Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30450 del 21/11/2019

Cassazione civile sez. I, 21/11/2019, (ud. 22/10/2019, dep. 21/11/2019), n.30450

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio – Presidente –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 17660/2015 r.g. proposto da:

(OMISSIS) S.R.L., (cod. fisc. (OMISSIS)), con sede in (OMISSIS), in

persona del legale rappresentante C.R., rappresentata

e difesa, giusta procura speciale apposta in calce al ricorso,

dall’Avvocato Prof. Sergio Scicchitano e dall’Avvocato Adele Forte,

con i quali elettivamente domicilia presso lo studio del primo in

Roma, alla via Emilio Faà di Bruno n. 4;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO (OMISSIS) S.R.L., (cod. fisc. (OMISSIS)), in persona del

curatore Dott. S.G., rappresentato e difeso, giusta

procura speciale apposta a margine del controricorso, dall’Avvocato

Francesco Lilli, presso il cui studio elettivamente domicilia in

Roma, alla Via di Vai Fiorita n. 90;

– controricorrente –

e

MAGMA S.P.A., (cod. fisc. (OMISSIS)), con sede in (OMISSIS), in

persona del suo amministratore M.M., rappresentata e difesa,

giusta procura speciale apposta in calce al controricorso,

dall’Avvocato Fabrizio Di Carlo, con cui elettivamente domicilia in

Roma, alla via Tacito n. 64, presso lo studio dell’Avvocato

Nicoletta Di Giovanni;

– controricorrente –

avverso la sentenza della CORTE DI APPELLO DI CATANZARO depositata in

data 09/06/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

22/10/2019 dal Consigliere Dott. Eduardo Campese.

Fatto

RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE

1. La (OMISSIS) s.r.l. ricorre per cassazione, affidandosi a quattro motivi, ulteriormente illustrati da memoria ex art. 380-bis.1 c.p.c., avverso la sentenza della Corte di appello di Catanzaro del 14 maggio/9 giugno 2015, n. 778, reiettiva del reclamo dalla prima proposto contro la dichiarazione del proprio fallimento pronunciata dal Tribunale di Castrovillari, il 14 maggio 2014, su istanza della MagMa s.r.l. (poi divenuta s.p.a.). Resistono, con distinti controricorsi, quest’ultima e la curatela fallimentare.

1.1. Per quanto qui ancora di interesse, quella corte: i) considerò provata la legittimazione attiva della MagMa s.r.l. L. Fall., ex art. 6 reputando sufficiente, a tal fine, non il definitivo accertamento del suo credito ovvero l’esecutività del corrispondente titolo, bensì, esclusivamente, un accertamento incidentale della relativa pretesa, della cui avvenuta effettuazione, peraltro, diede ampiamente conto; ii) ritenne insussistente la violazione del principio del contraddittorio, L. Fall., ex art. 15, dedotta dalla reclamante sul duplice assunto che: ii-a) dopo l’assunzione della riserva sulle istanze istruttorie della debitrice, la causa era stata rimessa al collegio per la decisione senza dare la possibilità a quest’ultima di poter chiedere di essere ascoltata a seguito delle risultanze dell’istruttoria prefallimentare; ii-b) ove il giudice delegato avesse ritualmente comunicato il rigetto delle istanze istruttorie, la (OMISSIS) s.r.l. si sarebbe potuta determinare al pagamento di quanto invocato dalla creditrice istante, avendone la liquidità necessaria, e solo successivamente agire per la ripetizione dell’indebito. Opinò, invece, la corte distrettuale che, nella specie, “la procedura risulta essere stata istruita nel pieno rispetto del principio del contraddittorio”, con l’esatta osservanza delle disposizioni normative riguardanti le modalità di rimessione della causa al collegio per la decisione; iii) giudicò sussistere l’insolvenza della debitrice/reclamante, argomentando diffusamente le ragioni di un siffatto convincimento.

2. Le formulate doglianze prospettano, rispettivamente:

I) “Art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ed art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5: violazione della L. Fall., art. 6 e art. 18 ed omesso esame del fatto decisivo per il giudizio: l’inesistenza delle forniture e, quindi, del credito; carenza di legittimazione dell’istanza Mag.Ma s.r.l. (oggi Mag.Ma s.p.a.)”. Si ascrive alla corte calabrese ed al tribunale di prime cure di aver omesso qualsiasi accertamento incidentale volto alla verifica della legittimazione della creditrice istante, in particolare affermandosi che “… La Corte di appello di Catanzaro, illogicamente ed erroneamente, non istruendo autonomamente il giudizio di reclamo, ma utilizzando esclusivamente le illegittime decisioni del GD, ha ritenuto, destituendo di fondamento le eccezioni e le deduzioni sollevate dalla difesa ricorrente, di non accertare incidentalmente l’esistenza del credito in capo alla Mag.Ma s.r.l.. Anzi, sulla falsa e contraddittoria considerazione che il credito fosse comprovato dall’esistenza degli assegni “pur se sottoscritti dal precedente amministratore” e vecchi di oltre cinque anni rispetto al ricorso per dichiarazione di fallimento, nonchè di documenti di trasporto privi di sottoscrizione e sulla scorta di una scheda stampa-mastrini priva di sottoscrizione e quindi di provenienza della stessa, la Corte di appello ha ritenuto sussistere la legittimazione della Mag. Ma s.r.l.”. Vengono, poi, indicate le circostanze, asseritamente decisive, il cui esame sarebbe stato omesso dalla corte predetta;

II) “Art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3: violazione e falsa applicazione degli artt. 24 e 111 Cost., della L. Fall., art. 15, nonchè artt. 737,134 e 135 c.p.c.”. Si ribadisce la doglianza, già sostenuta in sede di reclamo, circa la pretesa violazione del contraddittorio, per le ragioni ivi esposte, nel corso del procedimento prefallimentare, e si censurano le argomentazioni addotte dalla corte distrettuale per disattenderla;

III) “Art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ed art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5: per violazione e falsa applicazione della L. Fall., art. 5 e per omesso esame del fatto decisivo dell’esistenza di liquidità sufficiente a tacitare l’unico ricorrente”. Si critica la sentenza impugnata per non aver tenuto conto della circostanza, asseritamente decisiva, della presenza, sia al momento del deposito del ricorso di fallimento che a quello della sua decisione, di liquidità sufficiente a tacitare la Mag.Ma s.r.l. (oggi s.p.a.), unica istante per la dichiarazione di fallimento;

IV) “Art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3: violazione e falsa applicazione della L. Fall., art. 18”, laddove la corte di appello aveva istruito e deciso il giudizio volto alla revoca della sentenza di fallimento senza accertare se sussistevano, all’epoca della sua pronuncia, i presupposti per la dichiarazione dello stesso, in particolare quello dell’insolvenza, da intendersi come impossibilità di adempiere regolarmente le proprie obbligazioni.

3. Il primo motivo è complessivamente inammissibile.

3.1. Giova ricordare, infatti, che, in tema di iniziativa per la dichiarazione di fallimento, la L. Fall., art. 6, laddove stabilisce che il fallimento è dichiarato, fra l’altro, su istanza di uno o più creditori, non presuppone un definitivo accertamento del credito in sede giudiziale, nè l’esecutività del titolo, essendo viceversa a tal fine sufficiente un accertamento incidentale da parte del giudice, all’esclusivo scopo di verificare la legittimazione dell’istante (cfr., ex multis, Cass., SU, n. 1521 del 2013; Cass. n. 11421 del 2014; Cass. n. 576 del 2015; Cass. n. 30827 del 2018).

3.1.1. Detta norma, dunque, impone che l’iniziativa provenga dal debitore, da uno o più creditori o dal Pubblico Ministero, così prevedendosi l’iniziativa di parte, definita efficacemente in dottrina come “motore essenziale” del procedimento prefallimentare, e la giurisprudenza e la dottrina stessa si sono occupate della individuazione del soggetto cui fa riferimento la norma, quale “creditore”, senza alcuna specificazione ulteriore, e quindi come colui che vanta un credito nei confronti dell’imprenditore, non necessariamente certo, liquido, esigibile, ma anche non ancora scaduto o condizionale, non ancora munito di titolo esecutivo, sia pure idoneo, in prospettiva, a giustificare un’azione esecutiva (cfr. Cass. n. 16751 del 2013; Cass. n. 3472 del 2011), e che deve essere oggetto dell’imprescindibile delibazione incidentale del giudice fallimentare (cfr. Cass. n. 24309/2011; Cass., SU, n. 1521 del 2013) in quanto non esiste più l’iniziativa d’ufficio.

3.1.2. Ne consegue che le contestazioni pendenti sul credito non precludono la valutazione della sussistenza della legittimazione del creditore L. Fall., ex art. 6, alla stregua dell’accertamento incidentale che concluda positivamente per il riconoscimento non del credito in sè, ma della qualità di creditore, mentre il fatto che il credito debba, eventualmente, diversamente quantificarsi incide sulla valutazione dello stato di insolvenza.

3.2. Gli esposti principi sono stati affatto correttamente applicati, nella specie, dalla corte distrettuale, la quale ha esaustivamente dato conto (cfr. pag. 3-8 della sentenza impugnata) di tutti gli elementi dalla stessa ponderati al fine di giungere alla conclusione della sussistenza della legittimazione della creditrice istante Mag.Ma s.r.l. (oggi Mag.Ma s.p.a.).

3.3. Va poi ricordato che questa Corte ha, ancora recentemente (cfr. Cass. n. 27686 del 2018), chiarito che: a) il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 può rivestire la forma della violazione di legge (intesa come errata negazione o affermazione dell’esistenza o inesistenza di una norma, ovvero attribuzione alla stessa di un significato inappropriato) e della falsa applicazione di norme di diritto (intesa come sussunzione della fattispecie concreta in una disposizione non pertinente perchè, ove propriamente individuata ed interpretata, riferita ad altro, ovvero deduzione da una norma di conseguenze giuridiche che, in relazione alla fattispecie concreta, contraddicono la sua pur corretta interpretazione. Cfr. Cass. n. 8782 del 2005); b) non integra, invece, violazione di legge, nè falsa applicazione di norme di diritto, la denuncia di una erronea ricognizione della fattispecie concreta in funzione delle risultanze di causa, poichè essa si colloca al di fuori dell’ambito interpretativo ed applicativo della norma di legge; c) il discrimine tra violazione di legge in senso proprio (per erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa) ed erronea applicazione della legge (in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta) è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, diversamente dalla prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (cfr. Cass., Sez. U., n. 10313 del 2006; Cass. n. 195 del 2016; Cass. n. 26110 del 2015; Cass. n. 8315 del 2013; Cass. n. 16698 del 2010; Cass. n. 7394 del 2010); d) le doglianze attinenti non già all’erronea ricognizione della fattispecie astratta recata dalle norme di legge, bensì all’erronea ricognizione della fattispecie concreta alla luce delle risultanze di causa, ineriscono tipicamente alla valutazione del giudice di merito (cfr. Cass. n. 13238 del 2017; Cass. n. 26110 del 2015).

3.3.1. La censura in esame si risolve, invece, sostanzialmente, in parte qua, in una critica al complessivo accertamento fattuale operato dal giudice di merito, cui la ricorrente intenderebbe opporre, sotto la formale rubrica di violazione di legge o di vizio motivazionale, una propria diversa valutazione, totalmente obliterando, però, da un lato, che il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, – come si è appena detto – non può essere mediato dalla riconsiderazione delle risultanze istruttorie, ma deve essere dedotto, a pena di inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366 c.p.c., n. 4, non solo con la indicazione delle norme assuntivamente violate, ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intelligibili ed esaurienti intese a motivatamente dimostrare in quale modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendosi alla Corte regolatrice di adempiere al suo istituzionale compito di verificare il fondamento della lamentata violazione; dall’altro, che la nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come introdotta dal D.L. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012 (qui applicabile ratione temporis, risultando impugnata una sentenza pubblicata il 9 giugno 2015), ha avuto l’effetto di limitare notevolmente la rilevanza del vizio di motivazione, posto che oggetto del vizio di cui alla norma da ultimo citata è, oggi, esclusivamente l’omesso esame circa un “fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti”, e cioè: i) un vero e proprio “fatto”, in senso storico e normativo, ossia un fatto principale, ex art. 2697 c.c., cioè un “fatto” costitutivo, modificativo impeditivo o estintivo, o anche un fatto secondario, vale a dire un fatto dedotto ed affermato dalle parti in funzione di prova di un fatto principale (cfr. Cass. n. 16655 del 2011; Cass. n. 7983 del 2014; Cass. n. 17761 del 2016; Cass. n. 29883 del 2017); ii) un preciso accadimento ovvero una ben individuata circostanza da intendersi in senso storico-naturalistico (cfr. Cass. n. 21152 del 2014; Cass., SU, n. 5745 del 2015); iii) un dato materiale, un episodio fenomenico rilevante e le relative ricadute di esso in termini di diritto (cfr. Cass. n. 5133 del 2014); iv) una vicenda la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali (cfr. Cass., SU, n. 8053 del 2014). Non costituiscono, viceversa, “fatti”, il cui omesso esame possa cagionare il vizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, tra gli altri: a) le argomentazioni o deduzioni difensive (cfr. Cass., SU, n. 16303 del 2018, in motivazione; Cass. n. 14802 del 2017; Cass. n. 21152 del 2015); b) gli elementi istruttori in quanto tali, quando il fatto storico da essi rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti (cfr. Cass., SU, n. 8053 del 2014). Inoltre, il “fatto” il cui esame sia stato omesso deve avere carattere “decisivo”, vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia.

3.3.2. In applicazione di questi principi, allora, va rimarcato che la corte distrettuale – con una motivazione scevra da vizi logici, siccome basata sulla puntuale e dettagliata descrizione e ponderazione di indici concreti – è giunta alla conclusione che, nella specie, il quadro istruttorio desumibile dalla documentazione prodotta in atti, valutato in ciascun elemento e nel suo complesso, fosse idoneo a far ritenere raggiunta la prova della legittimazione, L. Fall., ex art. 6 come prima precisata, della Mag.Ma s.r.l. (oggi s.p.a.); nè potrebbe sostenersi, fondatamente, che l’argomentare del giudice del reclamo abbia trascurato alcuni dati dedotti dalla odierna ricorrente per la semplice ragione di averli ritenuti, esplicitamente o implicitamente, irrilevanti.

3.3.2.1. La corte calabrese, invero, ha ampiamente descritto (cfr. amplius, pag. 3-8 dell’impugnata sentenza) gli elementi istruttori che l’hanno indotta a quella conclusione, ed il corrispondente accertamento implica una valutazione fattuale, a fronte della quale la (OMISSIS) s.r.l., con il motivo in esame, tenta, sostanzialmente, di opporre alla ricostruzione definitivamente sancita nella decisione impugnata una propria alternativa interpretazione, sebbene sotto la formale rubrica di vizio motivazionale e/o di violazione di legge, mirando ad ottenerne una rivisitazione (e differente ricostruzione), in contrasto con il granitico orientamento di questa Corte per cui il ricorso per cassazione non rappresenta uno strumento per accedere ad un terzo grado di giudizio nel quale far valere la supposta ingiustizia della sentenza impugnata, spettando esclusivamente al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (cfr., ex multis, Cass. n. 27686 del 2018; Cass., Sez. U, n. 7931 del 2013; Cass. n. 14233 del 2015; Cass. n. 26860 del 2014).

3.3.2.2. Va, infine, sottolineato, da un lato, che le circostanze di cui oggi la ricorrente lamenta l’asserito omesso esame (cfr. pag. 10-11 del ricorso), lungi dall’essere, di per sè, “decisive”, nei sensi in precedenza ricordati, al più potrebbero rappresentare elementi indiziari da porre a fondamento di un ragionamento presuntivo volto a giungere a conclusioni magari diverse da quelle esposte dalla corte calabrese, così procedendosi, però, a valutazioni che, impingendo nel merito, sono inammissibili nel giudizio di legittimità; dall’altro, che il credito della MagMa s.r.l. (oggi s.p.a.) risulta essere stato comunque ammesso al passivo del fallimento della (OMISSIS) s.r.l., ergo, qualsivoglia contestazione sulla legittimazione L. Fall., ex art. 6 non ha ragion d’essere.

4. Il secondo motivo è inammissibile.

4.1. Invero, nel procedimento camerale concernente diritti o status non è ravvisabile, nell’attività svolta dal giudice delegato dal collegio, alcuna espropriazione dei poteri riservati a quest’ultimo (cfr. Cass. n. 11351 del 2004); in ogni caso, l’attività svolta su delega del collegio da parte di uno dei suoi componenti non si traduce automaticamente in un vizio di costituzione del giudice ai sensi dell’art. 158 c.p.c., con conseguente nullità assoluta della relativa pronuncia, occorrendo, a tal fine, la specifica deduzione, ed il positivo riscontro, che l’attività stessa abbia, in concreto, comportato l’esplicazione di funzioni, se non decisorie, certamente valutative, riservate dalla legge al collegio (cfr. Cass. n. 6426 del 2014; Cass. n. 12957 del 2011): in parte qua, dunque, il motivo è inammissibile perchè, in violazione del principio desumibile dal combinato disposto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3-6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, non indica le specifiche attività che sarebbero state compiute, innanzi al giudice delegato dal tribunale, nell’udienza tenutasi innanzi al primo, nè indica i mezzi istruttori ivi domandati (così da precludere a questa Corte qualsivoglia valutazione circa la loro effettiva decisività), nè prospetta ragioni adeguate che avrebbero dovuto indurre quel giudice (o il tribunale in sede collegiale) ad ascoltare il debitore “a seguito delle risultanze dell’istruttoria prefallimentare”.

4.2. A tanto deve soltanto aggiungersi, per mera completezza, che l’asserita perdita “del diritto di poter resistere alla domanda per dichiarazione di fallimento mediante il pagamento, salvo ripetizione, della pretesa creditoria” (cfr. pag. 17 del ricorso), lungi dal doversi imputare, come preteso dall’odierna ricorrente, al modus procedendi del giudice di prime cure, va, invece, evidentemente ricondotta ad un’autonoma scelta della fallenda, la quale, se del caso, ben avrebbe potuto darvi corso, ove effettivamente munita della necessaria liquidità, senza dover attendere gli esiti dell’istruttoria prefallimentare.

5. Il terzo ed il quarto motivo, da scrutinarsi congiuntamente perchè evidentemente connessi, si rivelano complessivamente inammissibili.

5.1. La legge fallimentare, invero, non prevede un requisito di manifestazione all’esterno dello stato di insolvenza, bensì degli indizi che ne costituiscono gli elementi sintomatici e sono apprezzabili dal giudice al fine della dimostrazione della sua sussistenza.

5.1.1. Più precisamente, l’insolvenza si identifica con uno stato di impotenza funzionale non transitoria a soddisfare, con regolarità, le obbligazioni inerenti all’impresa (cfr. Cass. n. 29913 del 2018) e si esprime, secondo una tipicità desumibile dai dati dell’esperienza economica, nell’incapacità di produrre beni o servizi con margine di redditività da destinare alla copertura delle esigenze di impresa (prima fra tutte l’estinzione dei debiti), nonchè nell’impossibilità di ricorrere al credito a condizioni normali, senza rovinose decurtazioni del patrimonio (cfr., ex multis, Cass. n. 6978 del 2019; Cass. n. 7252 del 2014; Cass. n. 3371 del 1977).

5.1.2. L’accertamento di una simile condizione si avvale dell’esistenza di fatti esteriori – quali inadempimenti o altre circostanze, con valore meramente indiziario e da apprezzarsi caso per caso – idonei a manifestare quello stato (cfr. Cass. n. 6978 del 2019; Cass. n. 19027 del 2013).

5.2. Di questi principi ha fatto corretta applicazione la corte catanzarese laddove ha ritenuto, con un apprezzamento di merito (peraltro esaustivamente motivato – cfr. pag. 9-20 della sentenza impugnata – con puntuali e precisi riferimenti agli elementi di valutazione utilizzati) non sindacabile in questa sede, la sussistenza dello stato di insolvenza della odierna ricorrente, avvalendosi (cfr. pag. 18-19 della medesima sentenza), peraltro legittimamente (cfr. Cass. n. 23437 del 2017), anche delle risultanze dello stato passivo medio tempore approvato.

5.2.1. Le censure in esame risultano, dunque, inammissibili risolvendosi, sostanzialmente, in una critica al complessivo accertamento fattuale operato dal giudice a quo, cui la ricorrente intenderebbe opporre, sotto la formale rubrica di vizio di violazione di legge, una diversa valutazione: ciò non è ammesso, però, nel giudizio di legittimità, che non può essere surrettiziamente trasformato in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi e, per ciò solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative (cfr. Cass. n. 21381 del 2006, nonchè la più recente Cass. n. 8758 del 2017).

6. Il ricorso, dunque, va dichiarato inammissibile, restando le spese di questo giudizio di legittimità regolate dal principio di soccombenza, e dandosi atto, altresì, – in assenza di ogni discrezionalità al riguardo (cfr. Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017), e giusta quanto recentemente precisato da Cass., SU, n. 23535 del 2019 – ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso, e condanna la (OMISSIS) s.r.l. al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida, in favore di ciascuna parte controricorrente, in Euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della medesima ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, giusta lo stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione prima civile della Corte Suprema di cassazione, il 22 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 21 novembre 2019

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