Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30457 del 21/11/2019

Cassazione civile sez. I, 21/11/2019, (ud. 29/10/2019, dep. 21/11/2019), n.30457

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio – Presidente –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – rel. Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 6499/2017 proposto da:

Azienda Unità Sanitaria Locale della Romagna, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via

Bertoloni n. 44, presso lo studio dell’Avvocato Elisa Lenzi,

rappresentata e difesa dall’Avvocato Massimo Zamparini giusta

procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

D.M., elettivamente domiciliata in Roma, Via Pompeo Magno

n. 3, presso lo studio dell’Avvocato Saverio Gianni, rappresentata e

difesa dall’Avvocato Paolo Volpi giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrente incidentale –

e contro

Fallimento (OMISSIS) Srl in liquidazione;

– intimato –

avverso l’ordinanza del TRIBUNALE di FORLI’ del 19/12/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

29/10/2019 dal cons. Dott. Alberto Pazzi.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il giudice delegato al fallimento di (OMISSIS) s.r.l., dopo aver disposto che il curatore riconoscesse alla conduttrice Azienda Unità Sanitaria Locale della Romagna il diritto di prelazione previsto dalla L. n. 392 del 1978, art. 39 su un immobile di proprietà della fallita già posto in vendita e aggiudicato, all’esito di procedura competitiva, a D.M., provvedeva, a seguito del versamento dell’intero prezzo di aggiudicazione da parte dell’azienda sanitaria, a revocare l’aggiudicazione provvisoria in favore della D. autorizzando il curatore a perfezionare la vendita del bene con il conduttore prelazionario.

2. A seguito del reclamo presentato da D.M. il Tribunale di Forlì escludeva che il contratto in essere fra la fallita e l’Azienda Unità Sanitaria Locale della Romagna, in cui il curatore era subentrato ai sensi dalla L. Fall., art. 80, rimanesse regolato dal disposto della L. n. 392 del 1978, art. 38, norma che intendeva assicurare l’esigenza pubblicistica di conservazione delle attività produttive e commerciali svolte a diretto contatto con il pubblico; ciò in quanto i locali erano stati concessi in godimento ad esclusivo uso archivio, attività di natura meramente interna all’ente pubblico che non comportava un contatto diretto con un pubblico di consumatori.

Il Tribunale, constatata una simile natura dell’attività svolta nei locali concessi in locazione, accoglieva il reclamo e revocava il decreto emesso dal giudice delegato in data 21 ottobre 2016.

3. Per la cassazione di tale statuizione ha proposto ricorso Azienda Unità Sanitaria Locale della Romagna prospettando un unico motivo di doglianza, a cui ha resistito con controricorso D.M., la quale a sua volta ha presentato ricorso incidentale, poi rinunciato ex art. 390 c.p.c..

L’intimato fallimento (OMISSIS) s.r.l. non ha svolto alcuna difesa.

Parte ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

3.1 Il motivo di ricorso presentato, sotto la rubrica “violazione e falsa applicazione della L. 27 luglio 1978, n. 392, artt. 35,38 e 41 nonchè vizi di motivazione in relazione a un punto decisivo della controversia, ex art. 360 c.p.c., n. 3 e 5”, assume che il Tribunale, trascurando di considerare tanto la natura anche imprenditoriale dell’attività svolta dall’azienda sanitaria quanto il carattere commerciale del contratto di locazione concluso con la società poi fallita, avrebbe erroneamente escluso, con motivazione apodittica, la possibilità per il conduttore di esercitare attività a contatto diretto con il pubblico; al contrario la locazione a uso archivio implicava un rapporto con il pubblico da parte del conduttore, quale ente dotato di autonomia imprenditoriale finalizzata a rendere un servizio accessibile, seppur in forma mediata, alla generalità del pubblico degli utenti.

A conforto dell’esistenza del diritto di prelazione deponeva – in tesi di parte ricorrente – la condotta tenuta dalla curatela e dal giudice delegato, i quali, dopo l’aggiudicazione, avevano riconosciuto il diritto di prelazione proprio in ragione della destinazione dell’uso del bene locato indicata in contratto.

L’errore nella qualificazione giuridica della situazione di fatto avrebbe comportato – conclude la ricorrente – un vizio di giudizio, per violazione della L. n. 392 del 1978, artt. 35,38 e 41.

3.2 Il motivo risulta in parte inammissibile, in parte infondato.

3.2.1 Il collegio del reclamo, una volta individuato correttamente il presupposto da cui la norma fa conseguire il diritto di prelazione in capo al conduttore – costituito, secondo la giurisprudenza di questa Corte, dall’intervenuto svolgimento all’interno dell’immobile locato di un’attività comportante diretto contatto con il pubblico, condizione che si verifica quando i destinatari possano accedere ai luoghi in cui essa è esercitata e l’imprenditore vi svolga un’attività rivolta a una generalità indistinta di persone che, per potersi realizzare, richieda l’accesso del pubblico a quei luoghi (Cass. 1363/2009) -, ha ritenuto che nel caso di specie l’attività svolta dal conduttore all’interno dell’immobile locato avesse un rilievo meramente interno, con accesso ai locali limitato soltanto al personale dell’azienda, di modo che andava escluso un contatto diretto con il pubblico dei consumatori.

Il motivo in esame non critica espressamente il principio di diritto di cui il collegio del reclamo ha fatto applicazione, ma intende sovvertire l’applicazione fattane al caso di specie tramite la valorizzazione di elementi quali la finalizzazione dell’attività imprenditoriale dell’azienda sanitaria “a rendere un servizio accessibile alla generalità del pubblico” (pag. 8), il quale quindi “deve effettuare accessi in forma mediata all’archivio per poter prendere visione della documentazione ivi archiviata in cartaceo” (pag. 9).

Una simile censura manca di qualsiasi decisività, dato che si fonda su circostanze di fatto del tutto irrilevanti ai fini del decidere, giacchè il combinato disposto della L. n. 392 del 1978, artt. 35 e 38 da intendersi secondo il principio richiamato dal giudice di merito e non contestato in questa sede, presuppone un contatto diretto (fra l’imprenditore la cui attività si rivolga a una generalità indistinta di persone e il pubblico che acceda ai luoghi in cui la stessa è svolta), rimanendo così irrilevante la generale accessibilità del servizio (e non del luogo) e l’accesso del pubblico in forma mediata (e non diretta) al luogo dove l’attività è svolta.

Peraltro con simili affermazioni la censura non solo espressamente allega (a pag. 12), piuttosto che un’erronea ricognizione della fattispecie astratta recata da una norma di legge prospettando un problema interpretativo della stessa, un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, la quale è invece estranea all’esatta interpretazione della norma, inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito ed è sottratta al sindacato di legittimità se non sotto l’aspetto del vizio di motivazione (Cass. 24155/2017, Cass. 22707/2017, Cass. 195/2016), ma tenta anche nella sostanza di sovvertire il giudizio di fatto già espresso dal Tribunale, malgrado il ricorso per cassazione conferisca al giudice di legittimità soltanto la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito.

3.2.2 Nessun vizio di motivazione, in termini di apparenza, può poi essere fondatamente predicato nel caso di specie.

Il decreto impugnato infatti, dopo aver richiamato il principio regolante la fattispecie in esame, che postulava l’esistenza di un’attività comportante un contatto diretto con il pubblico, ha escluso a chiare lettere il ricorrere di un simile presupposto, perchè l’accesso ai locali era riservato al personale dell’azienda piuttosto che al pubblico degli utenti.

In questo modo il giudice di merito ha chiaramente rappresentato l’iter logico-intellettivo seguito per arrivare alla decisione.

3.2.3 In forza dei motivi sopra illustrati il ricorso principale va pertanto respinto.

4. L’Avv. Paolo Volpi, quale difensore di D.M., ha depositato atto di rinuncia al ricorso incidentale dallo stesso sottoscritto in virtù del mandato all’uopo conferito all’interno della procura alle liti; tale atto è stato ritualmente notificato alla controparte costituita.

La rinuncia produce l’estinzione del processo anche in assenza di accettazione, in quanto tale atto non ha carattere “accettizio” (non richiede, cioè, l’accettazione della controparte per essere produttivo di effetti processuali), e, determinando la definitività del provvedimento impugnato, comporta il venir meno dell’interesse a contrastare l’impugnazione, rimanendo, comunque, salva la condanna del rinunciante alle spese del giudizio (Cass. 3971/2015).

Ricorrono pertanto le condizioni per dichiarare, rispetto al ricorso incidentale, l’estinzione del presente giudizio di cassazione, a prescindere dalla mancata accettazione della controparte.

5. In presenza di una soccombenza reciproca le spese di lite andranno integralmente compensate ai sensi dell’art. 92 c.p.c., comma 2.

L’intervenuta rinuncia al ricorso incidentale esime la parte rinunciante dall’obbligo previsto dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Cass. 23175/2015).

PQM

La Corte rigetta il ricorso principale e dichiara estinto il processo di cassazione per rinuncia rispetto al ricorso incidentale.

Compensa integralmente le spese processuali.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto.

Così deciso in Roma, il 29 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 21 novembre 2019

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