Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30443 del 30/12/2011
Cassazione civile sez. VI, 30/12/2011, (ud. 12/12/2011, dep. 30/12/2011), n.30443
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 3
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PREDEN Roberto – Presidente –
Dott. AMENDOLA Adelaide – Consigliere –
Dott. GIACALONE Giovanni – Consigliere –
Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –
Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ordinanza
sul ricorso 26265/2010 proposto da:
T.P. (OMISSIS), T.S.
(OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA MARCELLO
PRESTINARI 15, presso lo studio dell’avvocato FUSILLO Antonio, che li
rappresenta e difende, giusta delega a margine del ricorso;
– ricorrenti –
contro
SOCIETA’ SETECOM SRL (OMISSIS) in persona del legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE
MAZZINI 123, presso lo studio dell’avvocato VOTANO Stefania, che la
rappresenta e difende, giusta delega a margine del controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1814/2010 della CORTE D’APPELLO di ROMA del
26.1.2010, depositata il 28/04/2010;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
12/12/2011 dal Consigliere Relatore Dott. GIUSEPPINA LUCIANA BARRECA.
E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. CARLO
DESTRO.
Fatto
PREMESSO IN FATTO
E’ stata depositata in cancelleria la seguente relazione:
“i due motivi di ricorso pongono questioni connesse e vanno esaminati congiuntamente, essendo peraltro preliminare l’esame del secondo;
con tale secondo motivo, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per violazione degli artt. 1224 e 1221 cod. civ., in relazione alla L. n. 392 del 1978, art. 31, perchè tale ultima norma contemplerebbe un debito di valuta, che, invece, i giudici d’appello avrebbero considerato come debito di valore, riconoscendo alla società odierna resistente il diritto alla rivalutazione ed agli interessi sulla somma liquidata ai sensi del citato art. 31;
il motivo è infondato: in proposito è sufficiente richiamare i precedenti di questa Corte che, pur essendo in parziale contrasto, quanto al fatto che sia necessario dare la prova del danno (ritenuta da Cass. n. 15037/2000) ovvero, al contrario, che esso si presuma e vada liquidato in via equitativa (salvo prova della sua precisa entità da parte del conduttore o prova contraria all’esistenza di danno da parte del locatore, secondo quanto ritenuto da Cass. n. 8520/2007, cui ha fatto seguito Cass. n. 9926/2010), sono tutti nel senso che la norma della L. n. 392 del 1978, art. 31, abbia comunque (anche) natura risarcitoria; più specificamente, si tratta di un danno da illecito contrattuale, per il cui risarcimento il legislatore ha fissato un limite massimo, coincidente con il pagamento di una somma non superiore a quarantotto mensilità dell’ultimo canone percepito; ne segue che, come è la regola in tema di risarcimento del danno per responsabilità, contrattuale od extracontrattuale, il debito è di valore, e va commisurato al danno subito, ovvero liquidato equitativamente (fatta salva, in tale secondo caso, la facoltà del giudice di inglobare in unica somma interessi e rivalutazione monetaria, ove anche per tali voci ricorrano le condizioni dell’art. 1226 cod. civ.: cfr. Cass. n. 9515/07; n. 28620/08);
quanto fin qui detto comporta il rigetto anche del primo motivo del ricorso, col quale è denunciato il vizio di ultrapetizione per avere il giudice d’appello riconosciuto rivalutazione ed interessi sulla somma liquidata a titolo di risarcimento del danno, malgrado fosse mancata la corrispondente domanda dell’appellante;
il principio di diritto da applicare è quello per il quale gli interessi sulla somma liquidata a titolo di risarcimento del danno da fatto illecito hanno fondamento e natura diversi da quelli moratori, regolati dall’art. 1224 cod. civ., in quanto sono rivolti a compensare il pregiudizio derivante al creditore dal ritardato conseguimento dell’equivalente pecuniario del danno subito, di cui costituiscono, quindi, una necessaria componente, al pari di quella rappresentata dalla somma attribuita a titolo di svalutazione monetaria, la quale non configura il risarcimento di un maggiore e diverso danno, ma soltanto una diversa espressione monetaria del danno medesimo (che, per rendere effettiva la reintegrazione patrimoniale del danneggiato, deve essere adeguata al mutato valore del denaro nel momento in cui è emanata la pronuncia giudiziale finale); con la conseguenza che nella domanda di risarcimento del danno per fatto illecito deve ritenersi implicitamente inclusa la richiesta di riconoscimento sia degli interessi compensativi sia del danno da svalutazione monetaria – quali componenti indispensabili del risarcimento, tra loro concorrenti attesa la diversità delle rispettive funzioni – e che il giudice di merito deve attribuire gli uni e l’altro anche se non espressamente richiesti, pure in grado di appello, senza per ciò solo incorrere in ultrapetizione (cosi Cass. n. 19636/05, confermata da S.U. n. 8520/07 e, da ultimo, da Cass. n. 9926/10)”.
La relazione è stata comunicata al pubblico ministero e notificata al difensore della parte.
Non sono state presentate conclusioni scritte; nè le parti hanno depositato memorie.
Diritto
RITENUTO IN DIRITTO
A seguito della discussione sul ricorso, tenuta nella camera di consiglio, il Collegio ha condiviso i motivi in fatto ed in diritto esposti nella relazione.
Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida, in favore della resistente, nella somma di Euro 1.400,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali, IVA e CPA come per legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 3, della Corte Suprema di Cassazione, il 12 dicembre 2011.
Depositato in Cancelleria il 30 dicembre 2011