Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30461 del 23/11/2018

Cassazione civile sez. II, 23/11/2018, (ud. 12/09/2018, dep. 23/11/2018), n.30461

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CORRENTI Vincenzo – Presidente –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – rel. Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3248/2015 proposto da:

F.A., domiciliata ex lege in Roma, p.zza Cavour presso la

Cancelleria della Corte di cassazione e rappresentata e difesa

dall’avvocata Margherita De Luca;

– ricorrente –

contro

Azienda Ospedaliera Ospedali Riuniti (OMISSIS), elettivamente

domiciliato in Roma, Via Scandriglia N. 7, presso lo studio

dell’avvocato Maria Pia Buccarelli, rappresentato e difeso

dall’avvocato Benedetto Farsaci;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 785/2013 della Corte d’appello di Messina,

depositata il 26/11/2013;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

12/09/2018 dal Consigliere Dott. Annamaria Casadonte.

Fatto

RILEVATO

che:

– il presente giudizio trae origine dalla domanda proposta da F.A. e S.C. nel 1994 avanti al Tribunale di Messina al fine di ottenere la dichiarazione giudiziale di acquisto della proprietà per intervenuta usucapione del terreno con annesso fabbricato rurale intestato all’Ente Ospedaliero Regionale (OMISSIS) (d’ora in poi Azienda Ospedaliera) sito nel Comune di (OMISSIS);

– il tribunale adito respingeva la domanda e avverso la sentenza sfavorevole veniva proposto appello dalla F.;

-la Corte d’appello di Messina confermava la sentenza appellata sottolineando come non vi fosse dubbio che i danti causa dell’appellante avevano inizialmente detenuto e non posseduto il fondo in forza di un rapporto di natura agraria, con la conseguenza che l’attrice appellante avrebbe dovuto porre in essere un atto di opposizione contro il proprietario e possessore avv. G., ai sensi dell’art. 1141 c.c., così esternando il mutamento dell’animus ed il passaggio dalla detenzione al possesso;

– concludeva la Corte d’appello che, in difetto della prova dell’interversione della detenzione in possesso, doveva essere confermato il rigetto della domanda attorea;

– inoltre, il collegio d’appello osservava come le risultanze della prova testimoniale escussa attestassero un potere di fatto ma non pure un potere animo domini;

– la cassazione della sentenza d’appello n. 785 depositata il 26/11/2013 è stata chiesta da F.A. con ricorso ritualmente notificato l’8/01/2015 ed articolato sulla base di quattro motivi oltre all’istanza di sospensione dell’esecutività della sentenza impugnata;

– resiste la parte intimata Azienda Ospedaliera depositando altresì controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– preliminarmente va esaminata l’istanza di sospensione dell’esecuzione della sentenza impugnata e che è inammissibile ai sensi dell’art. 373 c.p.c., potendo la stessa essere formulata al giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata e non alla Corte destinataria del ricorso per cassazione;

– con il primo motivo parte ricorrente deduce la violazione o falsa applicazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, dell’art. 2158 c.c., commi 2, 3, 4, come richiamato dall’art. 2168 c.c., per non avere la sentenza impugnata ritenuto che il contratto di colonia parziaria si era sciolto a seguito della morte del colono S.P., con la conseguenza che la signora F. aveva esercitato animo domini, comportandosi quale proprietaria, il possesso continuo, ininterrotto ed indisturbato del fondo per un tempo utile ai fini della sua usucapione;

– il motivo è infondato perchè nella sostanza non censura l’applicazione dell’art. 2158 c.c., come richiamato dall’art. 2168 c.c., alla fattispecie concretamente ricostruita dal giudice con riguardo a quanto accaduto al contratto di colonia parziaria a seguito della morte del colono, quanto, piuttosto, la conclusione del giudice d’appello, secondo il quale anche per effetto del testamento di S.P., nel contratto erano subentrati Sa.Ca. e S.A., danti causa della F., proseguendo, quindi, la detenzione;

– poichè si tratta del giudizio di fatto, argomentativamente formulato sulla base delle risultanze istruttorie acquisite su istanza di parte, la censura appare infondata;

– con il secondo motivo si denuncia la violazione o falsa applicazione degli artt. 1141 e 1164 c.c., per avere la corte d’appello ritenuto che la ricorrente esercitasse sul fondo e sull’annesso fabbricato il potere come detenzione e non, invece, animo domini per il tempo necessario ad usucapirlo;

– il motivo è infondato poichè il principio di diritto applicato dal giudice di appello circa la necessità di un atto di interversione del possesso appare conforme all’interpretazione consolidata (Cass. 7271/2003; Cass. 17376/2018) richiedendo l’estrinsecazione esteriore della volontà di esercitare il potere di fatto animo domini;

– con il terzo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione della L. n. 203 del 1982, artt. 34 e 48 e D.Lgs. n. 502 del 1992, laddove la sentenza impugnata aveva ritenuto di evincere l’ulteriore conferma della detenzione dalla richiesta del Comune di Fiumedinisi rivolta al S.C. affinchè liberasse l’immobile oggetto del rapporto agrario;

– il motivo è infondato perchè anche in questo caso non si censura l’applicazione delle disposizioni richiamate alla fattispecie concreta, ma la valutazione della qualità di detentore di S.C. quale avente causa nel rapporto agrario e non possessore ad usucapionem; una simile censura esula dal controllo di legittimità se non proposto nei limiti ora consentiti della motivazione (Cass. 20721/2018);

dasnte cauisa natura di detenzione e non aè merito;

– con il quarto motivo si denuncia la violazione o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione alla ritenuta prova del possesso esercitato dai proprietari del fondo e della corrispondente detenzione da parte dei coloni e mezzadri ai quali venivano pagati dal primo i contributi agricoli unificati relativi agli anni 1978/1979;

– il motivo è, come eccepito da parte contro ricorrente, inammissibile perchè volto esclusivamente a sollecitare una diversa valutazione del circostanza di fatto, versamento dei contributi da parte del proprietari, su cui si appunta la censura;

– atteso l’esito del giudizio ed in applicazione della soccombenza parte ricorrente va condannata alla rifusione delle spese di lite a favore di parte controricorrente nella misura liquidata in dispositivo;

– ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente alla rifusione delle spese di lite a favore di parte controricorrente che liquida in Euro 3200,00 di cui Euro 200,00 per spese, oltre 15% per rimborso spese generali ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 12 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 23 novembre 2018

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