Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30444 del 21/11/2019

Cassazione civile sez. I, 21/11/2019, (ud. 09/07/2019, dep. 21/11/2019), n.30444

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TIRELLI Francesco – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 19267/2018 proposto da:

F.A., elettivamente domiciliato in Roma, Via Pierluigi Da

Palestrina 63, presso lo studio dell’avvocato Contaldi Mario, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato Gallenca Giuseppe,

giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Città Metropolitana Torino, in persona del Sindaco Metropolitano pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via G. Antonelli 49,

presso lo studio dell’avvocato Colarizi Massimo, che la rappresenta

e difende, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2633/2017 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 11/12/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/07/2019 da Dott. DE MARZO GIUSEPPE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE

RENZIS LUISA, che ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato Giuseppe Gallenca per il ricorrente, che ha chiesto

l’accoglimento;

udito l’Avvocato Massimo Colarizi per il controricorrente, che ha

chiesto il rigetto.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza depositata in data 11 dicembre 2017 la Corte d’appello di Torino ha determinato l’indennità spettante ad Ecologic Group s.r.l. in 314.828,25 Euro e ad Al. (in realtà, A.) F. in 30.308,42 Euro e ha condannato la Città metropolitana di Torino al deposito presso la sezione provinciale del Ministero dell’Economia e delle Finanze della differenza tra le predette somme e quelle già depositate, oltre interessi legali dalla data di espropriazione al saldo.

2. Per quanto ancora rileva, la Corte territoriale ha osservato: a) che la richiesta di riunione del giudizio ad altro procedimento recante il n. 1154 del 2012 di R.G. non poteva essere accolta, dal momento che quest’ultimo era stato deciso con sentenza del 4 maggio 2015; b) che la sentenza del Consiglio di Stato depositata in data 11 agosto 2016 aveva escluso vizi procedimentali e confermato la legittimità del decreto di esproprio del 4 giugno 2014; b) che la stima era stata effettuata dal consulente avendo riguardo al momento della apposizione del vincolo preordinato all’esproprio, ossia alla data del 21 febbraio 2005; c) che le fotografie utilizzate dal consulente tecnico d’ufficio erano state tratte, nel contraddittorio delle parti, dalla pratica di condono edilizio proposto dai ricorrenti; d) che il consulente, constatata l’impossibilità di individuare atti di compravendita di immobili simili a quello da valutare, aveva fatto riferimento ai valori indicati sulle tabelle dei borsini immobiliari, opportunamente modificate per tener conto della tipologia edilizia, della vetustà, dello stato manutentivo, dell’ubicazione; e) che il consulente aveva quindi indicato i valori unitari per ciascun fabbricato, applicando dei coefficienti correttivi, mentre per l’area pertinenziale era stato individuato il prezzo agricolo di mercato coerente con la destinazione urbanistica precedente all’apposizione del vincolo espropriativo; f) che il consulente aveva infine determinato il costo di rimozione e smaltimento del manto di copertura e di demolizione dei fabbricati; g) che il consulente aveva determinato per comparazione il valore di stima, semplicemente non utilizzando il metodo di stima diretta; h) che i dati tratti dalle fotografie allegate alla pratica di condono edilizio non collidevano con il contenuto degli stati di consistenza, dai quali non si desumevano le condizioni dei manufatti; i) che nessuna contraddizione era dato rilevare nella determinazione del valore dei beni di proprietà F., dal momento che il valore di 32.480,18 Euro doveva essere depurato dei costi di rimozione e smaltimento della copertura ammalorata in eternit.

3. Avverso tale sentenza il solo F.A. (il quale osserva che il suo nome, per mero lapsus calami, era divenuto Al. nella sentenza impugnata) ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi, cui ha resistito con controricorso la Città metropolitana di Torino. Entrambe le parti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si lamenta violazione dell’art. 112 c.p.c., rilevando che la Provincia di Torino aveva determinato l’indennità di esproprio spettante al ricorrente in 56.495,76 Euro e non aveva formulato in giudizio alcuna domanda di riduzione della stessa, con la conseguenza che illegittimamente la Corte territoriale aveva individuato il minore importo di 30.308,42 Euro.

La doglianza è fondata.

Cass. 28 maggio 2012, n. 8442 ha osservato che, qualora sia intervenuta la stima definitiva della indennità d’esproprio, i poteri spettanti al giudice, chiamato a determinarne l’ammontare, incontrano un limite nell’operatività del principio della domanda, conseguente all’applicazione della L. n. 865 del 1971, art. 19, comma 2, il quale, imponendo ad entrambe le parti di proporre opposizione, ove intendano ottenere la liquidazione di un’indennità diversa da quella determinata dalla Commissione provinciale, comporta che, in assenza di siffatta iniziativa da parte dell’espropriante, è preclusa al giudice la determinazione di un’indennità inferiore a quella calcolata in sede amministrativa.

La sentenza appena citata ricorda che le Sezioni Unite di questa Corte, con la pronuncia 28 febbraio 2012, n. 2998, hanno ritenuto che, per effetto dell’opposizione alla stima dell’indennità di espropriazione (o di occupazione temporanea), il carattere vincolante della stima amministrativa viene meno sia per l’opponente che per l’opposto, in quanto destinata ad essere sostituita, rispetto a tutti, dalla determinazione del giudice; il quale, quindi, una volta investito della causa, deve procedere autonomamente alla liquidazione del quantum. Peraltro, oggetto del giudizio è pur sempre la congruità di detta stima e la sua conformità ai criteri di legge e questi principi devono essere coordinati con quello della domanda, per cui (a differenza di quel che accade nell’azione diretta alla determinazione giudiziale dell’indennità in mancanza di stima della Commissione), se quest’ultima è formulata soltanto dall’espropriato, l’opposizione può condurre a determinare un’indennità maggiore rispetto a quella calcolata in sede amministrativa, ma non può portare ad una somma inferiore a detta stima proprio per il difetto di una domanda all’uopo formulata dall’espropriante. E, qualora l’accertamento conduca ad un tal risultato, il giudice deve limitarsi a respingere la richiesta dell’espropriato, altrimenti incorrendo nel vizio di ultrapetizione.

Per determinare giudizialmente in minus la misura dell’indennità rispetto alla stima amministrativa della Commissione, è invece necessaria una specifica richiesta dell’espropriante che può essere posta con autonoma opposizione, come previsto dallo stesso art. 19; ovvero mediante domanda riconvenzionale avanzata nel giudizio iniziato dall’espropriato (per la quale non è dunque sufficiente la contestazione dei criteri indicati dall’espropriato per la determinazione della indennità, o la mera indicazione di diversi criteri), con conseguente osservanza delle forme e dei termini stabiliti per quest’ultima dall’art. 167 c.p.c., comma 2.

Le conclusioni appena indicate sono state confermate da Cass. 7 febbraio 2017, n. 3191 e i principi sottesi sono stati ribaditi, anche con riguardo al D.P.R. n. 327 del 2001, da Cass. 8 maggio 2019, n. 12049, sia pure con riguardo a vicenda concernente un’ipotesi di acquisizione sanante.

Nel caso di specie, risulta dal doc. 2 allegato al ricorso, che appunto era stata determinata l’indennità definitiva di esproprio.

2. Con il secondo motivo si lamenta violazione del D.P.R. n. 327 del 2001, artt. 38 e 48, art. 191 c.p.c. e seg., art. 2700 c.c., rilevando: a) che i criteri di stima adoperati dalla sentenza impugnata non tenevano conto della situazione edilizia dell’immobile, quale valorizzata dalla medesima decisione, e facevano riferimento a borsini immobiliari assolutamente silenti rispetto al caso, ricorrente nella specie, di impianti di depurazione, il cui valore non può essere apprezzato a metri quadri; b) che proprio l’incongruenza della stima rispetto a quanto valutato in sede amministrativa dalla Provincia di Torino rivelava la mancata rispondenza della valutazione a razionali criteri; c) che il silenzio emergente dai verbali di consistenza sulle criticità dell’impianto rivelava l’assenza di queste ultime.

La doglianza è inammissibile, in quanto, sebbene formalmente prospettata nei termini di una violazione di legge, si traduce, in realtà, nella critica della concreta valutazione estimativa operata dal giudice di merito, senza, tuttavia, che ricorrano i presupposti che delineano lo spettro applicativo del nuovo art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Come chiarito dalle Sezioni Unite di questa Corte, l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, così come novellato, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8053).

3. Con il terzo motivo si lamenta violazione di legge, in relazione all’art. 2909 c.c. e art. 327 c.p.c., alla luce dell’art. 295 c.p.c., rilevando che nè la sentenza n. 820 del 2015 della Corte d’appello di Torino, nè la decisione del Consiglio di Stato sopra ricordate erano passate in giudicato, con la conseguenza che, in assenza di trattazione unitaria, doveva farsi applicazione dell’art. 295 codice di rito.

Con riguardo al tema del rapporto con il giudizio amministrativo, si osserva che, con sentenza del 31 dicembre 2018, n. 33685, le Sezioni Unite di questa Corte hanno dichiarato inammissibile il ricorso ex art. 362 c.p.c., comma 2, n. 1, e in ogni caso ex art. 362 c.p.c., comma 1, e art. 111 Cost., con il quale la Ecologic Group s.r.l. e il F., prospettando il conflitto positivo di giurisdizione tra la sentenza resa dal Consiglio di Stato, della quale si dirà subito infra, e la sentenza della Corte d’appello di Torino n. 820/2015 (oggetto del ricorso R.G. n. 249/2016), avevano chiesto che la Corte, previa riunione col ricorso 249/2016, risolvesse il conflitto dichiarando la giurisdizione dei Giudice ordinario, annullando conseguentemente la sentenza del Consiglio di Stato n. 3618/2016 e accogliendo il ricorso R.G. n. 249/2016.

Ne discende che è divenuta irrevocabile la decisione con la quale il Consiglio di Stato ha rigettato il ricorso proposto dagli odierni ricorrenti e avente ad oggetto la Delib. provinciale 20 febbraio 2006 di approvazione definitiva dell’opera, comportante la dichiarazione di pubblica utilità e, con motivi aggiunti, le ulteriori determinazioni del procedimento espropriativo.

Quanto al tema del rapporto con altro giudizio civile, si osserva che esso è stato previamente definito nel corso della stessa udienza con la quale si è successivamente esaminato, secondo l’ordine di ruolo, il presente ricorso.

4. Con il quarto motivo si lamenta l’assoluta assenza di motivazione, in ordine alla dedotta impossibilità di emanazione del decreto di esproprio per effetto della previa completa realizzazione dell’opera pubblica programmata.

La doglianza è infondata.

A differenza di quanto dedotto dal ricorrente, la sentenza impugnata affronta il tema indicato. D’altra parte, va ribadito che quest’ultimo ha natura strettamente giuridica.

Ora, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, in tema di ricorso per cassazione, qualora il ricorrente prospetti un difetto di motivazione che non riguarda un punto di fatto, bensì un’astratta questione di diritto, il giudice di legittimità, peraltro investito, a norma dell’art. 384 c.p.c., del potere di integrare e correggere la motivazione della sentenza impugnata, è chiamato a valutare se la soluzione adottata dal giudice del merito sia oggettivamente conforme alla legge, piuttosto che a sindacarne la motivazione, con la conseguenza che anche l’eventuale mancanza di questa deve ritenersi del tutto irrilevante, quando il giudice del merito sia, comunque, pervenuto ad una esatta soluzione del problema giuridico sottoposto al suo esame (Cass. 28 maggio 2019, n. 14476).

Alla luce di tali premesse, si osserva che la soluzione raggiunta dalla Corte d’appello risulta rispondente al sistema giuridico, in quanto l’impossibilità dell’oggetto e l’assenza di causa possono essere configurate solo quando il bene oggetto della ablazione sia altrimenti divenuto di proprietà della p.a. e non per effetto, nel contesto della procedura espropriativa e degli effetti dell’occupazione d’urgenza, della anticipata realizzazione dell’opera pubblica su un’area che rimane nella titolarità del privato.

5. In conclusione, deve essere accolto il solo primo motivo di ricorso, con rigetto dei restanti.

P.Q.M.

Accoglie il primo motivo di ricorso, rigetta i restanti; cassa la sentenza in relazione al motivo accolto; rinvia alla Corte di appello di Torino, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 9 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 21 novembre 2019

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