Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30454 del 23/11/2018

Cassazione civile sez. II, 23/11/2018, (ud. 28/06/2018, dep. 23/11/2018), n.30454

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – rel. Consigliere –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. GRASSO Gianluca – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15591-2014 proposto da:

S.A., SE.AL., in proprio e quali eredi di

S.T. e di S.L., elettivamente domiciliati in ROMA,

VIA ALESSANDRO VOLTA 45 sc. B int. 2, presso BENVENUTO RAFFAELE,

rappresentati e difesi dall’avvocato GAETANO BRUNO;

– ricorrenti –

contro

V.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA BALDO DEGLI

UBALDI 66, presso lo studio dell’avvocato SIMONA RINALDI GALLICANI,

rappresentato e difeso dall’avvocato GIANFRANCO MOBILIO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 298/2014 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 21/05/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

28/06/2018 dal Consigliere SERGIO GORJAN.

Fatto

FATTI DI CAUSA

I germani T., Al., al., L., S. ed S.A. evocarono nel 1988 in giudizio avanti il Tribunale di Salerno C.V. per sentir accertare che la stessa aveva costruito dei fabbricati su suolo di una corte ed ingresso in proprietà comune anche a loro, sicchè chiedevano la condanna della C. alla riduzione in pristino ed al ristoro dei danni.

Resistette la convenuta contestando la pretesa attorea in quanto il cortile indicato, siccome in proprietà comune, era in effetti esclusivamente suo e, comunque, eccepiva l’acquisto mediante usucapione.

Il Tribunale di Nocera Inferiore,cui il fascicolo era stato trasmesso a seguito del rimaneggiamento del circondario del Tribunale di Salerno, ebbe ad accogliere la domanda dei S. con ordine di abbattimento e condanna al ristoro dei danni quantificati in Euro 8.000,00.

V.L., quale erede della C., propose appello e, resistendo i consorti S., la Corte d’Appello di Salerno ebbe ad accogliere parzialmente il gravame limitando l’ordine di abbattimento al solo manufatto eretto sul passaggio con rigetto del resto dell’originaria domanda svolta dagli appellati. Avverso detta decisione propose ricorso per cassazione il V. e, resistendo solamente A. ed Se.Al., la Suprema Corte con sentenza n. 4444/12 ebbe ad accogliere il secondo motivo di ricorso, a rigettare il primo, nonchè a dichiarare assorbiti i restanti motivi.

Il consorti A. ed Se.Al. ebbero a riassumere la causa in sede di rinvio avanti la Corte salernitana.

Resistette il V. mentre si costituirono i due germani S. riassumenti anche quali eredi delle sorelle T. e S.L., mentre rimasero contumaci al. e S.S..

All’esito della trattazione la Corte territoriale ebbe a rigettare integralmente l’originaria domanda svolta dai consorti S. con relazione ai manufatti eretti sul fondo identificato dalla particella n. (OMISSIS) del comune censuario ed amministrativo di (OMISSIS), nonchè a regolare le spese di lite.

Osservava la Corte di Salerno come in effetti i S. non avessero fornito adeguata prova del loro asserito diritto di comproprietà sul fondo identificato dalla particella (OMISSIS) poichè all’uopo inidonei i titoli portati dagli originari attori a sostegno della loro rivendica di comproprietà.

Al. ed S.A., anche quali eredi di T. e S.L., ebbero a proporre ricorso per cassazione fondato su quattro motivi.

V.L. ha resistito ritualmente in questa sede con controricorso ed ha depositato memoria difensiva in prossimità dell’adunanza.

Risultano ritualmente evocati, ma non costituiti, anche al. e S.S..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il ricorso proposto dai consorti S. s’appalesa siccome infondato e va rigettato.

Con il primo mezzo d’impugnazione i ricorrenti denunziano violazione delle norma in art. 394 c.p.c. per omessa motivazione sulla questione in effetti oggetto della decisione di annullamento e rinvio da parte della Corte di Cassazione.

Osservano i consorti S. come il Giudice di rinvio non avesse esaminato e deciso la questione fondata sull’eccezione di usucapione sollevata dalla C. ed oggetto del secondo motivo di ricorso per cassazione accolto dalla Suprema Corte, bensì avesse deciso la causa sulla scorta di argomentazione, apertamente, configgente con la ricordata eccezione, che presuppone il riconoscimento dell’altrui signoria sul bene immobile, di cui si vuole acquisire il diritto di proprietà per fatto.

Inoltre, ad opinione dei ricorrenti, risultava cosa giudicata il fatto che essi fossero contitolari del diritto dominicale della porzione di cortile e passaggio sulla quale insiste il manufatto abusivo eretto dalla C..

La doglianza risulta veicolata sotto il profilo della disposizione in art. 360 c.p.c., n. 5 segnatamente sotto il profilo di omessa motivazione, ma al riguardo deve in limine questa Corte rilevare come l’attuale formulazione della norma indicata a sostegno della doglianza non riguardi più la motivazione, bensì esige denunzia di omesso esame di un fatto.

Inoltre, con chiarezza, la Corte di cassazione nella sua sentenza n. 4444/12 ha dichiarate assorbite le questioni sollevate dal V. con tre specifici mezzi d’impugnazione che attingevano appunto la questione del tipo di azione svolta – rivendica – e della prova necessaria al suo sostegno.

E’ ben vero che la Corte Suprema ebbe ad espressamente accogliere il secondo motivo d’impugnazione che deduceva omessa pronunzia circa l’eccezione di usucapione, ma la declaratoria di assorbimento delle restanti tre ragioni di impugnazione, proposte in successione a quella accolta, comporta che al Giudice del rinvio erano devolute tutte dette questioni senza uno stabilito ordine da rispettare nella loro trattazione.

Dunque la Corte di rinvio era libera di esaminare le questioni rimesse al suo apprezzamento secondo propria discrezione circa la valenza risolutiva della lite.

Di certo la questione afferente l’acquisito mediante fatto presuppone la titolarità in capo alla controparte del diritto che si è acquistato, ma come evidente la questione afferente l’usucapione fu proposta siccome eccezione quando superate le contestazioni, sempre ribadite, circa la fondatezza dell’azione di rivendica proposta dai S..

Questi difatti s’erano dichiarati contitolari del fondo, identificato dalla particella (OMISSIS) del comune censuario ed amministrativo di (OMISSIS), in forza di titolo e detto titolo i Giudici campani ebbero a valutare, rilevandone l’inidoneità a fondare la pretesa azionata.

Dunque non solo non sussiste più il vizio di omessa motivazione, veicolabile ex art. 360 c.p.c., n. 5, ma nemmeno la Corte di rinvio ha violato il disposto ex art. 394 c.p.c. poichè ha pronunziato nell’ambito delle questioni devolute con la decisione di annullamento e rinvio assunta da questa Corte Suprema.

Con la seconda doglianza i S. lamentano violazione della norma in art. 2909 c.c. e art. 324 c.p.c. posto che la Corte di rinvio ha ritenuto non provato il fatto che essi fossero titolari del diritto di proprietà sul fosso limitrofo al cortile, benchè detta statuizione risulta adottata in prime cure e non fu attinta da appello o ricorso per cassazione.

L’argomentazione critica svolta dai ricorrenti in effetti non si confronta con l’effettiva motivazione sul punto specificatamente elaborata dalla Corte territoriale.

Difatti il Collegio salernitano esamina specificatamente la questione afferente l’allogazione del piccolo fosso, indicato nell’atto di divisione del 1901 posto dai S. alla base della loro rivendica, e conclude che non è possibile stabilire se detto fosso possa ritenersi individuato nell’odierno sedime del transito largo metri 1, 2 che adduce alla corte, siccome sostenuto dai ricorrenti.

Dunque la Corte di merito non ha affatto negato che il piccolo fosso fosse in signoria dei S., così violando la cosa giudicata, siccome asserito in doglianza, bensì ha accertato che non è possibile individuarne la allogazione rispetto ai predi oggetto di causa.

Tale accertamento non risulta attinto dalla censura mossa fondata esclusivamente sulla violazione del giudicato per aver la Corte di rinvio negato il diritto di proprietà dei S. sul citato piccolo fosso, mentre in effetti d’un tanto la Corte campana non s’è interessata punto.

Con il terzo mezzo d’impugnazione i S. denunziano violazione del disposto in art. 2697 c.c. e art. 116 c.p.c. posto che la Corte di rinvio ebbe a ritener non fornita la prova del loro diritto di proprietà sul fosso, oggi passo di metri 1,2, occupato dalla C. con propri manufatti.

Anche detta censura s’appalesa siccome generica, posto che in buona sostanza i ricorrenti si lamentano della valutazione operata dai Giudici di rinvio in relazione alle prove documentali da loro addotte circa la proprietà del piccolo fosso oggi passaggio.

Ma, come dianzi visto, la Corte di rinvio non ha esaminato la questione della titolarità del fosso, bensì la sua allogazione e la possibilità di identificarlo – come vorrebbero i ricorrenti – con il passaggio oggetto di causa.

La risposta negativa data al riguardo dalla Corte non rimane superata dalla mera opinione contraria esposta dai ricorrenti, i quali in concreto con la doglianza mossa richiedono a questa Corte di legittimità un’inammissibile valutazione di fatto sul punto.

Con il quarto ed ultimo mezzo d’impugnazione i ricorrenti lamentano violazione della norma in art. 2697 c.c. posto che la Corte di rinvio non ha considerato che durante il giudizio di rinvio gli odierni impugnanti appresero che il testamento della C. a favore del V. – loro controparte – era stato dichiarato falso con conseguente carenza di legittimazione del V. nella presente causa.

Deve questa Corte rilevare come viene denunziato un errore in judicando – violazione di legge – mentre si argomenta circa un errore in procedendo – nullità per omessa motivazione – ed inoltre la violazione dell’art. 2697 c.c. non appare nemmeno in astratto sussistere.

Difatti detta norma sostanziale regola l’onere della prova che nulla ha a che vedere con l’asserita circostanza che la Corte di rinvio non ebbe a valutare le prove documentali, pur dimesse da essi impugnanti in tale sede, lumeggianti la declaratoria di falsità del testamento olografo della C. con conseguente carenza della qualità d’erede ovvero di legatario in capo a V.L..

I ricorrenti non deducono vizio per omessa motivazione anche perchè la sentenza, asseritamente portante la declaratoria di falsità del testamento, venne depositata – a tenor della puntuale difesa sul punto spiegata dal controricorrente non contestata dai ricorrenti con nota difensiva finale – appena con la nota conclusionale in sede di giudizio di rinvio – dopo ben dodici anni dalla sua pronunzia -, quindi era palesemente collegato a questione inammissibile in detta sede.

Difatti – Cass. sez. L n 25153/17, Cass. sez. 3 n 11614/98 – rimane comunque preclusa, sia che venne fatta oggetto di ricorso che non, ogni questione pregiudiziale preesistente al giudizio di cassazione, strutturandosi il giudizio di rinvio quale momento rescissorio del giudizio rescindente operato dalla Suprema Corte.

Nella specie, come già dianzi cennato, la questione della legittimazione ad agire, quale erede della C., da parte del V. era situazione già nota dal 2002 – data della sentenza depositata – sicchè non si pone come elemento sopravvenuto al giudizio di cassazione, conclusosi con il rinvio a nuovo esame della problematica oggi trattata.

Inoltre i S. nemmeno lumeggiano la conseguenza giuridica sulla sentenza impugnata del documento, di cui si lamenta la mancata valutazione da parte del Giudice del rinvio, posto che sono stati loro a riassumere in sede di rinvio la causa.

Al rigetto del ricorso segue, ex art. 385 c.p.c., la condanna solidale di Al. ed S.A. alla rifusone delle spese di questo giudizio di legittimità in favore di V.L., tassate in globali Euro 2.000,00 oltre accessori di legge e rimborso forfetario secondo tariffa forense nella misura del 15%.

Concorrono in capo ai ricorrenti le condizioni per l’ulteriore pagamento del contributo unificato.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido fra loro, a rifondere al V. le spese di questo giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.000,00 oltre accessori e di legge e rimborso forfetario ex tariffa forense nella misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nell’adunanza di camera di consiglio, il 28 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 23 novembre 2018

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