Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30452 del 21/11/2019

Cassazione civile sez. I, 21/11/2019, (ud. 22/10/2019, dep. 21/11/2019), n.30452

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio – Presidente –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 6175/2015 r.g. proposto da:

(OMISSIS) s.r.l., (cod. fisc. (OMISSIS)), con sede in (OMISSIS), in

persona del legale rappresentante P.O., nonchè

P.B., in proprio e nella qualità socio della società

(OMISSIS) s.r.l., tutti rappresentati e difesi, giusta procura

speciale apposta in calce al ricorso, dagli Avvocati Nicola

Carratelli e Giuseppe Belvedere, con cui elettivamente domicilia in

Roma, Viale Trastevere n. 259, presso lo studio dell’Avvocato Luca

Branchicella.

– ricorrente –

contro

Fallimento della società (OMISSIS) s.r.l. (cod. fisc. (OMISSIS)), in

persona del curatore Dott.ssa G.G., rappresentato e

difeso, giusta procura speciale apposta a margine del controricorso,

dall’Avvocato Caterina Maffey, presso il cui studio è elettivamente

domiciliato in Roma, Piazzale Clodio n. 61.

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte di appello di Catanzaro, depositata

in data 19.01.2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

22/10/2019 dal Consigliere Dott. Roberto Amatore;

letta la requisitoria scritta della Procura Generale presso la Corte

di Cassazione che, nella persona del Sostituto Procuratore Generale

Dott.ssa SOLDI Anna Maria, ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

RILEVATO

che:

1. Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Catanzaro – decidendo sul reclamo proposto da (OMISSIS) s.r.l. nei confronti della Curatela del Fallimento (OMISSIS) s.r.l. e della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Paola, in relazione alla dichiarazione di fallimento pronunciata in data 6 dicembre 2013 da quest’ultimo Tribunale con la sentenza n. 19/2013 – ha rigettato il reclamo, confermando, pertanto, la declaratoria di fallimento resa in primo grado.

La corte del merito ha ricordato, in punto di ricostruzione della vicenda processuale oggi sub iudice, che: a) la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Paola aveva agito in giudizio al fine di ottenere la dichiarazione di fallimento della (OMISSIS), avendo evidenziato, nell’ambito delle indagini preordinate alla ricostruzione della situazione contabile della (OMISSIS), la presenza di un attivo certo e disponibile di soli 370.752,58 Euro, a fronte di debiti pari a circa Euro 5.400.000,00 e che la detta società debitrice era stata anche vittima di artifici finanziari e di altre operazioni distrattive delle poste attive del patrimonio, tali da rendere, peraltro, del tutto inattendibili i dati riportati nella contabilità di bilancio, con ciò evidenziandosi lo stato di insolvenza della società (OMISSIS); b) il socio di maggioranza della società debitrice, P.B., costituendosi in giudizio, aveva evidenziato che l’ordine di integrazione del contraddittorio nei confronti della predetta società era stato eseguito dalla Procura della Repubblica tramite gli organi di polizia giudiziaria, in luogo dell’ufficiale giudiziario competente per territorio, con ciò maturando una nullità insanabile del procedimento notificatorio, non emendabile tramite ordini giudiziali di rinnovazione della notificazione.

La Corte territoriale, sulla base della predetta ricostruzione, ha ritenuto: 1) infondata l’eccezione di improcedibilità del reclamo sollevata dalla curatela per mancato rispetto del termine di dieci giorni per la notifica del ricorso e del pedissequo decreto di fissazione dell’udienza, in quanto termine non perentorio e perchè la notifica del reclamo e del decreto di fissazione era comunque avvenuta nel rispetto del termine dilatorio di trenta giorni, previsto ex lege; 2) infondate le ulteriori eccezioni processuali sollevate dalla curatela in punto di mancata integrazione del contraddittorio (giacchè il reclamo era stato regolarmente notificato alla Procura della Repubblica di Paola a mezzo posta) ed in merito alla denunciata improcedibilità del ricorso per mancanza di procura ad litem (procura rilasciata regolarmente presso il Consolato Generale d’Italia in Caracas). La corte del merito, in ordine ai motivi di gravame del reclamante, ha osservato che: i) la prima notificazione del ricorso per fallimento eseguita dalla Procura della Repubblica doveva considerarsi inficiata dal vizio di inesistenza e che, ciò nonostante, l’omessa notifica o il mancato rispetto del termine fissato per la stessa non comportano, in difetto di espressa sanzione, la nullità del ricorso già regolarmente proposto con il deposito in cancelleria, ma soltanto la necessità di assicurare l’effettiva instaurazione del contraddittorio, suscettibile di realizzarsi, in applicazione dell’art. 162 c.p.c., comma 1, mediante l’ordine di rinnovazione della stessa, e ciò in ragione della peculiarità del procedimento camerale per la dichiarazione di fallimento;

nella specie, la notificazione alla società debitrice risultava validamente effettuata e perfezionata, nei confronti dell’amministratore della società, ai sensi dell’art. 140 c.p.c., potendosi applicare il procedimento notificatorio in esame perchè era nota la residenza del destinatario e perchè il destinatario era solo temporaneamente assente; iii) anche l’ulteriore eccezione di improponibilità dell’istanza di fallimento era infondata, in quanto la precedente sentenza di annullamento della declaratoria di fallimento era stata fondata su motivi esclusivamente formali (quali la mancata notifica del ricorso introduttivo e del decreto di fissazione entro il termine all’uopo assegnato), non precludendo ciò la riproposizione dell’istanza, pur se fondata sugli stessi motivi e dovendosi, peraltro, ritenere che l’inerzia della parte (che non aveva proceduto alla notifica del ricorso e del decreto) non equivaleva ad implicita rinuncia al reclamo nè implicava di per sè consumazione del potere di impugnazione; iv) sussisteva lo stato di insolvenza, stante l’accertato stato di squilibrio finanziario e l’impossibilità di un’immediata liquidazione dei cespiti immobiliari.

2. La sentenza, pubblicata il 19.01.2015, è stata impugnata da (OMISSIS) s.r.l. con ricorso per cassazione, affidato a sei motivi, cui la curatela ha resistito con controricorso.

La Procura Generale presso la Corte di Cassazione ha depositato requisitoria scritta.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo la parte ricorrente – lamentando, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1 e 5, violazione e falsa applicazione degli artt. 139,145, nonchè dell’art. 140 c.p.c. e travisamento dei fatti e motivazione insufficiente, ed ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nullità della sentenza per violazione del principio del contraddittorio – si duole della nullità della notificazione degli atti introduttivi del giudizio prefallimentare alla società debitrice nella persona del suo legale rappresentante. Si lamenta, più in particolare, la violazione dell’art. 145 c.p.c., comma 1 e dell’art. 139 c.p.c. e ciò con particolare riferimento all’argomentazione della Corte di merito secondo cui era stato corretto attribuire la valenza di “residenza” all’indicazione risultante dalla procura conferita quattro anni prima della sentenza impugnata, e non a quella risultante dagli atti, come documentata dalla certificazione anagrafica. Si evidenzia che la residenza effettiva del destinatario della notifica dell’atto era desumibile dalle risultanze anagrafiche – che seppur rivestono un valore presuntivo – possono essere superate solo da una prova contraria.

2. Con il secondo motivo si denuncia, sempre ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1 e 5, vizio di violazione e falsa applicazione della L. Fall., artt. 6 e 15, nonchè degli artt. 145,140 c.p.c. e, comunque, travisamento dei fatti, ed ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, motivazione insufficiente e nullità della sentenza per violazione del principio del contraddittorio. Si evidenzia come la prima notifica – effettuata dalla Procura della Repubblica per mezzo della polizia giudiziaria – dovesse essere considerata inesistente e dunque “tam quam non esset” e, pertanto, la stessa non era suscettibile di rinnovazione, ma avrebbe dovuto comportare la declaratoria di improcedibilità del ricorso e della procedura prefallimentare così erroneamente incardinata, posto che la detta notificazione, eseguita, cioè, a mezzo di ufficiale di P.G., non determina, in realtà, un’ipotesi di nullità, sanabile con il rinnovo della notifica in forma rituale, non provenendo l’atto da persona investita del potere di certificazione e non assumendo rilievo nè quanto la relata attesta, nè il fatto che l’atto scritto sia materialmente pervenuto nella sfera del destinatario. Si denuncia, dunque, l’erroneità della motivazione impugnata laddove aveva inteso interpretare la disciplina del rito camerale, nel senso di ritenere che – dopo aver istaurato il rapporto processuale con il deposito del ricorso – fosse possibile assegnare al ricorrente reiterati termini per provvedere alla notifica non eseguita correttamente in precedenza.

3. Con il terzo mezzo si articola, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1 e 5, vizio di violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. e art. 324 c.p.c., nonchè degli artt. 181 e 306, sempre codice di rito, e vizio di travisamento dei fatti e motivazione insufficiente. Si osserva che erroneamente il giudice del reclamo non aveva considerato come passata in giudicato la precedente sentenza di appello, con la quale era stata annullata la declaratoria di fallimento sempre decretata dal Tribunale di Paola e, comunque, non aveva considerato l’estinzione del giudizio per mancata coltivazione dello stesso da parte del P.M. ricorrente.

4. Con il quarto motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1 e 5, vizio di violazione e falsa applicazione della L. Fall., artt. 1 e 5, travisamento dei fatti e motivazione insufficiente, in ordine all’accertamento dello stato di insolvenza della società debitrice. Osserva il ricorrente come la corte territoriale avesse omesso di considerare la circostanza, illustrata nella memoria, secondo la quale gli stessi organi della procedura avevano provveduto alla redazione di un nuovo stato passivo, più aggiornato, rispetto a quello oggetto di verifica nella prima procedura poi revocata, con ciò evidenziandosi che il debito era comunque sceso a 1.500.000,00 e che anche i crediti di imposta non corrispondevano più al valore iniziale e che, peraltro, non erano state neanche superate le soglie di fallibilità soggettiva di cui alla L. Fall., art. 1.

5. Con il quinto motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nullità della sentenza ex art. 112 c.p.c., nonchè vizio di violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c.. Si osserva che non poteva ritenersi integrata la soccombenza dell’intervenuto, con la conseguenza che lo stesso non poteva essere condannato alle spese.

6. Con il sesto mezzo si articola, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1 e 5, vizio di violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. e difetto di motivazione in punto di regolamentazione delle spese di lite non ancorata al principio della soccombenza reciproca.

7. Il ricorso è infondato.

7.1 Già il primo motivo di censura è, in parte, infondato e, in altra parte, inammissibile.

7.1.1 Sotto il primo profilo, giova ricordare che, secondo la giurisprudenza espressa da questa Corte, al fine di dimostrare la sussistenza della nullità di una notificazione, in quanto eseguita in luogo diverso dalla residenza effettiva del destinatario, non costituisce prova idonea la produzione di risultanze anagrafiche che indichino una residenza difforme rispetto al luogo in cui è stata effettuata la notificazione. Nell’ipotesi in cui la notifica venga eseguita, nel luogo indicato nell’atto da notificare e nella richiesta di notifica, secondo le forme previste dall’art. 140 c.p.c., è da presumere che in quel luogo si trovi la dimora del destinatario e, qualora quest’ultimo intenda contestare in giudizio tale circostanza al fine di far dichiarare la nullità della notificazione stessa, ha l’onere di fornirne la prova (cfr.: Sez. 2, Sentenza n. 24416 del 16/11/2006). Ne consegue che, nel caso in cui la notifica venga effettuata, nelle forme previste dall’art. 140 c.p.c., nel luogo indicato nell’atto da notificare e nella richiesta di notifica, costituisce mera presunzione, superabile con qualsiasi mezzo di prova (e senza necessità di impugnare con querela di falso la relazione dell’ufficiale giudiziario), che in quel luogo si trovi la residenza effettiva (o la dimora o il domicilio) del destinatario dell’atto, sicchè compete al giudice del merito, in caso di contestazione, compiere tale accertamento in base all’esame ed alla valutazione delle prove fornite dalle parti, ai fini della pronuncia sulla validità ed efficacia della notificazione (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 15200 del 19/07/2005; Sez. 1, Sentenza n. 8011 del 26/08/1997).

7.1.2 Ciò posto, emerge dalla lettura della sentenza impugnata come circostanza non controversa quella secondo cui la notifica degli atti introduttivi del giudizio prefallimentare era stata eseguita, ai sensi dell’art. 140 c.p.c., al legale rappresentante della fallenda presso la sua residenza, in (OMISSIS), quale indirizzo emergente dagli atti di causa.

Sul punto deve, pertanto, ritenersi che l’allegato diverso indirizzo di residenza ((OMISSIS)), come emergente dalla certificazione anagrafica richiamata dalla ricorrente, non possa superare l’accertamento eseguito dall’ufficiale giudiziario all’atto di accesso presso la residenza effettivamente risultante dagli atti, proprio perchè la detta certificazione anagrafica – per costante affermazione giurisprudenziale – non costituisce prova idonea a dimostrare una residenza difforme rispetto al luogo in cui è stata effettuata la notificazione. Come sopra ricordato, nell’ipotesi in cui la notifica venga eseguita, nel luogo indicato nell’atto da notificare e nella richiesta di notifica, secondo le forme previste dall’art. 140 c.p.c., è da presumere che in quel luogo si trovi la dimora del destinatario e, qualora quest’ultimo intenda contestare in giudizio tale circostanza al fine di far dichiarare la nullità della notificazione stessa, ha l’onere di fornirne la prova. Tale prova non è stata fornita nel corso delle fasi del giudizio di merito (essendo inidonea, come detto, la mera indicazione anagrafica) e, peraltro, la corte territoriale, con valutazione in fatto non censurabile in questa sede decisoria (cfr. pag. 12 della sentenza impugnata), ha accertato che la residenza effettiva ((OMISSIS)) era proprio quella indicata negli atti di causa (procura alle liti) per come, poi, riscontrata dall’ufficiale giudiziario al momento del suo accesso presso l’indirizzo indicato dal notificante ove quest’ultimo non aveva ricevuto neanche notizie di eventuali trasferimenti del destinatario della notifica.

Ne consegue il rigetto del primo motivo.

7.2 Ma anche il secondo motivo non merita positivo apprezzamento.

7.2.1 Orbene, risulta utile ricordare che la giurisprudenza della Corte di legittimità (cui anche questo Collegio intende fornire continuità applicativa, condividendone le ragioni) ha affermato il principio secondo cui – nel procedimento per la dichiarazione di fallimento (divenuto – per effetto delle modifiche alla L. Fall., art. 15, introdotte dal D.Lgs. n. 5 del 2006 – un procedimento a cognizione piena) – il rapporto cittadino-giudice si instaura con il deposito del ricorso, mentre la successiva fase, che si perfeziona con la notifica al convenuto del ricorso e del decreto di fissazione dell’udienza, è finalizzata esclusivamente all’instaurazione del contraddittorio: pertanto, in caso di omissione della notifica o mancato rispetto del termine assegnato per il suo compimento, non ne deriva, in difetto di espressa sanzione, la nullità del ricorso stesso, ma solo la necessità di assicurare l’effettiva instaurazione del contraddittorio, realizzabile mediante l’ordine di rinnovazione della notifica emesso dal giudice, in applicazione dell’art. 162 c.p.c., comma 1, o mediante la costituzione spontanea del resistente, ovvero ancora, come nella specie, attraverso la rinnovazione della notifica eseguita spontaneamente dalla parte (cfr., Sez. 1, Sentenza n. 22926 del 29/10/2009). A tale proposito la giurisprudenza di questa Corte ha costantemente ritenuto che l’instaurazione del giudizio camerale è caratterizzato da due fasi distinte che si perfezionano, rispettivamente, la prima con il deposito del ricorso in cancelleria e la seconda con la notifica al convenuto del ricorso e del pedissequo decreto del presidente del tribunale, contenente la fissazione dell’udienza di comparizione e del termine per la notificazione del ricorso e del decreto (Cass. 18448/04; Cass. 507/03; Cass. 3837/06; Cass. 12983/09; Cass. 27450/05; Cass. 6868/09; Cass. 9528/09; Cass. 15482/05; Cass. 11360/99).

In tutti questi casi, infatti, viene raggiunto lo scopo che è quello di portare il convenuto a conoscenza del ricorso contro di lui proposto e viene dunque assicurata la regolarità del contraddittorio (cfr. anche Cass., Sez. 6, Ordinanza n. 12338 del 03/06/2014).

7.2.2 Alla luce dei principi qui riaffermati risulta, dunque, corretta la decisione della Corte d’appello che ha rilevato come la prima omessa notifica degli atti introduttivi per l’esecuzione della stessa tramite polizia giudiziaria potesse essere sanata tramite l’ordine di rinnovazione della notificazione al destinatario di quest’ultima, con la concessione di un nuovo termine; rinnovazione, poi, perfezionatasi, attraverso il procedimento di notificazione previsto dall’art. 140 c.p.c., nei confronti del legale rappresentate della società fallenda.

Del resto, gli ulteriori rinvii dell’udienza prefallimentare erano stati disposti dal giudice delegato, secondo quanto emerge dalla motivazione impugnata, al solo fine di acquisire la documentazione mancante e volta a dimostrare il perfezionamento del procedimento notificatorio.

Le ulteriori doglianze articolate dalla ricorrente nel motivo in esame rappresentano censure in fatto volte a contestare la ricostruzione materiale delle varie fasi della procedura di notifica ex art. 140 c.p.c. e devono pertanto ritenersi irricevibili innanzi a questo giudice di legittimità, e ciò a maggior ragione ove – come nel caso di specie – la corte di merito ha reso una descrizione minuziosa di tutte le operazioni succedutesi per il perfezionamento dell’iter notificatorio (cfr. pagg. 8-12 della motivazione impugnata).

7.3 Il terzo motivo è anch’esso infondato, atteso che, come correttamente osservato dalla corte territoriale, la precedente pronuncia di annullamento della declaratoria di fallimento era stata pronunciata su questioni in rito che non potevano ritenersi ostative alla presentazione di una nuova istanza di fallimento, anche fondata sui medesimi presupposti fattuali e giuridici della precedente domanda.

Nè è possibile ritenere che il descritto comportamento processuale del P.M. istante nel precedente procedimento prefallimentare (ripetuta assenza nelle udienze prefallimentari) potesse integrare una rinuncia implicita alla domanda di fallimento determinante l’estinzione del giudizio. Peraltro, va anche aggiunto come la rinuncia alla domanda di fallimento (cd. desistenza) non avrebbe, comunque, rappresentato una ragione ostativa alla ripresentazione della domanda di fallimento.

7.4 Il quarto mezzo è, invece, inammissibile.

La parte ricorrente intende proporre alla Corte di legittimità una rilettura degli atti istruttori (con particolare riferimento ai dati estraibili dallo stato passivo) per ripetere una valutazione di merito (come tale inibita in questa fase di legittimità) sul presupposto oggettivo della dichiarazione di fallimento, e cioè sul requisito dell’insolvenza, profilo quest’ultimo per il quale si assiste – nella sentenza impugnata – all’esplicitazione di una motivazione adeguata e completa (cfr. pagg. 13-18), con argomentazioni scevre da criticità ovvero aporie, come tali, ora, denunciabili solo nei ristretti limiti di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

7.5 Il quinto motivo è anch’esso inammissibile perchè non emerge, dalla lettura del ricorso introduttivo, ove l’odierna ricorrente avesse dedotto le sopra ricordate doglianze in ordine alla mancata soccombenza del P. nel giudizio per la dichiarazione di fallimento, di talchè la censura così proposta deve ritenersi irrimediabilmente nuova e dunque non ricevibile in questa ulteriore fase decisoria.

7.6 Il sesto motivo è infondato in quanto non emerge la dedotta violazione dei principi che regolano la soccombenza ovvero la soccombenza reciproca, posto che, da un lato, la curatela ha visto respingersi solo eccezioni di carattere processuali che non avevano allargato l’iniziale thema disputandum e che, dall’altro, non è censurabile in questa sede la scelta della corte di merito di non disporre neppure in parte la compensazione delle spese processuali, riguardando la stessa una decisione di merito.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come da separato dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della curatela controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.200 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 22 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 21 novembre 2019

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