Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3045 del 01/02/2022
Cassazione civile sez. VI, 01/02/2022, (ud. 16/11/2021, dep. 01/02/2022), n.3045
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 3
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –
Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –
Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –
Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –
Dott. GIAIME GUIZZA Stefano – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 7282-2021 proposto da:
R.R., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la
CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso
dall’Avvocato VINCENZA PIRRACCHIO;
– ricorrente –
contro
M.G., FONDIARIA SAI;
– intimati –
avverso la sentenza n. 1419/2020 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,
depositata il 30/07/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non
partecipata del 16/11/2021 dal Consigliere Relatore Dott. GIAIME
GUIZZI STEFANO.
Fatto
RITENUTO IN FATTO
– che R.R. ricorre, sulla base di tre motivi, per la cassazione della sentenza n. 1419/20, del 30 luglio 2020, della Corte di Appello di Catania, che – respingendone il gravame avverso la sentenza n. 710/17, dell’8 novembre 2017, del Tribunale di Caltagirone – ha rigettato la domanda di risarcimento dei danni proposta nei confronti di M.G. e della società Unipolsai Assicurazioni S.p.a. (già Fondiaria Sai S.p.a.), in relazione ad un sinistro stradale accorsogli in Vizzini il 17 febbraio 2005;
– che, in punto di fatto, l’odierno ricorrente – vittima di un sinistro stradale, in qualità di terzo trasportato su di una motocicletta, nelle circostanze di tempo e luogo sopra meglio precisate – conveniva in giudizio il proprietario (e conducente) del mezzo, nonché l’assicuratore per la “RCA”, ritenendo l’indennizzo da questa offertogli insufficiente a coprire il reale e totale danno biologico subito;
– che il giudice di prime cure, all’esito di istruttoria nel corso della quale veniva disposta una CTU medico-legale, rigettava la domanda; – che a tale esito esso perveniva sul rilievo che non fosse stata data prova di un danno incidente sulla capacità lavorativa dell’attore (che svolgeva l’attività di bracciante agricolo), essendosi accertato che le lesioni riportate dal R. non avevano impedito allo stesso di continuare a lavorare, negandosi, altresì, che il danno potesse essere liquidato in via equitativa, in carenza di allegazione e prova;
– che veniva, infine, rigettata anche la domanda relativa al risarcimento del danno morale, ritenuto non autonomamente risarcibile;
– che il gravame esperito dall’attore soccombente veniva rigettato;
– che avverso la sentenza della Corte etnea ricorre per cassazione il R., sulla base – come detto – di tre motivi;
– che il primo motivo formula – ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3), 4) e 5) – una pluralità di censure, denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 1223,1226,2056 e 2697 c.c., nonché degli artt. 137,138 e 139 cod. assicurazioni, nonché “error in procedendo” in relazione agli artt. 114,115 e 116 c.p.c., oltre ad “insuperabile illogicità della decisione e omissione di motivazione con violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4)” ed omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti;
– che si contesta sia la “errata valutazione della percentuale di danno”, non avendo il giudice di appello, in particolare, tenuto conto della necessità per esso R., risultante da certificati medici in atti, di avvalersi, per ancora 20 giorni, di due bastoni, sia l’affermazione della Corte etnea, secondo cui non sarebbe stata impugnata la valutazione dell’8% del grado di invalidità permanente;
– che il secondo motivo denuncia – ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3), 4) e 5) – violazione e falsa applicazione degli artt. 1223,1226,2056,2727 e 2697 c.c., nonché degli artt. 137,138 e 139 cod. assicurazioni, “error in procedendo” in relazione agli artt. 114,115 e 116 c.p.c., “insuperabile illogicità della decisione e omissione di motivazione con violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4”, nonché omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui, “con evidente travisamento e stravolgimento del contenuto della CTU”, ha negato l’incidenza negativa clan lesione, autonomamente apprezzabile e risarcibile, sulla capacità lavorativa di esso ricorrente;
– che il terzo motivo – ancora una volta ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3), 4) e 5) – denuncia sotto gli stessi profili (violazione e falsa applicazione degli artt. 1223,1226,2056,2727 e 2697 c.c., nonché degli artt. 137,138 e 139 cod. assicurazioni; “error in procedendo” in relazione agli artt. 114,115 e 116 c.p.c.; “insuperabile illogicità della decisione e omissione di motivazione con violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4”; omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti) la sentenza impugnata, nella parte in cui non ha riconosciuto il danno morale, quale danno “morfologicamente diverso da quello dinamico-relazionale”;
– che sono rimasti solo intimati il M. e la società Unipolsai Assicurazioni;
– che la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata ritualmente comunicata al ricorrente, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio per il 16 novembre 2021.
Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
– che il ricorso è inammissibile;
– che, secondo questo collegio, le considerazioni formulate nella proposta del consigliere relatore non risultano superate dai rilievi espressi nella memoria depositata dal ricorrente ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., comma 1;
– che, difatti, ciascuno dei motivi in cui si articola il ricorso è inammissibile;
– che, in via preliminare, deve darsi conto dell’inammissibilità di tutte le censure formulate – in ognuno dei tre motivi – sotto il profilo dell’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio;
– che, ai riguardo va, innanzitutto, segnalato che – essendo stato il gravame, esperito dall’odierno ricorrente, contro sentenza resa in prime cure in data 8 novembre 2017 – l’atto di appello risulta, per definizione, proposto con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione posteriormente all’11 settembre 2012;
– che siffatta circostanza determina l’applicazione “ratione temporis” dell’art. 348-ter c.p.c., u.c. (cfr. Cass. Sez. 5, sent. 18 settembre 2014, n. 26860, Rv. 633817-01; in senso conforme, Cass. Sez. 6-Lav., ord. 9 dicembre 2015, n. 24909, Rv. 638185-01, nonché Cass. Sez. 6-5, ord. 11 maggio 2018, n. 11439, Rv. 648075-01), norma che preclude, in un caso – qual è quello presente – di cd. “doppia conforme di merito”, la proposizione di motivi di ricorso per cassazione formulati ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), salvo che la parte ricorrente non soddisfi l’onere, ciò che nella specie non risulta avvenuto, “di indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse” (Cass. Sez. 1, sent. 22 dicembre 2016, n. 26774, Rv. 643244-03; Cass. Sez. Lay., sent. 6 agosto 2019, n. 20994, Rv. 654646-01);
– che tanto premesso su un piano generale l’inammissibilità sussiste in relazione alle diverse censure in cui si articola il primo motivo di ricorso;
– che deve qui ribadirsi come la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non possa essere prospettata con riferimento all’apprezzamento delle risultanze istruttorie, dal momento che la loro valutazione “non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) (che attribuisce rilievo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio), né in quello del precedente n. 4), disposizione che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4), – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante” (Cass. Sez. 3, sent. 10 giugno 2016, n. 11892, Rv. 640194-01; in senso conforme, tra le altre, in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. 30 ottobre 2017, n. 23940; Cass. Sez. 3, sent. 12 aprile 2017, n. 9356, Rv. 644001-01; Cass. Sez. 1, ord. 26 settembre 2018, n. 23153, Rv. 65093101; Cass. Sez. 3, ord. 30 ottobre 2018, li. 27458, Cass. Sez. 6-2, ord. 18 marzo 2019, n. 7618);
– che, in particolare, la violazione dell’art. 116 c.p.c., norma che sancisce il principio del libero apprezzamento della prova, stata circoscritta da questa Corte a due sole ipotesi, vale a dire, quella ravvisabile qualora “il giudice di merito disattenda tale principio in assenza di una deroga normativamente prevista, ovvero, all’opposto, valuti secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza probatoria soggetta ad un diverso regime” (Cass. Sez. 3, sent. 10 giugno 2016, n. 11892, Rv. 640193-01, nello stesso, più di recente, in motivazione, Cass. Sez. 6-2, ord. 18 marzo 2019, n. 7618, non massimata sul punto, nonché Cass. Sez. 6-3, ord. 31 agosto 2020, n. 18099, Rv 658840-09);
– che, del pari, la violazione dell’art. 115 c.p.c. – che sancisce il principio secondo cui il giudice decide “iuxta alligata et probam partium” – può essere dedotta come vizio di legittimità, oltre che nell’ipotesi scolastica in cui si denunci “che il giudice ha dichiarato espressamente di non dover osservare la regola contenuta nella norma”, anche quando “abbia giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli” (Cass. Sez. 3, sent. 10 giugno 2016, n. 11892, Rv. 640192-01);
– che inammissibile è pure la censura di violazione dell’art. 2697 c.c., “configurabile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni” (così, da ultimo, Cass. Sez. 3, ord. 29 maggio 2018, n. 13395, Rv. 649038-01; nello stesso senso già Cass. Sez. 3, sent. 17 giugno 2013, n. 15107, Rv. 626907-01);
– che l’inammissibilità, inoltre, va riconosciuta pure con riferimento al dedotto “error in iudicando”, ovvero all’ipotizzata violazione degli artt. 1223,1226,2727 e 2056 c.c., nonché degli artt. 137,138 e 139 cod. assicurazioni, se è vero che il vizio di violazione di legge “consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa e’, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità” (da ultimo, “ex multis”, Cass. Sez. 1, ord. 13 ottobre 2017, n. 2155, Rv. 645538-03; Cass. Sez. 1, ord. 14 gennaio 2019, n. 640, Rv. 652398-01; Cass. Sez. 1, ord. 5 febbraio 2019, n. 3340, Rv. 652549 -02), e ciò in quanto il vizio di sussunzione “postula che l’accertamento in fatto operato dal giudice di merito sin considerato fermo ed indiscusso, sicché è estranea alla denuncia del vizio di sussunzione ogni critica che investa la ricostruzione del fatto materiale, esclusivamente riservata al potere del giudice di merito” (Cass. Sez. 3, ord. 13 marzo 2018, n. 6035, Rv. 648414-01);
– che nei caso di specie, per contro, è proprio l’apprezzamento dei materiale istruttorio l’oggetto della censura formulata dalla ricorrente, donde l’inammissibilità della stessa, visto che il “discrimine tra l’ipotesi di violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione della fattispecie astratta normativa e l’ipotesi della erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta è segnato, in modo evidente, dai fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa” (così, in motivazione, Cass. Sez., Un., sent. 26 febbraio 2021, n. 5442, non massimata);
– che, d’altra parte, inammissibile – in quanto erroneamente prospettata “sub ipecie” di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) – è pure la censura che investe l’affermazione della Corte etnea secondo cui non sarebbe stata impugnata la valutazione dell’8% di invalidità permanente, e ciò perché la “omessa pronuncia su un motivo di appello integra la violazione dell’art. 112 c.p.c. e non già l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti, in quanto il motivo di gravame non costituisce un fatto principale o secondario, bensì la specifica domanda sottesa alla proposizione dell’appello, sicché, ove il vizio sia dedotto come violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), nel testo riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito, con modificazioni, in L. 7 agosto 2012, n. 134, il motivo deve essere dichiarato inammissibile” (Cass. Sez. 3, sent. 16 marzo 2017, n. 6835, Rv. 643679-01);
– che inammissibile è pure il secondo motivo di ricorso;
– che la censura, per vero, si sostanzia nel rilievo che lo stesso consulente – le cui conclusioni sarebbero state acriticamente recepite dal CTU – avrebbe ammesso di non aver valutato l’incidenza della lesione sulla capacità lavorativa, stante lo stato di disoccupazione del danneggiato, e ciò sebbene risultasse agli atti del giudizio che egli avesse svolto, invece, le attività di bracciante agricolo;
– che ribaditi, qui, i rilievi in precedenza illustrati, in relazione ai precedente motivo di ricorso, quanto alle censure di violazione delle norme di diritto sostanziale e processuale già sopra indicate, il motivo appare inammissibile anche sotto il profilo della denunciata carenza motivazionale;
– che, difatti, nella sentenza impugnata si afferma che, sebbene l’interessato avesse dichiarato al CTU di essere “disoccupato”, l’ausiliario del giudice “ha altresì precisato che “come attività egli si occupa prevalentemente di attività agricola o di carico come semplice operaio””, di talché il consulente, attraverso tale precisazione – che “altrimenti non avrebbe avuto senso inserire” – risulta aver “fatto riferimento”, nell’apprezzare l’incidenza della lesione sulla capacità lavorativa, “non allo stato di disoccupazione al momento della visita”, quanto “piuttosto alle attività lavorative sopra indicate”, sicché è con rifermento ad esse che “deve essere letta l’affermazione successiva, con la quale il CTU, considerato il quadro clinico come successivamente stabilizzatosi”, ha concluso che “il tutto non comporta effetti di rilievo sull’attività specifica svolta dal periziando”;
– che, pertanto, non ricorre alcuna carenza motivazionale;
– che sul punto, infatti, va rammentato che, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) – nel testo “novellato” dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134 (applicabile “ratione temporis” al presente giudizio) – il sindacato di questa Corte è destinato ad investire la parte motiva della sentenza solo entro il “minimo costituzionale” (cfr. Cass. Sez. Un., sent. 7 aprile 2014, n. 8053, Rv. 629830-01, nonché, “ex multis”, Cass. Sez. 3, ord. 20 novembre 2015, n. 23828, Rv. 637781-01; Cass. Sez. 3, sent. 5 luglio 2017, n. 16502, Rv. 637781-01; Cass. Sez. ord. 30 giugno 2020, n. 13248, Rv. 658088-01);
– che il difetto di motivazione e’, dunque, ipotizzabile solo nel caso in cui la parte motiva della sentenza risulti “meramente apparente”, evenienza configurabile, oltre che nell’ipotesi di carenza grafica” della stessa, quando essa, “benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento” (Cass. Sez. Un., sent. 3 novembre 2016, n. 22232, Rv. 611596-01, nonché, più di recente, Cass. Sez. 6-5, ord. 23 maggio 2019, n. 13977, Rv. 654145-0), o perché affetta da “irriducibile contraddittorietà” (cfr. Cass. Sez. 3, sent. 12 ottobre 2017, n. 23940, Rv. 645828-01; Cass. Sez. 6-3, ord. 25 settembre 9018, n. 99598, Rv. 650880-01), ovvero connotata da “affermazioni inconciliabili” (da ultimo, Cass. Sez. ord. 25 giugno 2018, n. 16111, Rv. 649628-01), mentre “resta irrilevante il semplice difetto di “sufficienza” della motivazione” (Cass. Sez. 2, ord. 13 agosto 2018, n. 20721, Rv. 65001801), ferma in ogni caso restando la necessità che il vizio “emerga immediatamente e direttamente dal testo della sentenza impugnata” (Cass. Sez. Un., sent. n. 8053 del 2014, cit.), vale a dire “prescindendo dal confronto con le risultanze processuali” (così, tra le molte, Cass. Sez. 1, ord. 20 giugno 2018, n. 20955, non massimata);
– che il terzo motivo, infine, è anch’esso inammissibile;
– che la censura non coglie la “ratio decidendz”, che non è l’affermazione relativa alla non configurabilità del danno morale come Istinto da quello biologico, ma la constatazione dell’assenza di quelle conseguenze “anomale o del tutto peculiari”, idonee a rendere “in concreto più grave” il danno alla persona e tali da giustificare il ristoro dello stesso oltre i limiti del pregiudizio “dinamico relazionale” in cui si identifica il danno alla salute;
– che pervenendo a tale conclusione la sentenza impugnata si è attenuta al principio – da essa espressamente richiamato – già affermato da questa Corte e secondo cui “costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione di una somma di denaro a titolo di risarcimento del danno biologico, e l’attribuzione di una ulteriore somma a titolo di risarcimento dei pregiudizi di cui è già espressione il grado percentuale di invalidità permanente (quali i pregiudizi alle attività quotidiane, personali e relazionali, indefettibilmente dipendenti dalla perdita anatomica o funzionale: ovvero il danno dinamico-relazionale)”, e ciò in quanto, “in presenza di un danno permanente alla salute, la misura standard del risarcimento prevista dalla legge o dal criterio equitativo uniforme adottato dagli organi giudiziari di merito (oggi secondo il sistema c.d. del punto variabile) può essere aumentata solo in presenza di conseguenze dannose del tutto anomale ed affatto peculiari”, giacché “la perduta possibilità di continuare a svolgere una qualsiasi attività, in conseguenza d’una lesione della salute, o costituisce una conseguenza “normale” del danno (cioè indefettibile per tutti i soggetti che abbiano patito una menomazione identica), ed allora sarà compensata con la liquidazione del danno biologico; ovvero è una conseguenza peculiare, ed allora dovrà essere risarcita, adeguatamente aumentando la stima del danno biologico (c.d. “personalizzazione”)” (così in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. 11 novembre 2019, n. 28988, Rv. 655964-01; in senso conforme, più di recente, Cass. Sez. 6-3, ordin. 4 marzo 2021, n. 5865, Rv. 660926-01);
– che, in conclusione, il ricorso è inammissibile;
– che essendo rimasti solo intimati il M. e la società Unipoisai Assicurazioni, nulla va disposto quanto alle spese del presente giudizio di legittimità;
– che in ragione della declaratoria di inaminissibilità del ricorso, va dato atto – ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicemb re 2012, n. 228, art. 1, comma 17 – della sussitenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto secondo un accertamento spettante all’amministrazione giudiziaria (Cass. Sez. Un., sent. 20 febbraio 2020, n. 4315, Rv. 657198-01), pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo, se dovuto, a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Depositato in Cancelleria il 1 febbraio 2022