Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30446 del 21/11/2019

Cassazione civile sez. I, 21/11/2019, (ud. 04/10/2019, dep. 21/11/2019), n.30446

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio – Presidente –

Dott. GENOVESE Francesco A. – rel. Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

Dott. MACRI’ Ubalda – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12862/2018 proposto da:

MA.VE.COS. società consortile a r.l. in Liquidazione, in persona del

liquidatore pro tempore, domiciliata in Roma, Piazza Cavour, presso

la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentata e

difesa dall’avvocato Operamolla Ugo, giusta procura in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

Fallimento D.R.L., in persona del curatore Dott.ssa

L.M., domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria

Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso

dall’avvocato Lotito Anna Grazia, giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 546/2018 della CORTE D’APPELLO di BARI,

pubblicata il 22/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

04/10/2019 dal Pres. Dott. GENOVESE FRANCESCO ANTONIO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1.- La Corte d’appello di Bari ha rigettato il gravame, proposto da MA.VE.COS. società consortile a r.l. contro il Fallimento D.R.L., avente ad oggetto la pronuncia resa dal Tribunale di Trani che aveva accolto la domanda giudiziale proposta dalla detta Curatela per ottenere la condanna della società al pagamento della somma di Euro 174.905,61, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali.

1.1. – A sostegno della domanda, la procedura aveva allegato l’esistenza di un credito di natura contrattuale nei confronti dell’appellante, versando in atti le fatture, regolarmente registrate, per l’attività di fornitura e posa in opera di materiale elettrico e speciale relativo ai lavori di costruzione della nuova sede del nucleo regionale di polizia tributaria di Bari commessi, all’impresa in bonis, da parte della società consortile.

1.2. – Il Tribunale, a seguito della riduzione della domanda da parte C. della Curatela, aveva accolto la domanda per una minor somma (Euro 149.905,61) e, per l’effetto, condannato la convenuta al pagamento di tale ridotta pretesa.

1.3. – Con atto di appello, MA.VE.COS. aveva premesso di aver pagato le fatture emesse dalla fallita impresa D.R., a mezzo di assegni bancari tratti dal proprio conto corrente acceso presso la BNL di (OMISSIS) e, indirettamente, anche per mezzo dell’impresa V.G. (che partecipava al capitale della società consortile).

1.4. – La Corte territoriale aveva però escluso che le fatture, e le note di credito, pure emesse dalla società appellante a comprova delle proprie allegazioni relative all’estinzione dei crediti pretesi dalla impresa fallita, in date apparentemente anteriori al dichiarato fallimento, potessero avere forza probatoria sia in difetto del requisito della certezza di data, ai sensi dell’art. 2704 c.c., sia con riguardo alla prova dei pagamenti verso l’impresa fallita, non potendosi desumere quelli dalla documentazione di propria provenienza, atteso che gli artt. 2709 e 2710 c.c., che conferiscono efficacia probatoria – nei rapporti tra imprenditori – ai libri ed alle altre scritture di unilaterale formazione, non trovavano applicazione nei confronti di un soggetto non avente tale qualità, quale il curatore del fallimento (per quanto di un’impresa).

1.5. – Inoltre, la società appellante non aveva affatto dimostrato la circostanza del conferimento, alla ditta V., del potere di rappresentarla nel compimento dell’atto estintivo, con la spendita del nome della mandante, così solo consentendosi la produzione degli effetti estintivi del pagamento nella sfera giuridica della società rappresentata.

2. – Contro tale decisione la MA.VE.COS. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, che sono stati illustrati anche con memoria.

3. – La Curatela ha resistito con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- Con il primo dei quattro mezzi la società lamenta la violazione e falsa applicazione del R.D. n. 267 del 1942, artt. 27, 30 e 43 e degli artt. 2704,2709 e 2710 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3) poichè il giudice di appello avrebbe trascurato che dal tipo di azione proposta discenderebbe che il curatore debba essere considerato nel processo come parte del rapporto sostanziale e non come terzo estraneo ad esso. Infatti, quando il curatore agisce come creditore, per ottenere il pagamento di una somma già dovuta al fallito, ossia non in sostituzione dei creditori (per la ricostruzione del patrimonio originario del soggetto fallito e quindi nella veste processuale di terzo), esercita un’azione appartenente al patrimonio del fallito stesso, collocandosi nella medesima sua posizione sostanziale e processuale e cioè sostituendosi alle ragioni del fallito con un’azione che questi, quando era in bonis, avrebbe potuto esercitare; così ponendosi nella sua stessa posizione sostanziale e processuale, cioè nella posizione che egli avrebbe avuto agendo per la tutela del suo diritto di credito (prima della procedura concorsuale ed indipendentemente dal dissesto verificatosi).

1.1.- La posizione sostanziale e processuale del curatore giustificherebbe l’applicazione degli artt. 2709 e 2710 c.c., sull’efficacia probatoria dei libri e delle altre scritture contabili contro l’imprenditore e tra imprenditori (al pari di quanto accade nei confronti del curatore che agisce come creditore, sostituendosi alle ragioni del fallito, ovvero come avente causa di quest’ultimo, e che pertanto si trova nella medesima posizione processuale e sostanziale del fallito).

2.- Con il secondo (violazione e falsa applicazione degli artt. 191 e segg. e art. 116 c.p.c., ex art. 360 c.p.c., n. 3) la ricorrente società lamenta che il giudice di merito abbia trascurato del tutto la CTU, non solo strumento di valutazione tecnica, ma anche di accertamento di una situazione di fatto: del fatto estintivo dell’obbligazione della società verso l’impresa (poichè rilevabile solo con il ricorso a specifiche cognizioni tecnico-contabili).

3.- Con il terzo (violazione e falsa applicazione degli artt. 1176 e segg., nonchè artt. 1387 c.c. e segg., ex art. 360 c.p.c., n. 3) la ricorrente si duole del fatto che la corte territoriale abbia trascurato il principio di diritto secondo cui l’adempimento s’inquadra nella categoria del fatto giuridico, inteso come accadimento (de facto vel de iure) cui l’ordinamento riconosce determinati effetti, o comunque qualifica come “atto giuridico in senso stretto” e precisamente come atto dovuto, non certo come un atto negoziale. Sì che da tale orizzonte concettuale dovrebbe escludersi il fenomeno della rappresentanza diretta posto che l’adempimento potrebbe essere eseguito da qualunque terzo, a prescindere dal conferimento del potere di rappresentanza.

4.- Con il quarto (violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., ex art. 360 c.p.c., n. 3) la ricorrente società si duole della mancata compensazione delle spese processuali, per la peculiarità della vicenda processuale e l’assenza di malafede nelle difese della società.

5.- Il ricorso è fondato e merita accoglimento.

5.1.- In particolare, merita accoglimento il primo motivo di ricorso, teso a censurare la sentenza impugnata nella parte in cui non ha correttamente applicato la regula iuris, da questa Corte più volte somministrata, secondo cui in tema di azioni proponibili dal curatore fallimentare, la posizione di tale organo, quando eserciti diritti già nel patrimonio del fallito, non equivale a quella di un terzo ma consiste nel subentro nella stessa posizione del fallito (Sez. 1, Sentenza n. 3020 del 2008).

5.1.1.- Infatti, allorchè agisca in giudizio per ottenere l’adempimento di un contratto stipulato dall’imprenditore prima del fallimento, il curatore non rappresenta la massa dei creditori, la quale pure si giova del risultato utile in tal modo perseguito, ma rappresenta il fallito, spossessato, nella cui posizione giuridica egli subentra, e dei cui diritti si avvale. Ne deriva che, in tal caso, il curatore non è terzo, e non può invocare l’inopponibilità ad esso delle pattuizioni prive di data certa, ex art. 2704 c.c., anteriore al fallimento (Sez. 1, Sentenza n. 9685 del 2004).

5.1.2.- La posizione del curatore fallimentare è differenziata, secondo che egli rappresenti gli interessi della collettività dei creditori ovvero eserciti diritti di spettanza del fallito nei confronti dei terzi: nel primo caso egli è terzo, nell’altro, come quando agisca per la riscossione di un credito del fallito, subentra nella medesima posizione di quest’ultimo, facendone valere i diritti così come in capo a quello esistevano e si configuravano (Sez. 1, Sentenza n. 8914 del 2003).

5.1.3.- Perciò, in un caso come questo nel quale il curatore del fallimento ha proposto – in primo grado – una domanda giudiziale di adempimento di un’obbligazione contratta dal terzo nei confronti dell’imprenditore in epoca antecedente al fallimento Egli non ha agito in sostituzione dei creditori al fine della ricostruzione del patrimonio originario del fallito (e, dunque, nella veste processuale di terzo), ma ha esercitato un’azione rinvenuta nel patrimonio del fallito stesso, ponendosi, conseguentemente, nella sua stessa posizione (sostanziale e) processuale, nella posizione, cioè, che avrebbe avuto il fallito agendo in proprio al fine di acquisire al suo patrimonio poste attive di sua spettanza già prima della dichiarazione di fallimento, ed indipendentemente dal dissesto successivamente verificatosi.

5.1.3.1.- Ne consegue che, evocato in giudizio dal curatore, il terzo convenuto poteva a questi legittimamente opporre tutte le eccezioni che avrebbe potuto opporre all’imprenditore fallito, comprese le prove documentali da questi provenienti, senza i limiti di cui agli artt. 2704 c.c. e segg. (in tale senso, il del tutto pertinente principio enunciato da Cass. Sez. 1, Sentenza n. 11904 del 1998) e senza che sia di ostacolo l’applicazione dell’art. 2709 c.c. – secondo cui i libri e le scritture contabili delle imprese soggette a registrazione fanno prova contro l’imprenditore – essendo egli subentrato nella medesima posizione processuale e sostanziale di quest’ultimo (in tale senso, Cass. Sez. 1, Sentenza n. 321 del 2013): principi di diritto che vengono qui richiamati per dargli ulteriore continuità prescrittiva.

5.2.- Ma merita altresì accoglimento il terzo motivo di ricorso, che si duole della sentenza impugnata nella parte in cui non ha correttamente applicato il principio della estinzione delle obbligazioni, anche da parte del terzo, indipendentemente dal conferimento di un potere di rappresentanza diretta, escludendo la portata estintiva dell’adempimento altrui in difetto della prova del negozio sottostante all’incarico solutorio.

5.2.1.- Stabilisce l’art. 1180 c.c., che l’obbligazione può essere adempiuta da un terzo, anche contro la volontà del creditore, in tutti i casi in cui è indifferente per costui che il pagamento sia fatto dal debitore o da un altro soggetto; ciò che accade in particolare per le prestazioni fungibili, come ad es. quella di corrispondere una somma di denaro.

5.2.2.- Questa Corte ha già avuto modo di affermare che, in ipotesi di estinzione dell’obbligazione per adempimento di un terzo, secondo la previsione dell’art. 1180 c.c. e cioè ad opera di un soggetto estraneo al rapporto che intervenga spontaneamente ed unilateralmente, in nome proprio e non in rappresentanza del debitore, il pagamento resta riferibile al terzo medesimo (al quale, pertanto, spetta l’azione di ripetizione di indebito oggettivo, ai sensi e nel concorso delle condizioni degli artt. 2033 c.c. e segg.): cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 4340 del 1980.

5.2.3.- Anche a tale principio di diritto deve essere data piena continuità e, dalla rinnovata enunciazione di esso consegue la cassazione della sentenza impugnata nella parte in cui ha preteso la prova del conferimento del potere di rappresentanza nell’affermato adempimento del terzo.

5.3.- I restanti due motivi (il secondo ed il quarto) sono assorbiti dall’accoglimento dei menzionati mezzi di cassazione.

6.- La causa va rinviata alla Corte d’appello di Bari che, in diversa composizione, deciderà della controversia alla luce dei principi di diritto sopra enunciati (p.p. 5.2.3.1.e 5.2.2.) e regolerà, di conseguenza, le spese anche di questo grado di giudizio.

P.Q.M.

Accoglie il primo ed il terzo motivo del ricorso, assorbiti il secondo ed il quarto, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese di questo grado di giudizio, avanti alla Corte d’appello di Bari, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 4 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 21 novembre 2019

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