Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30463 del 28/10/2021

Cassazione civile sez. lav., 28/10/2021, (ud. 16/06/2021, dep. 28/10/2021), n.30463

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – rel. Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4101/2020 proposto da:

S.A.T., domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR, presso LA

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato MARIO DI FRENNA;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, Commissione Territoriale per il

Riconoscimento della Protezione Internazionale di Bologna, in

persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso

dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia

ex lege in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI n. 12;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 2256/2019 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 01/08/2019 R.G.N. 2259/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

16/06/2021 dal Consigliere Dott. ADRIANO PIERGIOVANNI PATTI.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. con sentenza 1 agosto 2019, la Corte d’appello di Bologna rigettava il gravame di S.A.T., cittadino senegalese, avverso l’ordinanza di primo grado, di reiezione delle sue domande di protezione internazionale e umanitaria;

2. essa negava, come già il Tribunale, la credibilità del richiedente, che aveva riferito di aver abbandonato nel gennaio 2012 il villaggio natio di (OMISSIS), nella regione di Casamance (in Senegal) per sfuggire alle minacce dei creditori, già fornitori di pesce del padre (che aveva un’attività di commercio ittico ed era morto a causa loro nel 2006) e ai ribelli che depredavano continuamente la gente del villaggio, lasciando ivi la madre (che poi avrebbe venduto la casa per ripianare una parte dei debiti del marito); di avere attraversato Mali, Burkina Fasu e Libia (ivi giungendo nel 2013 e avere lavorato gratis, dopo essere stato arrestato, per un datore di lavoro che l’aveva liberato dal carcere e, dopo averlo sfruttato, costretto ad imbarcarsi; finalmente arrivando in Italia il (OMISSIS);

3. la Corte felsinea riteneva non genuine né spontanee le dichiarazioni del richiedente, per la contraddittorietà delle versioni rese in sede amministrativa e giudiziale, così escludendo, in assenza dei requisiti relativi, la riconoscibilità dello status di rifugiato, di protezione sussidiaria, neppure egli correndo il pericolo di esposizione a grave danno per violenza indiscriminata generalizzata a causa di un conflitto armato, per la minore intensità, non attingente detta soglia, del conflitto nella regione meridionale del Caramance, di sua provenienza;

4. essa reputava, infine, che il richiedente nemmeno versasse in condizione di vulnerabilità, né che la documentazione del suo percorso lavorativo prodotta comprovasse una concreta integrazione sociale in Italia, dovendo questa essere intesa come “non tanto una situazione di meritevolezza del richiedente in Italia ma un pericolo di lesione dei suoi diritti fondamentali in caso di rientro nel Paese di origine”;

5. con atto notificato il 7 gennaio 2020, lo straniero ricorreva per cassazione con unico motivo; il Ministero dell’Interno intimato non resisteva con controricorso, ma depositava atto di costituzione ai fini della eventuale partecipazione all’udienza di discussione ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1, ult. alinea, cui non faceva seguito alcuna attività difensiva.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3, 8, 14, D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e “mancata presa di posizione in relazione ad elemento essenziale”, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, per avere la Corte territoriale erroneamente negato la credibilità del richiedente per l’omissione, nell’audizione davanti alla Commissione Territoriale, di importanti dettagli della propria infanzia (“infanzia da talibe’ costretto a mendicare dal maraboun e di un’aggressione subita da ribelli del Casamance che lo avevano preso di mira e minacciato per debiti del padre: circostanze invece riportate in una memoria in sede di audizione amministrativa, con il conseguente venir meno “automaticamente” del “difetto di credibilità opposto dai giudici di merito” e comportante la riconoscibilità delle misure richieste in gradato ordine subordinato, con illustrazione di un “breve excursus giurisprudenziale” (di merito) per “chiarire meglio la situazione del Senegal e della instabilità di tale Paese” (unico motivo);

2. esso è inammissibile;

3. il motivo è assolutamente generico, posto che con esso il ricorrente prospetta una valutazione diversa della vicenda, senza un confronto né puntuale, né documentato (per l’irrilevanza a tali fini dei richiami giurisprudenziali) con la sentenza impugnata: sicché, in difetto della confutazione detta, il motivo viola la prescrizione, a pena di inammissibilità, di specificità dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, che ne esige l’illustrazione, con esposizione degli argomenti invocati a sostegno della decisione assunta con la sentenza impugnata e l’analitica precisazione delle considerazioni che, in relazione al motivo come espressamente indicato nella rubrica, giustificano la cassazione della sentenza (Cass. 3 luglio 2008, n. 18202; Cass. 19 agosto 2009, n. 18421; Cass. 22 settembre 2014, n. 19959; Cass. 26 settembre 2016, n. 18860; Cass. 9 ottobre 2019, n. 25354; Cass. 18 novembre 2020, n. 26726);

4. pertanto il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, senza assunzione di un provvedimento sulle spese del giudizio, non avendo il Ministero vittorioso svolto difese e raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali (conformemente alle indicazioni di Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535).

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; nulla sulle spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 16 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 28 ottobre 2021

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