Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30467 del 23/11/2018

Cassazione civile sez. II, 23/11/2018, (ud. 12/09/2018, dep. 23/11/2018), n.30467

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CORRENTI Vincenzo – Presidente –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8747/2015 proposto da:

F.G., e N.A.M., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA GREGORIO XI n. 13, presso lo studio dell’avvocato BIANCA

MARIA PETTI, che li rappresenta e difende;

– ricorrenti –

contro

CONSORZIO DI TOR CARBONE, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GAETANO DONIZETTI n.

7, presso lo studio dell’avvocato PASQUALE FRISINA, che lo

rappresenta e difende;

– resistente –

e contro

COMUNE DI ROMA, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA DEL TEMPIO DI GIOVE n. 21 presso

l’Avvocatura del Comune, rappresentato e difeso dell’avvocato PIER

LUDOVICO PATRIARCA;

– controricorrente e ricorrente incidentali –

avverso la sentenza n. 866/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 10/02/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

12/09/2018 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con atto di citazione notificato il 29.12.1999 F.G. e N.A.M. convenivano in giudizio innanzi il Tribunale di Roma il Consorzio Tor Carbone ed il Comune di Roma esponendo che con ordinanza sindacale n. 246 del 23.9.1997 il comune aveva loro intimato il rilascio di un terreno con sovrastante casale sito in (OMISSIS); che in data 16.11.1998 l’ente locale aveva eseguito forzosamente lo sgombero; che gli attori avevano proposto domanda di reintegrazione nel possesso, accolta dal Tribunale con ordinanza del 24.6.1999; che detta ordinanza era stata eseguita dal comune soltanto il 26.11.1999; che nelle more l’ente locale aveva consegnato l’area al consorzio, il quale aveva parzialmente demolito il fabbricato preesistente per realizzare un edificio scolastico. Su tali premesse, gli attori invocavano la determinazione delle somme occorrenti per riportare il bene in pristino stato, la demolizione delle opere realizzate dal consorzio nell’area occupata e il risarcimento del danno derivante dall’illegittima estromissione dal possesso del casale e dalla perdita del godimento del bene per il periodo in cui esso era stato occupato dal consorzio.

Si costituivano i convenuti contestando la domanda ed eccependo la legittimità della procedura seguita per il rilascio del bene e la sua successiva consegna al consorzio.

Il giudizio veniva sospeso attesa la pregiudizialità dell’accertamento sulla proprietà del bene immobile di cui è causa, circa la quale si controverteva nel precedente giudizio possessorio introdotto dagli odierni ricorrenti, che in quella sede avevano spiegato domanda riconvenzionale per la declaratoria dell’usucapione.

Dopo la pubblicazione della sentenza n. 716/2002, con la quale il Tribunale di Roma, decidendo il giudizio predetto, aveva rigettato la riconvenzionale (sentenza non impugnata e passata in giudicato il 26.2.2003) la causa veniva riassunta e definita con sentenza n. 9734/2008, con la quale il Tribunale rigettava la domanda attorea compensando le spese. Ad avviso del primo giudice, la pretesa risarcitoria degli odierni ricorrenti era da ritenere per un verso prescritta per decorso del termine annuale dal lamentato spoglio, nel caso in cui la si volesse configurare come connessa alla tutela possessoria; e per altro verso preclusa dalla sentenza n. 716/2002, che aveva escluso la sussistenza del diritto di proprietà in capo ai predetti ricorrenti, ove invece la si volesse ritenere connessa alla tutela del diritto reale.

Avverso detta decisione interponevano appello F.G. e N.A.M. censurando in primo luogo l’applicazione del termine di cui all’art. 1168 c.c., all’azione da loro svolta, sul presupposto che essa avesse natura risarcitoria in relazione al danno derivante dallo spoglio, e che come tale fosse soggetta al termine di prescrizione quinquennale previsto dall’art. 2947 c.c. e lamentando inoltre un’omessa pronuncia sulla domanda da loro proposta in prime cure. Gli appellanti invocavano quindi la condanna degli appellati al risarcimento del danno conseguente all’ingiusto allontanamento dal bene di cui è causa.

Si costituiva il consorzio, eccependo l’intervenuta estinzione del giudizio per mancata riassunzione nel termine previsto dalla legge e la novità della domanda di condanna al risarcimento del danno, posto che in prime cure gli odierni ricorrenti avevano proposto soltanto azione di accertamento del danno subito per effetto del lamentato spoglio. Il comune eccepiva a sua volta la novità della domanda risarcitoria.

Con la sentenza impugnata n. 866/2014 la Corte di Appello di Roma respingeva l’eccezione di estinzione del giudizio; riteneva la domanda di condanna al risarcimento del danno nuova rispetto a quella proposta in prime cure, ma tuttavia ammissibile in quanto costituente semplice ampliamento dell’iniziale richiesta proposta dagli odierni ricorrenti; respingeva però il gravame poichè nella fattispecie non era stato giudizialmente accertato lo spoglio, onde gli appellanti non potevano invocare in loro favore il termine quinquennale di prescrizione di cui all’art. 2947 c.c..

Propongono ricorso per la cassazione di tale decisione F.G. e N.A.M.R. affidandosi a un unico motivo. Resiste con controricorso il Comune di Roma, spiegando a sua volta ricorso incidentale con un motivo. Il Consorzio Tor Carbone si è costituito ai soli fini della partecipazione all’udienza e alla relativa discussione. I ricorrenti e il controricorrente hanno depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo, i ricorrenti principali lamentano la violazione e falsa applicazione dell’art. 2043 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, perchè la Corte di Appello avrebbe erroneamente escluso la tutela risarcitoria in favore del detentore qualificato. Ad avviso dei ricorrenti, la Corte territoriale non avrebbe tenuto conto della loro condizione di possessori – da oltre trent’anni – dell’immobile di cui è causa; del fatto che essi avevano rivendicato la proprietà del bene proponendo azione di accertamento della sua avvenuta usucapione nel giudizio poi definito dal Tribunale di Roma con la sentenza n. 716/2002; che detta decisione era stata emessa sulla base di una serie di atti apparentemente attestanti la proprietà del terreno oggetto del contenzioso in capo al Comune di Roma sulla base di una convenzione conclusa il 17.1.1994 tra l’ente locale e la società Costruzioni Immobiliari Srl, che a sua volta aveva acquistato il bene dalla S.G.I. Sogene Casa; che tuttavia la sentenza del Tribunale di Roma n. 1252/90 aveva accertato l’assenza della proprietà dell’immobile in capo alla S.G.I. Sogene Casa, con la conseguenza che il comune mai ne aveva legittimamente acquisito la proprietà.

Di conseguenza, l’ordinanza sindacale di sgombero avrebbe dovuto essere ritenuta illegittima e, posto che nel giudizio possessorio definito con la già citata sentenza n. 716/2002 l’usucapione del cespite in capo al F. era stata respinta sul presupposto che questi, pur avendo posseduto dal 1963, era tuttavia divenuto maggiorenne il 1.9.1967 e da quella data non aveva maturato il ventennio prima dell’introduzione della controversia, la Corte territoriale avrebbe dovuto ravvisare una relazione di fatto ultratrentennale tra i ricorrenti e la cosa controversa, suscettibile di tutela anche sotto il profilo risarcitorio. Ad avviso dei ricorrenti infatti, la domanda risarcitoria conseguente ad un fatto di spoglio può essere proposta anche separatamente dall’azione di reintegrazione nel possesso.

La doglianza è inammissibile per difetto di specificità, posto che i ricorrenti richiamano una serie di atti e documenti (la sentenza del Tribunale di Roma n. 716/2002, la convenzione conclusa il 17.1.1994 tra il Comune di Roma e la società Costruzioni Immobiliari SrI, l’atto di acquisto – di estremi ignoti – che sarebbe intervenuto tra detta società e la S.G.I. Sogene Casa e la sentenza del Tribunale di Roma n. 1252/90, che avrebbe accertato l’assenza della proprietà dell’immobile in capo alla S.G.I. Sogene Casa) che non vengono riprodotti, neanche per stralcio, nel corpo del motivo.

In proposito, va ribadito che “In tema di ricorso per cassazione, il soddisfacimento del requisito di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, postula che nel detto ricorso sia specificatamente indicato l’atto su cui esso si fonda, precisandosi al riguardo che incombe sul ricorrente l’onere di indicare nel ricorso non solo il contenuto di tale atto, trascrivendolo o riassumendolo, ma anche in quale sede processuale lo stesso risulta prodotto. L’inammissibilità prevista dalla richiamata norma, in caso di violazione di tale duplice onere, non può ritenersi superabile qualora le predette indicazioni siano contenute in altri atti, posto che la previsione di tale sanzione esclude che possa utilizzarsi il principio, applicabile alla sanzione della nullità, del cosiddetto raggiungimento dello scopo, sicchè solo il ricorso può assolvere alla funzione prevista dalla suddetta norma ed il suo contenuto necessario è preordinato a tutelare la garanzia dello svolgimento della difesa dell’intimato, che proprio con il ricorso è posto in condizione di sapere cosa e dove è stato prodotto in sede di legittimità” (Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 15628 del 03/07/2009, Rv. 609583; conformi, Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 29279 del 12/12/2008, Rv. 606218; Cass. Sez. U, Sentenza n. 23019 del 31/10/2007, Rv. 600075; Cass. Sez. 5, Sentenza n. 26174 del 12/12/2014, Rv. 633667; Cass. Sez. 6-3, Sentenza n. 19048 del 28/09/2016, Rv. 642130; Cass. Sez. 6-3, Ordinanza n. 19985 del 10/08/2017, Rv. 645357).

Peraltro, va evidenziato che l’interpretazione fornita in concreto dalla Corte territoriale è pienamente condivisibile e conforme ai precedenti di questa Corte, secondo i quali il cd. interdetto possessorio, analogamente ai provvedimenti cautelari, costituisce una pronuncia provvisoria destinata ad essere assorbita dalla decisione sul merito della tutela possessoria richiesta (principio desumibile implicitamente da Cass. Sez. U, Ordinanza n. 5055 del 11/03/2004, Rv. 571042 e da Cass. Sez. U, Ordinanza n. 2062 del 11/02/2003, Rv. 560403, secondo le quali l’esperibilità del regolamento preventivo di giurisdizione non è preclusa dalla pronuncia, da parte del giudice adito in esito alla fase sommaria del giudizio possessorio, del provvedimento interdittale di reintegrazione nel possesso, attesa la sua inidoneità ad esaurire la decisione della controversia).

Di conseguenza non può ritenersi accertata la condizione di possesso a seguito della concessione di interdetto che sia poi stato superato e posto nel nulla dalla decisione di merito che abbia escluso la tutelabilità della relazione di fatto con la cosa controversa. In tale eventualità, invero, manca la prova dell’an del pregiudizio di cui si invoca il risarcimento, costituito per l’appunto dalla relazione di possesso tra il richiedente ed il bene oggetto dello spoglio.

Nel caso di specie, la Corte territoriale ha correttamente rilevato che la domanda di reintegrazione nel possesso proposta dagli odierni ricorrenti nel giudizio definito con la più volte richiamata sentenza n. 716/2002 era stata rigettata; di conseguenza, non sussisteva il presupposto logico-giuridico per la configurazione di una tutela risarcitoria conseguente allo spoglio.

Non potendosi quindi configurare, in concreto, un danno risarcibile, non si pone neppure la questione della decorrenza del termine di prescrizione della relativa azione.

Con l’unico motivo di ricorso incidentale, il Comune di Roma lamenta la violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, perchè la Corte di Appello avrebbe erroneamente confermato la compensazione delle spese già disposta dal primo giudice, in assenza del requisito della soccombenza reciproca.

La doglianza va rigettata in quanto la regolamentazione delle spese di lite in concreto adottata dal giudice del gravame non viola il divieto di accollo delle stesse a carico della parte vittoriosa (Cass. Sez. 6-3, Ordinanza n. 24502 del 17/07/2017, Rv. 646335). Peraltro, fermo il limite di cui anzidetto, anche alla luce della recente sentenza della Corte Costituzionale n. 77 del 19.4.2018 – con la quale è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 92 c.p.c., comma 2, nel testo modificato del D.L. 12 settembre 2014, n. 132, art. 13, comma 1 (Misure urgenti di degiurisdizionalizzazione ed altri interventi per la definizione dell’arretrato in materia di processo civile), convertito con modificazioni nella L. 10 novembre 2014, n. 162, nella parte in cui non prevede che il giudice possa compensare le spese tra le parti, parzialmente o per intero, anche qualora sussistano altre analoghe gravi ed eccezionali ragioni- il giudice di merito può sempre disporre la compensazione delle spese per giusti motivi.

In definitiva, il ricorso principale va dichiarato inammissibile mentre quello incidentale va respinto.

Le spese del presente giudizio di Cassazione sono interamente compensate tra le parti in ragione della reciproca soccombenza.

Poichè il ricorso per cassazione è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è dichiarato inammissibile – quanto al principale – e rigettato – quanto all’incidentale, sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, che ha aggiunto del Testo Unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, il comma 1-quater, della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente principale e di quello incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

la Corte dichiara inammissibile il ricorso principale e rigetta quello incidentale, compensando per intero le spese del presente giudizio di Cassazione.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente principale e di quello incidentale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 12 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 23 novembre 2018

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