Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30444 del 19/12/2017


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 30444 Anno 2017
Presidente: SCHIRO’ STEFANO
Relatore: LUCIOTTI LUCIO

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 15532/2016 R.G. proposto da

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,
rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la
quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12;
— ricorrente —
contro

CERETTI GIANNI, rappresentato e difeso dagli avvocati FRANCO
CREVATIN e FABRIZIO PERTICA ed elettivamente domiciliato presso
lo studio legale del secondo, in ROMA, via Antonio Musa, n. 12/A;
— controricorrente —

Data pubblicazione: 19/12/2017

avverso la sentenza n. 16/02/2016 della COMMISSIONE TRIBUTARIA
REGIONALE del FRIULI VENEZIA GIULIA, depositata il
25/01/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non
partecipata dell’8/11/2017 dal Consigliere Dott. Lucio LUCIOT11

1. In controversia relativa ad impugnazione di un avviso di
accertamento di maggiori redditi da partecipazione societaria emesso nei
confronti di Gianni Ceretti, quale socio della Paradise s.r.1., con
riferimento all’anno di imposta 2007, la Commissione tributaria regionale
del Friuli Venezia Giulia con la sentenza impugnata, in parziale
accoglimento dell’appello proposto dall’Agenzia delle entrate, riformava la
sentenza di primo grado che aveva annullato l’avviso di accertamento sulla
rilevata violazione del contraddittorio endoprocedimentale, ex art. 12,
comma 7, della legge n. 212 del 2000, e quindi, pronunciando nel merito,
annullava l’atto impositivo sostenendo che l’amministrazione finanziaria
non aveva fornito adeguata «prova di avvenuta ripartizione degli utili
societari, trattandosi di società di capitali»
2. Avverso tale statuizione ricorre per cassazione l’Agenzia delle
entrate sulla base di un unico motivo cui replica con controricorso
l’intimato.
3. Sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi dell’art. 380 bis cod.
proc. civ. (come modificato dal d.l. 31 agosto 2016, n. 168, convertito con
modificazioni dalla legge 25 ottobre 2016, n. 197) risulta regolarmente
costituito il contraddittorio.
4.

Il Collegio ha deliberato la redazione della motivazione

dell’ordinanza in forma semplificata.

2

RILEVATO che

CONSIDERATO che:
1.

Va preliminarmente rigettata l’eccezione

sollevata dal

controricorrente, di inammissibilità del ricorso dell’Agenzia delle entrate
per difetto del requisito dell’esposizione sommaria dei fatti di causa,
previsto dall’art. 366, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., perché

controricorrente

argomenta

l’eccezione

facendo

riferimento

all’esposizione dei motivi posti a base del ricorso (ovvero, al requisito di
cui al n. 4 della citata disposizione processuale), nell’esposizione “in fatto”
del ricorso è molto chiaramente rinvenibile quella sommaria informazione
sul fatto sostanziale e processuale richiesta dalla disposizione processuale
in esame, effettuata attraverso l’indicazione dei vari passaggi in cui si è
articolata la vicenda processuale.
2. Passando al motivo di ricorso, l’Agenzia delle entrate deduce la
violazione e falsa applicazione degli artt. 346, 112 cod. proc. civ. e 56 d.lgs.
n. 546 del 1992, sostenendo che la CTR, dopo aver correttamente accolto
il motivo di ricorso con cui l’amministrazione finanziaria aveva dedotto
l’inapplicabilità al caso di specie dell’art. 12, comma 7, della legge n. 212
del 2000, in tema di contraddittorio endoprocedimentale, vertendosi in
ipotesi di accertamenti “a tavolino”, aveva erroneamente pronunciato nel
merito, esaminando i motivi di ricorso proposti in primo grado dal
contribuente, nonostante questi avesse omesso di riproporli in grado di
appello.
3. Orbene, il Collegio ritiene che il motivo sia fondato e vada,
pertanto, accolto, in ciò disattendendo la proposta del relatore che ha
ritenuto sufficiente a soddisfare la specificità della riproposizione, da parte
dell’appellato, dei motivi di ricorso avverso l’atto impositivo non esaminati

3

palesemente infondata. Invero, anche a voler prescindere dal rilievo che il

dal giudice di primo grado (perché assorbiti da statuizione avente carattere
pregiudiziale), il mero richiamo a quanto esposto nel ricorso introduttivo.
3.1. Invero, «secondo consolidata giurisprudenza di questa corte, lo
scrutinio in appello delle questioni (domande o eccezioni che siano) non
accolte dalla sentenza di primo grado postula, ai sensi dell’art 56 del d.lgs.

un’espressa riformulazione che, sia pure per relationern, non può essere
ravvisabile nel generico richiamo del complessivo contenuto di atti della
precedente fase processuale. Non è sufficiente, dunque, ai fini della rituale
riproposizione di una questione, che deve essere effettuata in maniera
chiara e univoca, il generico quanto vacuo riferimento a tutte le difese e/o
alle argomentazioni difensive prospettate nel ricorso di primo grado» (cfr
Cass. n. 24267 del 2015 che richiama, tra le tante, Cass. n. 21506 del 2010,
n. 15641 del 2005, n. 4625 del 2003, n. 3653 del 2001; v. anche Cass. n.
25131 del 2016, p. 5.1, e n. 26830 del 2014, p. 2.2.1), come nel caso di
specie in cui l’appellata società si era limitata, nelle controdeduzioni
depositate in secondo grado (riprodotte per autosufficienza a pag. 3 del
ricorso), a premettere di ritenere «richiamati interamente i fatti e gli
argomenti esposti nel ricorso introduttivo del primo grado di giudizio»,

senza alcuna altra doverosa e necessaria specificazione dei motivi di
ricorso che aveva proposto, da ritenersi, quindi, rinunciati.
4. Da quanto detto consegue la cassazione dell’impugnata sentenza
senza rinvio al giudice di merito in quanto l’implicita rinuncia ai motivi
proposto con l’originario ricorso ne comporta il rigetto, senza necessità di
alcun accertamento in fatto.
5. Le spese dei giudizi di merito vanno compensate tra le parti, in
quanto la questione del contraddittorio endoprocedimentale è stata risolta
sulla base della pronuncia delle Sezioni unite di questa Corte (n. 24823 del

4

n. 546 del 1992, una “specifica” riproposizione di esse, vale a dire

2015) sopravvenuta alla proposizione dell’appello, mentre le spese del
giudizio di legittimità vanno poste a carico del controricorrente rimasto
soccombente nella misura liquidata in dispositivo.

P.Q.M.
accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel

pagamento, in favore della ricorrente, delle spese del giudizio di legittimità,
che liquida in Euro 4.100,00 per compensi, oltre al rimborso delle spese
prenotate a debito, compensando tra le parti le spese dei giudizi di merito.
Così deciso in Roma, 1’8/11/2017

merito, rigetta l’originario ricorso del contribuente che condanna al

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