Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3045 del 11/02/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 3045 Anno 2014
Presidente: ROSELLI FEDERICO
Relatore: NOBILE VITTORIO

SENTENZA

sul ricorso 23376-2008 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. 97103880585, in persona
del legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso lo
studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la
rappresenta e difende, giusta delega in atti;
– ricorrente –

2014
89

contro

FIORE AMBRETTA C.F. frimrt72b43h5011, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA DOMENICO PURIFICATO 147,
presso lo studio dell’avvocato CARDILLI GIOVANNI, che

Data pubblicazione: 11/02/2014

la rappresenta e difende, giusta delega in atti;
M

– controricarrente
avverso

la

sentenza n.

4874/2007

della CORTE

D’APPELLO di ROMA, depositata il 02/10/2007 R.G.N.
5675/2005;

udienza del 09101/2014 dal Consigliere Dott. VITTORIO
NOBILE;
udito l’Avvocato MICELI MARIO per delega FIORILLO
LUIGI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ENNIO ATTILIO SEPE che ha concluso per
l’accoglimento per il rigetto del ricorso.

udite la relazione della causa svolta nella pubblica

R.G. 23376/2008
FATTO E DIRITTO

grt

Con sentenza in data 4-11-2003 il Giudice del lavoro del Tribunale di
Roma respingeva la domanda proposta da Ambretta Fiore nei confronti della

apposti ai contratti di lavoro intercorsi tra le parti dal 3-2-2000 al 29-2-2000 e
dal 1-7-2002 al 30-9-2002, con le pronunce consequenziali.
La Fiore proponeva appello avverso la detta sentenza, chiedendone la
riforma con l’accoglimento della domanda.
La società si costituiva e resisteva al gravame.
La Corte d’Appello di Roma, con sentenza depositata il 2-10-2007, in
riforma della pronuncia di primo grado, dichiarava che tra le parti sussisteva un
rapporto di lavoro a tempo indeterminato dal 3-2-2000 “ancora in atto” e
condannava la società al risarcimento del danno pari alle retribuzioni maturate
dal gennaio 2003 (data della costituzione in mora del debitore) fino al 30-92005 (scadenza del triennio dalla cessazione del secondo contratto) oltre
interessi legali.
Per la cassazione di tale sentenza la società ha proposto ricorso con quattro
motivi.
La Fiore ha resistito con controricorso.
Infine il Collegio ha autorizzato la motivazione semplificata.
Ciò posto, con il primo motivo la ricorrente in sostanza denuncia un vizio
di ultrapetizione, sostenendo che la lavoratrice né in primo né in secondo grado
“ha mai richiamato la limitata efficacia temporale dell’accordo del 25-9-97”,
limitandosi a dedurre la nullità dell’apposizione del termine al (primo) contratto
1

s.p.a. Poste Italiane, diretta ad ottenere la declaratoria di nullità dei termini

- concluso per “esigenze eccezionali” ex art. 8 ceni 1994 come integrato
dall’acc. 25-9-97 e succ. – sulla base della eccepita insussistenza delle dette

lou

esigenze eccezionali sottese alla sua assunzione. Il giudice di secondo grado,
quindi, avrebbe illegittimamente ampliato il tema di indagine ad una causa di

Il motivo è infondato.
Invero, il “thema decidendum” è stato sempre lo stesso, vale a dire
l’accertamento della legittimità o meno dell’apposizione del termine al contratto
oggetto di causa alla luce degli accordi collettivi richiamati dalle parti, ed in
specie degli accordi attuativi dell’accordo 25-9-97, dei quali, peraltro, la
società (onerata della prova della legittimità dell’apposizione del termine – v.
fra le altre Cass. 18-1-2013 n. 1222 -) ha sostenuto la natura meramente
ricognitiva, in uno con la asserita sostanziale perduranza delle “esigenze
eccezionali” richiamate.
Pertanto, la circostanza per effetto della quale la Corte d’appello ha fornito
una diversa interpretazione della valenza da attribuirsi al limite temporale del
30 aprile 1998 contenuto in quegli accordi, da leggere necessariamente nella
loro globalità (interpretazione che le ha consentito di pervenire alla decisione
di accoglimento della domanda) non rappresenta affatto un vizio di
ultrapetizione (cfr. Cass. 8-2-2012 n. 1842, Cass. 8-2-2012 n. 1845).
Con i motivi secondo e terzo la società censura poi (sotto i profili della
violazione di legge e del vizio di motivazione) la sentenza impugnata nella
parte in cui ha ritenuto la nullità del termine apposto al contratto in esame in
quanto stipulato (appunto per “esigenze eccezionali…”) oltre la scadenza
ultima fissata dagli accordi collettivi attuativi dell’acc. az. 25-9-1997 ed
2

nullità non tempestivamente dedotta dalla controparte.

all’uopo sostiene la insussistenza di tale scadenza e la natura meramente
ricognitiva dei detti accordi.

A

I motivi sono infondati in base all’indirizzo ormai consolidato in materia
dettato da questa Corte (con riferimento al sistema vigente anteriormente al

Al riguardo, sulla scia di Cass. S.U. 2-3-2006 n. 4588, è stato precisato
che “l’attribuzione alla contrattazione collettiva, ex art. 23 della legge n. 56 del
1987, del potere di definire nuovi casi di assunzione a termine rispetto a quelli
previsti dalla legge n. 230 del 1962, discende dall’intento del legislatore di
considerare l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato
del lavoro idonea garanzia per i lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro
diritti (con l’unico limite della predeterminazione della percentuale di
lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli impiegati a tempo
indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessità di individuare ipotesi
specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a
condizioni oggettive di lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di fissare
contrattualmente limiti temporali all’autorizzazione data al datore di lavoro di
procedere ad assunzioni a tempo determinato” (v. Cass. 4-8-2008 n. 21063, v.
anche Cass. 20-4-2006 n. 9245, Cass. 7-3-2005 n. 4862, Cass. 26-7-2004 n.
14011). “Ne risulta, quindi, una sorta di “delega in bianco” a favore dei
contratti collettivi e dei sindacati che ne sono destinatari, non essendo questi
vincolati alla individuazione di ipotesi comunque omologhe a quelle previste
dalla legge, ma dovendo operare sul medesimo piano della disciplina generale
in materia ed inserendosi nel sistema da questa delineato.” (v., fra le altre,
Cass. 4-8-2008 n. 21062, Cass. 23-8-2006 n. 18378).
3

ceni del 2001 ed al d.lgs. n. 368 del 2001).

In tale quadro, ove però, come nel caso di specie, un limite temporale sia

A

stato previsto dalle parti collettive (anche con accordi integrativi del contratto
collettivo) la sua inosservanza determina la nullità della clausola di apposizione
del termine (v. fra le altre Cass. 23-8-2006 n. 18383, Cass. 14-4-2005 n. 7745,

In particolare, quindi, come questa Corte ha costantemente affermato e
come va anche qui ribadito, “in materia di assunzioni a termine di dipendenti
postali, con l’accordo sindacale del 25 settembre 1997, integrativo dell’art. 8
del c.c.n.l. 26 novembre 1994, e con il successivo accordo attuativo,
sottoscritto in data 16 gennaio 1998, le parti hanno convenuto di riconoscere la
sussistenza della situazione straordinaria, relativa alla trasformazione giuridica
dell’ente ed alla conseguente ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli
assetti occupazionali in corso di attuazione, fino alla data del 30 aprile 1998;
ne consegue che deve escludersi la legittimità delle assunzioni a termine
cadute dopo il 30 aprile 1998, per carenza del presupposto normativo
derogatorio, con la ulteriore conseguenza della trasformazione degli stessi
contratti a tempo indeterminato, in forza dell’art. 1 della legge 18 aprile 1962
n. 230” (v., fra le altre, Cass. 1-10-2007 n. 20608; Cass. 28-11-2008 n. 28450;
Cass. 4-8-2008 n- 21062; Cass. 27-3-2008 n. 7979, Cass. 18378/2006 cit.).
In applicazione di tale principio vanno quindi respinti anche il secondo e il
terzo motivo.
Con il quarto motivo la società, denunciando violazione degli artt. 1217 e
1233 c.c., lamenta che la Corte di merito non avrebbe svolto alcuna verifica in
ordine alla effettiva messa in mora del datore di lavoro e non avrebbe tenuto
“conto della possibilità che il lavoratore abbia anche espletato attività
4

Cass. 14-2-2004 n. 2866).

lavorativa retribuita da terzi una volta cessato il rapporto di lavoro con la
società resistente”, disattendendo, peraltro, le richieste della società di ordine di
esibizione dei modelli 101 e 740 del lavoratore.
La ricorrente formula, quindi, il seguente quesito di diritto:

“Dica la

lavoratore — a seguito dell’accertamento giudiziale dell’illegittimità del
contratto a termine stipulato – ha diritto al pagamento delle retribuzioni
soltanto dalla data di riammissione in servizio, salvo che abbia costituito in
mora il datore di lavoro, offrendo espressamente la prestazione lavorativa nel
rispetto della disciplina di cui agli artt 1206 e segg. cod. civ. “. Tale quesito
risulta del tutto generico e non pertinente rispetto alla fattispecie concreta, in
quanto si risolve nella enunciazione in astratto delle regole vigenti nella
materia, senza enucleare il momento di conflitto rispetto ad esse del concreto
accertamento operato dai giudici di merito (in tal senso v. fra le altre Cass. 4-12011 n. 80).
Del resto, anche la esposizione del motivo risulta del tutto generica e priva
di autosufficienza in quanto si incentra nella doglianza circa la mancanza di
una verifica effettiva della messa in mora, senza che la ricorrente specifichi e
tanto meno riporti il contenuto dell’atto (del gennaio 2003) che, diversamente
da quanto ritenuto dalla Corte di merito, non avrebbe integrato una costituzione
in mora del debitore.
Del pari, per quanto concerne l’aliunde perceptum (in relazione al quale
manca del tutto il quesito), alcunché di specifico viene poi indicato dalla
ricorrente, laddove al riguardo era pur sempre necessaria una rituale
acquisizione della allegazione e della prova (pur non necessariamente
5

Suprema Corte se per il principio di corrispettività della prestazione, il

proveniente dal datore di lavoro in quanto oggetto di eccezione in senso lato cfr.. Cass. 16-5-2005 n. 10155, Cass. 20-6-2006 n. 14131, Cass. 10-8-2007 n.

ìA

17606, Cass. S.U. 3-2-1998 n. 1099 -).
Così risultato inammissibile il quarto motivo, riguardante le conseguenze

modo nel presente giudizio lo ius superveniens, rappresentato dall’art. 32,
commi 5°, 6° e 7° della legge 4 novembre 2010 n. 183.
Al riguardo, infatti, come questa Corte ha più volte affermato, in via di
principio, costituisce condizione necessaria per poter applicare nel giudizio di
legittimità lo ius superveniens che abbia introdotto, con efficacia retroattiva,
una nuova disciplina del rapporto controverso, il fatto che quest’ultima sia in
qualche modo pertinente rispetto alle questioni oggetto di censura nel ricorso,
in ragione della natura del controllo di legittimità, il cui perimetro è limitato
dagli specifici motivi di ricorso (cfr. Cass. 8 maggio 2006 n. 10547, Cass. 272-2004 n. 4070).
In tale contesto, è altresì necessario che il motivo di ricorso che investe,
anche indirettamente, il tema coinvolto dalla disciplina sopravvenuta, oltre ad
essere sussistente, sia altresì ammissibile secondo la disciplina sua propria (v.
fra le altre Cass. 4-1-2011 n. 80 cit.).
Orbene tale condizione non sussiste nella fattispecie.
Il ricorso va pertanto respinto e la ricorrente, in ragione della
soccombenza, va condannata al pagamento delle spese.
P.Q.M.

6

economiche della nullità del termine, neppure potrebbe incidere in qualche

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a pagare alla Fiore le
spese, liquidate in euro 100,00 per esborsi e euro 3.500,00 per compensi, oltre
accessori di legge.

Roma 9 gennaio 2014

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