrica adiacente all’immobile promesso in vendita, e soltanto compresa nel più ampio complesso che era stato oggetto della locazione inter partes. Per le stesse ragioni i giudici di secondo grado negarono la sussistenza di danni patiti dalla Colorfer s.a.s. Circa poi l’appello incidentale di F.A. ed F.E., volto ad ottenere la risoluzione del preliminare (come da domanda riconvenzionale proposta in primo grado da F.E.), la Corte di Napoli negò che fosse ravvisabile un inadempimento di non scarsa importanza della Colorfer s.a.s., avendo la promissaria acquirente per tempo versato l’acconto di Lire 225.000.000 (pari a circa la metà dell’intero prezzo) ed apparendo inoltre non significativo il ritardo nel versamento delle restanti rate di prezzo, se comparato al comportamento dei promittenti venditori, i quali soltanto nell’aprile del 2000 avevano ottenuto il mutamento di destinazione promesso alla compratrice.

In data 7 settembre 2018 ha presentato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c. la Pama Immobiliare s.r.l., dichiarandosi beneficiaria di scissione della Colorfer s.r.l., come indicato nella procura per notaio Savio allegata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

In via pregiudiziale, occorre considerare come, con memoria ex art. 378 c.p.c., la Pama Immobiliare s.r.l. abbia dedotto e prodotto documentazione in relazione alla innovazione soggettiva della parte ricorrente, allegando l’avvenuta successione a titolo particolare nel diritto controverso per effetto di scissione societaria della Colorfer s.r.l. del 10 ottobre 2014.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte (Cass. Sez. U, 22/04/2013, n. 9692), il soggetto che proponga ricorso per cassazione, ovvero vi resista nell’asserita qualità di successore, a titolo universale o particolare, di colui che era stato parte nel precedente grado o fase di giudizio, deve non soltanto allegare la propria “legitimatio ad causam” per essere subentrato nella medesima posizione del proprio dante causa, ma altresì fornire la prova tramite le produzioni di cui all’art. 372 c.p.c. – la cui mancanza, attenendo alla regolare instaurazione del contraddittorio nella fase della impugnazione, è rilevabile d’ufficio – delle circostanze costituenti i presupposti di legittimazione alla sua successione nel processo. L’entrata nel processo di cassazione dei successori, concretandosi in un apporto innovativo sotto il profilo soggettivo consistente nella sostituzione della legittimazione della parte originaria, allorquando riguardi una parte già costituitasi con il deposito del ricorso o del controricorso, deve avvenire (per l’esigenza di assicurare una forma simile a quella del ricorso e del controricorso, cioè degli atti che introducono gli elementi sui quali si deve svolgere il giudizio), attraverso un atto che, assumendo la natura sostanziale di atto di intervento, dev’essere partecipato alla controparte mediante notificazione. Non è possibile ritenere, invece, che l’intervento abbia luogo mediante il semplice deposito di un atto nella cancelleria della Corte, come per le memorie ai sensi dell’art. 378 c.p.c. e per quelle di cui agli artt. 380 bis o 380 bis-1 c.p.c., in quanto l’attività che si compie con tali atti non è innovativa. Altrimenti, la produzione dei documenti comprovanti la successione nel processo deve ritenersi consentita e rituale, pur se non compiuta con le modalità di cui all’art. 372 c.p.c., comma 2, quando sia effettuata in modo da consentire comunque la difesa della controparte, e questa abbia accettato il contraddittorio sul punto. Il successore che non abbia presentato ricorso o controricorso, se non può presentare memorie, può partecipare alla discussione orale conferendo al difensore procura speciale. Una irrituale costituzione del successore per mancanza di attivazione del contraddittorio mediante notificazione della documentazione, come nella specie avvenuta in sede di memoria ex art. 378 c.p.c., può, peraltro, considerarsi valida per sanatoria soltanto ove le controparti costituite non formulino eccezioni. Poichè, allora, i controricorrenti hanno espressamente dichiarato all’udienza di discussione del 13 settembre 2018 di non avere eccezioni da muovere sulla posizione della Pama Immobiliare s.r.l. quale successore a titolo particolare nel processo, il vizio suddetto deve intendersi sanato.

Non di meno, della memoria ex art. 378 c.p.c. della Pama Immobiliare s.r.l. non possono considerarsi le questioni nuove e le denunzie di fatti sopraggiunti al ricorso che comportano un ampliamento dell’iniziale thema decidendum del giudizio di cassazione.

Il primo motivo del ricorso della Colorfer s.r.l. (poi Pama Immobiliare s.r.l.) denuncia la violazione e falsa applicazione della L. n. 47 del 1985, art. 32 (poi D.p.R. n. 380 del 2001, art. 36), nonchè degli artt. 115 e 116 c.p.c. e degli artt. 1175 e 1337 c.c., non avendo la Corte d’Appello considerato che “nessun cambio di destinazione urbanistica” vi era realmente stato, “in quanto la concessione edilizia in sanatoria era subordinata all’abbattimento della tettoia”. Di tale concessione si riporta nella prima censura uno stralcio secondo cui “si rilascia a condizione che limitatamente alle opere interessate al cambio di destinazione d’uso è l’abbattimento della tettoia”. Viene anche evidenziato come la Corte di Napoli avesse immotivatamente denegato la richiesta di rinnovazione della CTU.

Il secondo motivo del ricorso della Colorfer s.r.l. denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e degli artt. 1175 e 1337 c.c., in quanto la Corte d’Appello avrebbe dovuto accertare la malafede nel comportamento contrattuale dei signori F., i quali conoscevano le irregolarità urbanistiche dell’immobile e non avevano prontamente richiesto il cambio di destinazione d’uso dello stesso.

Il terzo motivo del ricorso principale denuncia la “contraddittorietà ed erronea motivazione” in ordine ad un punto decisivo e l'”omesso esame di documentazione decisiva”. Si richiama la circostanza del condizionamento del mutamento della destinazione d’uso dell’immobile oggetto del preliminare all’abbattimento della tettoia aderente al medesimo fabbricato. Viene evidenziato come non sia poi intervenuto alcun titolo abilitativo e come perciò erroneamente la Corte d’Appello abbia dato per conseguito il mutamento di destinazione dal 28 aprile 2000.

Il quarto motivo del ricorso principale allega la violazione e falsa applicazione degli artt. 1464 e 2932 c.c., nonchè dell’art. 115 c.p.c., ovvero la “contraddittorietà ed erronea motivazione” in ordine ad un punto decisivo e “l’omesso e/o scorretto esame delle dichiarazioni testimoniali”. L’assunto della ricorrente è che l’inequivocabile irregolarità urbanistica dell’immobile oggetto del preliminare non potesse non incidere sul valore e sull’utilizzabilità di esso, essendo la concessione n. 15/2000 condizionata all’abbattimento della tettoia.

Il quinto motivo del ricorso della Colorfer s.r.l. denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e degli artt. 1464 e 2932 c.c., in quanto il rigetto della domanda di riduzione del prezzo e dell’accessoria richiesta risarcitoria risulterebbe immotivata “anche in relazione alla mancata quantificazione delle opere di manutenzione straordinaria che l’attrice ha realizzato sull’immobile”, per “vizi strutturali dell’edificio… ampiamente provati”, come emergenti dalla perizia giurata del consulente di parte geometra M.S. e dalla DIA presentata il 25 marzo 2003 al fine di eseguire un intervento di manutenzione straordinaria, restauro e risanamento conservativo.

Il sesto motivo del ricorso della Colorfer s.r.l. denuncia la violazione ed erronea applicazione dell’art. 112 c.p.c. e degli artt. 1460 e 1224 c.c., ravvisando la contraddittorietà logica tra la motivazione che ha escluso l’inadempimento della Colorfer, ritenendo giustificata la sospensione dei pagamenti da parte della promissaria acquirente ed invece poi condannando la stessa ai pagamento degli interessi sul saldo dovuto sin dalla data stabilita per la stipula del definitivo (31 gennaio 2001).

Il settimo motivo del ricorso principale deduce a contraddittorietà ed erronea motivazione, ed anzi il difetto di motivazione, non avendo la Colorfer determinato la mancata conclusione del definitivo.

1.1. I sette motivi del ricorso della Colorfer s.r.l. (poi Pama Immobiliare s.r.l.) possono essere esaminati in modo congiunto perchè evidentemente connessi; essi rivelano diffusi comuni profili di inammissibilità e sono comunque per il resto infondati.

Sono innanzitutto inammissibili tutte le censure di “contraddittorietà ed erronea motivazione in ordine ad un punto decisivo della controversia”, “omesso esame di documentazione”, “omesso e/scorretto esame delle dichiarazioni testimoniali” contenute nel terzo, nel quarto nel settimo motivo del ricorso principale. L’interpretazione di questa Corte ha chiarito come l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, abbia introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia) (Cass. Sez. U, 07/04/2014, n. 8053). Costituisce, pertanto, un “fatto”, agli effetti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non una “questione” o un “punto”, ma un vero e proprio “fatto”, in senso storico e normativo, un preciso accadimento ovvero una precisa circostanza naturalistica, un dato materiale, un episodio fenomenico rilevante (Cass. Sez. 1, 04/04/2014, n. 7983; Cass. Sez. 1, 08/09/2016, n. 17761; Cass. Sez. 5, 13/12/2017, n. 29883; Cass. Sez. 5, 08/10/2014, n. 21152; Cass. Sez. U., 23/03/2015, n. 5745; Cass. Sez. 1, 05/03/2014, n. 5133). Non costituiscono, viceversa, “fatti”, il cui omesso esame possa cagionare il vizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5: le argomentazioni o deduzioni difensive (Cass. Sez. 2, 14/06/2017, n. 14802: Cass. Sez. 5, 08/10/2014, n. 21152); gli elementi istruttori; una moltitudine di fatti e circostanze, o il “vario insieme dei materiali di causa” (Cass. Sez. L, 21/10/2015, n. 21439). D’altro canto, l’omesso esame di elementi istruttori (quali le prove testimoniali elencate nel quarto motivo) non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa (l’assunta irregolarità urbanistica dell’immobile promesso in vendita), sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie. Nè la denuncia di omesso esame ex art. 360 c.p.c., n. 5. può ammissibilmente svolgersi senza rispettare la previsione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e quindi senza indicare specificamente il “dato”, testuale o extratestuale, in cui tali circostanze risultassero dedotte nei pregressi gradi di giudizio, in maniera da essere oggetto di discussione processuale tra le parti. Peraltro, nel vigore del nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, un vero e proprio vizio di contraddittoria motivazione non sopravvive neppure come ipotesi di nullità della sentenza (Cass. Sez. 6 -3, 06/07/2015, n. 13928). Come insegnato da Cass. Sez. U, 07/04/2014, n. 8053, pur a seguito della Riforma del 2012, un sindacato della Corte di cassazione sulla “coerenza” della motivazione residua “sotto il profilo della irriducibile contraddittorietà e dell’illogicità manifesta”, ovvero del “contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili” o della “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, sempre che si tratti di vizio emergente “immediatamente e direttamente dal testo della sentenza impugnata”, e non dunque dal confronto, come invoca la ricorrente, tra la motivazione della sentenza d’appello e le molteplici risultanze probatorie.

Le dedotte violazioni degli artt. 115 e 116 c.p.c., reiterate nei motivi primo, secondo, quarto e quinto del ricorso principale, sono prive di consistenza, in quanto la violazione dell’art. 115 c.p.c. può essere ipotizzata come vizio di legittimità solo denunciando che il giudice ha deciso la causa sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, e non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, ha attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre; mentre la violazione dell’art. 116 c.p.c. è idonea ad integrare il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 4, denunciabile per cassazione, solo quando il giudice di merito abbia disatteso il principio della libera valutazione delle prove, salva diversa previsione legale, e non per lamentare che lo stesso abbia male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova (Cass. Sez. 3, 10/06/2016, n. 11892).

Circa la richiesta di rinnovazione della CTU, è noto che, il giudice di merito non è tenuto, anche a fronte di una esplicita richiesta di parte, a disporre una nuova consulenza tecnica, atteso che il rinnovo dell’indagine tecnica rientra tra i poteri discrezionali del giudice di merito, sicchè non è neppure necessaria una espressa pronunzia sul punto (da ultimo in tal senso, Cass. Sez. 3, 29/09/2017, n. 22799).

Le censure del ricorso della Colorfer s.r.l. denotano altresì carenza di immediata riferibilità alla ratio decidendi esplicitata dalla Corte d’Appello di Napoli e si fondano sulla costante allegazione di una circostanza, che assumono non valutata, o erroneamente valutata, nella sentenza impugnata, e che invece risulta un punto controverso sul quale la medesima sentenza ebbe a pronunciarsi. La Corte d’Appello, nell’escludere la fondatezza della domanda di riduzione del prezzo, ha dato per accertato che l’immobile oggetto del preliminare per cui è causa fosse esteso mq. 170 (e non mq. 300, come l’immobile oggetto del contratto di locazione in precedenza intercorso fra le medesime parti). La Corte di Napoli, sulla base dell’apprezzamento delle risultanze processuali (C.T.U. e documentazione), ha altresì supposto l’esistenza del mutamento di destinazione dell’immobile promesso in vendita, mutamento assentito il 28 aprile 2000, essendo poi fissato il termine per l’atto pubblico al 31 dicembre 2000, ovvero comunque la data ultima per il definitivo al 31 gennaio 2001. Altra circostanza di fatto accertata dai giudici di merito è che la tettoia da demolire, secondo la prescrizione del Comune, fosse estranea all’immobile oggetto del preliminare del 30 gennaio 1998, e piuttosto compresa in un corpo di fabbrica adiacente (un tempo anch’esso condotto in locazione dalla Colorfer). Su tali argomenti, la Corte d’Appello di Napoli ha pure respinto la domanda di risarcimento dei danni, non risultando dimostrato che la Colorfer s.a.s. avesse subito limitazioni nel godimento del bene acquistato, nè che avesse sostenuto il costo di opere di manutenzione straordinaria, pur essendo dimostrate le condizioni di degrado dell’immobile.

I motivi del ricorso della Colorfer s.r.l. insistono tutti nel sottolineare che il mutamento di destinazione d’uso dell’immobile oggetto di preliminare fosse stato, in realtà, subordinato dal Comune al preventivo abbattimento della tettoia del fabbricato adiacente, così sollecitando inammissibilmente la Corte di Cassazione ad operare una nuova valutazione della documentazione esaminata dalla Corte d’Appello, mediante un accesso diretto agli atti ed una loro delibazione, nonchè a rendere una nuova pronuncia sulla fondatezza della pretesa di merito della promissaria acquirente di riduzione del prezzo.

Questa Corte ha, comunque, più volte affermato che, in materia di esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto, in presenza di difformità non sostanziali e non incidenti sull’effettiva utilizzabilità del bene ma soltanto sul relativo valore, il promissario acquirente non resta soggetto alla sola alternativa della risoluzione del contratto o dell’accettazione senza riserve della cosa viziata o difforme, ma può esperire l’azione di esecuzione specifica dell’obbligo di concludere il contratto definitivo a norma dell’art. 2932 c.c., chiedendo cumulativamente e contestualmente l’eliminazione delle accertate difformità o la riduzione del prezzo. In particolare, la presenza di irregolarità edilizie dell’immobile non conosciute dal promissario acquirente – integra vizi che legittimano la domanda intesa alla loro eliminazione ovvero alla riduzione del prezzo ragguagliabile alla spesa sostenuta per la sanatoria. (Cass. Sez. 2, 15/02/2007, n. 3383; Cass. Sez. 2, 26/01/2010, n. 1562; Cass. Sez. 2, 15/12/2006, n. 26943; Cass. Sez. 2, 01/10/1997, n. 9560). D’altro canto, la sussistenza di vizi nella cosa promessa in vendita legittima il promissario acquirente altresì a cumulare la richiesta della pronuncia costitutiva degli effetti della vendita non conclusa ex art. 2932 c.c. con la richiesta di condanna del promittente venditore al risarcimento del danno correlato alla difettosità del bene, indipendentemente dalla prova dell’effettiva sua eliminazione, in quanto siffatta inesattezza della prestazione determina comunque una riduzione del valore della res. Tale risarcimento può, invero, essere escluso solo se cumulato con un’actio quanti minoris, giacchè soltanto in tal caso esso assume la valenza di un’eliminazione indiretta del vizio (arg. da Cass. Sez. 6 – 2, 17/06/2014, n. 13717; Cass. Sez. 2, 29/11/2013, n. 26852; Cass. Sez. U, 13/11/2012, n. 19702). L’esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto è, tuttavia, subordinata alla condizione della necessaria identità della cosa oggetto del trasferimento con quella prevista nel preliminare, nel senso che deve essere rispettata l’esigenza che il bene da trasferire non sia oggettivamente diverso, per struttura e funzione, da quello considerato e promesso. Pertanto, in presenza di vizi di regolarità urbanistica inerenti, come nella specie, ad un fabbricato diverso, seppur adiacente e di proprietà dello stesso promittente venditore, non incidenti sull’effettiva utilizzabilità del bene promesso in vendita, al promissario acquirente, che agisca per l’esecuzione specifica dell’obbligo di concludere il contratto definitivo a norma dell’art. 2932 c.c., non può accordarsi la facoltà di domandare cumulativamente e contestualmente l’eliminazione delle accertate difformità o la riduzione del prezzo.

L’immobile promesso in vendita da A. ed F.E. alla Colorfer con il preliminare del 30 gennaio 1998 doveva essere, piuttosto, oggetto di mutamento di destinazione d’uso da civile a commerciale, incidendo tale destinazione sulla attitudine del bene a procurare quella utilità che da esso intendeva trarne la promissaria acquirente (arg. da Cass. Sez. 2, 11/04/2017, n. 9314; Cass. Sez. 2, 20/03/2006, n. 6166). La modificazione della destinazione d’uso degli immobili, che non determini modifiche strutturali e sia accompagnata dalla realizzazione di interventi edilizi soltanto interni, in virtù della L. n. 47 del 1985, artt. 8,25 e 26, (nella specie applicabili, ratione temporis, ora D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 23 ter), ovvero il mutamento della forma di utilizzo dell’immobile rispetto a quella originaria, tale da comportare l’assegnazione dello stesso ad una diversa categoria funzionale (nella specie, da residenziale a commerciale), è sottoposta a regime autorizzatorio e non concessorio, di tal che, in presenza di domanda di esecuzione specifica di un contratto preliminare di compravendita di un immobile, che il promittente venditore abbia garantito essere destinato ad uso commerciale, il giudice può rendere la pronuncia di cui all’art. 2932 c.c. allorchè risulti, come accertato nel caso in esame, che la denunzia del cambio di destinazione per il bene promesso in vendita sia stata accolta in un termine antecedente a quello di scadenza per la stipula del contratto definitivo (arg. da Cass. Sez. 2, 22/11/2004, n. 22041), senza che possa rilevare in senso contrario la presenza di difformità urbanistiche da sanare sulla residua porzione del complesso immobiliare rimasta in proprietà ai promittenti alienanti. Nè in tale evenienza (in cui, come detto, i promittenti venditori risultavano in grado di adempiere, al momento pattuito per la stipula del definitivo, all’obbligo di trasferire l’immobile esente da vizi che lo rendessero inidoneo all’uso o ne diminuissero in modo apprezzabile il valore) può dirsi fondata la domanda di riduzione del prezzo, esperita contestualmente all’azione di cui all’art. 2932 c.c., allorchè il promissario acquirente non abbia dato prova, come ha accertato in fatto la Corte d’Appello, di aver subito danni per presunti vizi del bene, e cioè di aver sostenuto spese necessarie per l’eliminazione dei difetti lamentati in domanda (che, per come esposto in ricorso, erano unicamente quelli correlati alla pregressa destinazione a deposito ed alla presenza della tettoia abusiva), ovvero danni inerenti alla mancata o parziale utilizzazione dell’immobile. La prova dei danni subiti dalla promissaria acquirente, dedotti nel quinto motivo, peraltro in correlazione a difetti dell’immobile (per infiltrazioni d’acqua dal tetto e conseguenti lavori svolti negli anni 2003 e 2004) diversi da quelli che sono stati esposti come causa petendi posta a base delle originarie domande, sintetizzate a pagina 2, 3 e 4 di ricorso, neppure potrebbe evidentemente trarsi da una perizia giurata (quella del geometra M.), la quale non è dotata di efficacia probatoria nemmeno rispetto ai fatti che il consulente asserisce di aver accertato. Non essendo prevista dall’ordinamento la precostituzione fuori del giudizio di un siffatto mezzo di prova, ad essa si può solo riconoscere valore di indizio, al pari di ogni documento proveniente da un terzo, il cui apprezzamento è affidato alla valutazione discrezionale del giudice di merito, ma della quale questi non è obbligato in nessun caso a tenere conto (Cass. Sez. 3, 22/04/2009, n. 9551). Così anche la consulenza tecnica di parte costituisce una semplice allegazione difensiva a contenuto tecnico, priva di autonomo valore probatorio (Cass. Sez. U, 03/06/2013, n. 13902). Nè la prova dei vizi di un immobile promesso in vendita, delle relative conseguenze dannose e del nesso causale fra gli uni e le altre (prova che fa certamente carico al compratore) può dirsi decisivamente raggiunta mediante la semplice produzione in giudizio di una denuncia di inizio attività di lavori edili di manutenzione straordinaria.

Il sesto ed il settimo motivo del ricorso principale sono infine infondati, in quanto la Corte d’Appello, avendo riconosciuto dovuti dalla promissaria acquirente gli interessi legali dalla data del 31 gennaio 2001, pur ritenendo la sospensione dei pagamenti giustificata dal comportamento dei promittenti alienanti F., si è uniformata all’orientamento giurisprudenziale, che va qui ribadito, secondo cui, in tema di contratto preliminare di compravendita, il promittente venditore ha diritto agli interessi compensativi ex art. 1499 c.c. sul saldo del prezzo per il periodo successivo alla data prevista per la stipulazione del contratto definitivo, ancorchè il promissario acquirente abbia ritardato il pagamento del saldo per causa a lui non imputabile o avvalendosi dell’eccezione d’inadempimento (Cass. Sez. 2, 23/03/1991, n. 3184; Cass. 6 – 2, 14/05/2018, n. 11605).

2. L’unico motivo del ricorso incidentale di F.A. ed F.E. deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1453 e 1455 c.c., in quanto la Corte d’Appello avrebbe erroneamente escluso la gravità dell’inadempimento della società promissaria acquirente per il mancato pagamento del restante prezzo di Lire 325.000.000, dovuto al 31 dicembre 2000, a nulla rilevando che fino ad aprile 2000 non fosse stata ancora ottenuta la promessa destinazione commerciale del bene.

2.1. Anche il motivo di ricorso incidentale è infondato.

Nel caso di contrapposte domande di esecuzione in forma specifica di un contratto preliminare e di risoluzione di detto contratto per inadempimento, il giudice del merito deve procedere, invero, ad una valutazione comparativa ed unitaria degli inadempimenti che le parti si sono addebitati al fine di stabilire se sussista l’inadempimento che legittima la risoluzione, e il relativo accertamento è insindacabile in cassazione, se la motivazione risulta immune da vizi logici o giuridici (così Cass. Sez. 2, 29/07/2004, n. 14378).

Nella specie, la Corte di Napoli ha affermato che non fosse ravvisabile un inadempimento di non scarsa importanza della Colorfer s.a.s., avendo la promissaria acquirente inizialmente versato acconti per Lire 225.000.000 (pari a circa la metà dell’intero prezzo di Lire 550.000.000 convenuto nel preliminare del 30 gennaio 1998) ed apparendo non significativo il mancato pagamento delle restanti rate di prezzo, valutato comparatamente al comportamento dei promittenti venditori, i quali soltanto nell’aprile del 2000 avevano ottenuto il mutamento di destinazione promesso alla compratrice. Tale ragionamento dei giudici di appello non va inteso, come propongono i ricorrenti incidentali, nel senso che il mancato pagamento del saldo del prezzo al 31 gennaio 2001 ad opera della Colorfer s.a.s. sia stato ritenuto giustificato, sebbene i promittenti venditori avessero adempiuto già nell’aprile 2000 all’obbligo di rendere l’immobile da trasferire inidoneo all’uso pattuito. Piuttosto, la Corte d’Appello ha escluso l’importanza dell’inadempimento della Colorfer s.a.s., agli effetti dell’art. 1455 c.c., sia perchè si trattava di versare un saldo quasi pari al cospicuo acconto già puntualmente corrisposto, sia perchè l’inadempimento della promissaria compratrice doveva valutarsi comparativamente col precedente comportamento delle controparti, avendo riguardo anche all’elemento cronologico delle rispettive inadempienze, come ai rapporti di causalità e di proporzionalità delle stesse.

Si tratta, quindi, di una valutazione della gravità dell’inadempimento della Colorfer s.a.s., che la Corte di Napoli ha operato prendendo le mosse dall’esame dei fatti e delle prove inerenti al processo, valutazione che è rimessa al giudice del merito ed è, in quanto tale, incensurabile in cassazione (Cass. Sez. 2, 07/06/2011, n. 12296).

3. Consegue il rigetto sia del ricorso principale della Colorfer s.r.l. (poi Pama Immobiliare s.r.l.) che del ricorso incidentale di F.A. ed F.E..

La soccombenza reciproca giustifica la compensazione delle spese del giudizio di cassazione tra le parti.

Sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto il comma 1-quater al testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, – dell’obbligo di versamento, da parte sia della ricorrente principale che dei ricorrenti incidentali, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per le rispettive impugnazioni integralmente rigettate.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale della Colorfer s.r.l. (poi Pama Immobiliare s.r.l.), rigetta il ricorso incidentale di F.A. ed F.E. e compensa tra le parti le spese rispettivamente sostenute nel giudizio di cassazione.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dichiara che sussistono i presupposti per il versamento, da parte sia della ricorrente principale che dei ricorrenti incidentali, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per i rispettivi ricorsi, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione seconda civile della Corte Suprema di Cassazione, il 13 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 23 novembre 2018

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