Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30460 del 23/11/2018

Cassazione civile sez. II, 23/11/2018, (ud. 12/09/2018, dep. 23/11/2018), n.30460

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CORRENTI Vincenzo – Presidente –

Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26646/2014 proposto da:

IMMOBILIARE EMMEGI DI b.n. E C SAS IN LIQUIDAZIONE, in

persona del Liquidatore pro tempore, b.n.,

b.e., elettivamente domiciliati in ROMA, V. VETURIA 45, presso lo

studio dell’avvocato ROBERTO IMPERIALI, rappresentati e difesi

dall’avvocato MARIO NAVA;

– ricorrenti –

contro

G.G., G.R.A., D.I.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA NOMENTANA 257, presso lo

studio dell’avvocato ANDREA CIANNAVEI, rappresentati e difesi

dall’avvocato DANILO BUONGIORNO;

B.T., P.L., elettivamente domiciliati in ROMA,

VIA RENATO FUCINI 238, presso lo studio degli avvocati FABIO CUTULI

e GUIDO CUTILI, rappresentati e difesi unitamente all’avvocato

FRANCESCO CAVALLARO;

– controricorrenti –

e contro

M.P., DA.TI., BE.GI., m.a.,

C.P., S.S.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 2664/2014 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 09/07/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

12/09/2018 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE GRASSO.

Fatto

FATTO E DIRITTO

ritenuto che, accolte in primo grado plurime e articolate domande proposte da numerosi proprietari di unità immobiliari (actio negatoria servitutis, regolamento e risarcimento danni) nei confronti della società che aveva edificato il plesso, Emmegi in liquidazione, nonchè di altri soggetti, acquirenti e danti causa degli attori, giudicando sull’appello proposto con atti separati da M.P. e Da.Ti., nonchè dalla Immobiliare Emmegi, la Corte locale dichiarò entrambe le impugnazioni inammissibili per tardività, sulla scorta di quanto appresso:

– la sentenza di primo grado era stata notificata a mezzo servizio postale il 23/7/2013;

– entrambe le impugnazioni erano state consegnate all’ufficiale giudiziario per la notifica l’8/10/2013;

– i trenta giorni, tenuto conto della sospensione feriale, di cui all’art. 325 c.p.c., erano scaduti il 7/10/2013;

ritenuto che avverso la statuizione d’appello ricorrono la Immobiliare Emmegi s.a.s. di b.n. & C. in liquidazione e, personalmente, il socio accomandatario b.n. e quello accomandante b.e., prospettando sette motivi di censura, ulteriormente illustrati da memoria;

che resistono con separati controricorsi: a) P.L. e B.T.; b) D.I., G.G. e G.R.A.;

che i secondi controricorrenti hanno depositato memoria;

che i primi controricorrenti hanno chiesto emettersi condanna per lite temeraria, ai sensi dell’art. 96 c.p.c., nei confronti dei ricorrenti;

ritenuto che con il primo motivo viene denunziata la violazione dell’art. 325 c.p.c. e L. n. 890 del 1982, art. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, assumendosi che:

– la Corte d’appello aveva travisato le risultanze documentali: “dall’esame della busta con cui sarebbe stata notificata la sentenza emerge chiaramente la data 24 luglio 2013 e non quella del 23 luglio 2013 (…) la data del timbro postale ivi riportato è quella del 24 luglio 2013, ravvisandosi la tipica astina obliqua del numero 4 e quindi sussiste la corretta indicazione della ricezione”;

– inoltre, “la data di ricevimento deve essere apposta dal portalettere in presenza del destinatario e pertanto se fosse stata veritiera avrebbe dovuto essere scritta a penna visto che il postino non porta con sè il timbro datario, nè comune nè postale”; quindi, la data che “figura sull’avviso può essere stata apposta da chiunque” e se la data “apposta sulla cartolina è incerta, non se ne può tenere conto e si dovrà considerare quella di restituzione al mittente”, data di ritorno che non constava;

– la data effettiva di consegna risultava dai tracciati informatici postali e a questi la Corte locale non aveva dato rilievo, mal interpretando la giurisprudenza di legittimità, la quale li aveva valutati irrilevanti al solo fine della prova della notifica (vengono riprese le sentenze seguenti: Sez. 6, n. 19387, 8/11/2012, Rv. 624180; Sez. 6, n. 25285, 28/11/2014, Rv. 633254);

considerato che il motivo sopra riportato non supera il vaglio d’ammissibilità, in quanto:

a) sottopone all’esame di legittimità quello che, se fosse fondato, sarebbe un tipico vizio revocatorio (i Giudici dell’appello avevano letto male la data dell’apposto timbro postale), il cui vaglio impone il riesame del merito, certamente estraneo al giudizio di legittimità e, peraltro, riservato a quello revocatorio, difatti, come più volte chiarito da questa Corte, qualora una parte assuma che la sentenza di secondo grado, impugnata con ricorso ordinario per cassazione, è l’effetto di un errore di fatto risultante dagli atti del giudizio di merito, il ricorso è inammissibile, essendo denunziato – al di là della qualificazione come “violazione di legge” – un tipico vizio revocatorio, che può essere fatto valere, sussistendone i presupposti, solo con lo specifico strumento della revocazione, disciplinato dall’art. 395 c.p.c.; nè l’impugnabilità in cassazione dell’eventuale sentenza pronunciata nel giudizio di revocazione (art. 403 c.p.c., comma 2) può essere idonea a trasformare un errore revocatorio in errore di diritto (Sez. 3, n. 10066, 27/4/2010, Rv. 612631; conf., ex multis, Sez. 6, n. 7941/2015);

b) si limita a congetturare ipotesi di falsità di atti dotatati di forza di attendibilità fino a querela di falso;

c) contrappone alla verifica ex actis della Corte d’appello pretesi tracciati informatici postali privi di fede privilegiata;

ritenuto che con il secondo motivo viene dedotta errata applicazione dell’art. 325, invece che dell’art. 327 c.p.c., sulla base di quanto appresso:

– secondo i ricorrenti il termine breve era decorso solo per la società e non per i soci di essa, con la conseguenza che costoro, in proprio, potevano appellare entro il termine lungo, non essendo pregiudicati dalla consumazione del termine breve, valevole solo per la società;

considerato che la doglianza è manifestamente destituita di giuridico fondamento:

a) il ragionamento impugnatorio appena esposto si colloca al di fuori della logica posta a base del processo civile, dovendosi escludere che uno o più soggetti che non siano stati parti in causa nel giudizio di primo grado possano vantare il diritto ad impugnare la sentenza, salvo che, ricorrendone i presupposti, con l’opposizione di terzo (artt. 404 c.p.c. e segg.);

b) non è dubbio che la s.a.s., pur godendo di autonomia patrimoniale cd. imperfetta, è soggetto diverso e autonomo rispetto ai soci, proprio in dipendenza di tale conclusione questa Corte ha affermato l’inammissibilità dell’appello proposto per una tale società dal solo socio accomandante (Sez. 3, n. 8058, 31/3/2007) e, per converso, privo di legittimazione il socio accomandatario chiamato in giudizio, non quale legale rappresentante della società, ma in proprio (Sez. L., n. 15612, 11/8/2004);

ritenuto che con il terzo motivo i ricorrenti allegano la violazione di non meglio specificate norme processuali e la mancata applicazione delle norme in tema di notifica in proprio effettuate dall’avvocato, richiamando la L. n. 53 del 1994, art. 3, comma 2 e art. 11, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, sostenendo che:

– la notifica della sentenza era affetta da nullità perchè effettuata senza il rispetto delle formalità previste dalla L. n. 53 del 1994, in particolare essendo state omesse le formalità di cui all’art. 3, comma 2, “consistenti nell’apporre sulla cartolina di ritorno le indicazioni attinenti alla causa, quali la parte assistita dal notificante dell’ufficio, giudizio presso cui è radicato il procedimento”;

considerato che la doglianza è radicalmente destituita di giuridico fondamento, siccome è dato cogliere dalla condivisa dalla ferma giurisprudenza di legittimità che ne nega il fondamento: pur ad ammettere che le lamentate omissioni sussistano e che esse siano fonte di nullità, l’atto, cioè la notificazione della sentenza, raggiunse il suo scopo, poichè la società, rappresentata dal socio liquidatore, ne ebbe piena conoscenza, tanto da aver proposto l’appello, attesa l’applicabilità anche alle notificazioni del consolidato principio di sanatoria delle nullità processuali per il raggiungimento dello scopo dell’atto (da ultimo, Sez. 2, n. 4935, 14/3/2016, Rv. 639355);

considerato che anche il quarto motivo, con il quale si prospetta violazione ed errata applicazione dell’art. 325 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, sul presupposto che i termini per impugnare dovrebbero decorrere, invece che dalla notifica della sentenza ricevuta dall’interessato, dall’ultima delle notifiche effettuata nei confronti di una delle altre parti in giudizio (nel caso viene richiamata la notifica effettuata all’avvocato Buongiorno, difensore delle parti G. e D.), è manifestamente privo di giuridica apprezzabilità, come peraltro, correttamente, evidenziato dalla Corte d’appello, non essendo dubitabile che il termine di cui all’art. 325 c.p.c., decorre per ciascuna delle parti dal momento in cui questa ha ricevuto la notifica della sentenza, essendo di palmare evidenza che il legislatore ha disegnato una pluralità di passaggi in giudicato, uno per ognuna delle parti, a seconda del momento di ricezione della notifica della sentenza, solo, in assenza di essa, il tempo del passaggio in giudicato si allinea all’unico criterio decadenziale di cui all’art. 327 c.p.c.;

considerato che il quinto motivo, con il quale i ricorrenti lamentano violazione della L. n. 890 del 1982, art. 7 e della L. n. 53 del 1994, art. 11, assumendo che:

– la Corte locale aveva omesso di prendere in esame le eccezioni attinenti alla tempestività dell’appello sollevate da altri appellanti ( Da. e M.), oggi non ricorrenti, i quali in comparsa conclusionale e in udienza avevano sostenuto la tempestività del loro appello, accogliendo le quali anche l’impugnazione dei ricorrenti avrebbe dovuto valutarsi ammissibile, per lo meno sotto forma di appello incidentale, ex art. 333 c.p.c., non supera del pari la soglia dell’ammissibilità, in quanto:

a) a tutto concedere, si tratterebbe di deduzione avanzata da altre parti;

b) e anche ove, per posturata astratta ipotesi, si volesse ritenere che gli odierni ricorrenti abbiano titolo per trarne un interesse (l’azzardata prospettata qualificazione in appello incidentale), la doglianza è totalmente aspecifica per difetto di autosufficienza, versando essa in evidente contrasto con l’art. 366 c.p.c., non essendo dato in questa sede conoscere le eccezioni eventualmente avanzate da soggetti che non sono qui in causa;

considerato che il sesto motivo, con il quale si denunzia violazione “di norme(non specificate) di cui alla L. n. 53 del 1994 e della L.n. 53 del 1994, art. 2”, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, così testualmente argomentando “con riferimento alla ritenuta tardività della notifica dell’atto d’appello da parte dei sigg. M. e Da., va rilevato che la notifica della sentenza all’allora difensore di questi, avv. Palmisano, è nulla per violazione della L. n. 53 del 1994 (…) Infatti, anche in questo caso è stato omesso sulla cartolina di ritorno ogni riferimento alla causa in corso, così come imposto dalla L. n. 53 del 1994, art. 3, comma 2”, non può che essere dichiarato inammissibile, valendo le considerazioni spese a riguardo del quinto motivo;

infine, sorte diversa non può essere riservata al settimo motivo, con il quale si allega violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360, n. 4, per essere stato omesso l’esame di tutti i motivi d’appello, essendo più che ovvio che l’appello non poteva essere esaminato dalla Corte d’appello, ostandovi la declaratoria l’inammissibilità dello stesso;

considerato che, nonostante l’inammissibilità del ricorso, la Corte non reputa sussistere le condizioni soggettive di cui dell’art. 96 c.p.c., comma 1: sfornita di prova l’ipotesi del dolo, anche quella della gravità della colpa non è rimasta integrata, tenuto conto del tenore, nel loro complesso, delle censure;

considerato che, di conseguenza, siccome affermato dalle S.U. (sent. n. 7155, 21/3/2017, Rv. 643549), lo scrutinio ex art. 360-bis c.p.c., n. 1, da svolgersi relativamente ad ogni singolo motivo e con riferimento al momento della decisione, impone, come si desume in modo univoco dalla lettera della legge, una declaratoria d’inammissibilità, che può rilevare ai fini dell’art. 334 c.p.c., comma 2, sebbene sia fondata, alla stregua dell’art. 348-bis c.p.c. e dell’art. 606 c.p.p., su ragioni di merito, atteso che la funzione di filtro della disposizione consiste nell’esonerare la Suprema Corte dall’esprimere compiutamente la sua adesione al persistente orientamento di legittimità, così consentendo una più rapida delibazione dei ricorsi “inconsistenti”;

considerato che le spese legali debbono seguire la soccombenza e possono liquidarsi, in favore delle due parti controricorrenti (controricorso del Bi. e della B. e controricorso e successiva memoria della D., dei due G.), siccome in dispositivo, tenuto conto del valore e della qualità della causa, nonchè delle attività espletate;

che ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), ricorrono i presupposti per il raddoppio del versamento del contributo unificato da parte dei ricorrenti, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

PQM

dichiara il ricorso inammissibile e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida per compensi, in favore dei controricorrenti P.L. e B.T., in Euro 5.000,00 e, in favore dei controricorrenti D.I., G.G. e G.R.A., in Euro 5.200,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, per ciascuno dei due gruppi di controricorrenti, liquidati in Euro 200,00, e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 12 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 23 novembre 2018

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