Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30440 del 19/12/2017


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Civile Ord. Sez. L Num. 30440 Anno 2017
Presidente: D’ANTONIO ENRICA
Relatore: CAVALLARO LUIGI

ORDINANZA

sul ricorso 14369-2012 proposto da:
PIOVESAN ANDREA C.F. PVSNDR69D03G224D, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA NICOLO’ COVIELLO 47, presso
lo studio dell’avvocato ROSA RAUSO, rappresentato e
difeso dall’avvocato INNOCENZO MEGALI, giusta delega
in atti;
– ricorrente contro

2017

GEST LINE S.P.A.;
– intimata –

3617
nonchè contro

ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA

I.N.P.S.
SOCIALE

C.F.

80078750587,

in

persona

del

suo

Data pubblicazione: 19/12/2017

i \Presidente e legale rappresentante pro tempore, in
proprio e quale mandatario della S.C.C.I. S.P.A.
Società di Cartolarizzazione dei Crediti I.N.P.S.
C.F. 05870001004, elettivamente domiciliato in ROMA
VIA CESARE BECCARIA 29 presso l’Avvocatura Centrale

ANTONINO SGROI, CARLA D’ALOISIO, LELIO MARITATO,
giusta delega in calce al ricorso notificato;
– resistente –

avverso la sentenza n. 273/2011 della CORTE D’APPELLO
di VENEZIA, depositata il 28/06/2011 R.G.N. 162/2008.

dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati

RILEVATO IN FATTO
che, con sentenza depositata il 28.6.2011, la Corte d’appello di Venezia,
in riforma della pronuncia di primo grado, ha rigettato l’opposizione
proposta da Andrea Piovesan avverso la cartella esattoriale con cui gli
era stato ingiunto di pagare all’INPS somme per contributi omessi in

ritenuta invece lavoratrice sua dipendente;
che avverso tale statuizione ha proposto ricorso per cassazione Andrea
Piovesan, deducendo tre motivi di censura, illustrati con memoria;
che l’INPS ha depositato delega in calce al ricorso notificatogli, mentre la
società concessionaria dei servizi di riscossione è rimasta intimata;
CONSIDERATO IN DIRITTO
che, con il primo motivo, si denuncia omessa, insufficiente e
contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo, per
avere la Corte di merito ritenuto la sussistenza del vincolo di
subordinazione tra l’odierno ricorrente e la sua collaboratrice Barbara
Zugno nonostante fosse comprovata l’esistenza di rapporti affettivi tra le
parti, la presunta lavoratrice avesse libero accesso alla cassa del salone
per prelevare il proprio compenso, l’importo di quest’ultimo non
figurasse nella documentazione contabile dell’azienda, l’odierno
ricorrente si assentasse con frequenza dal salone per concomitanti
impegni professionali e i soggetti informati sui fatti di causa avessero
reso al riguardo dichiarazioni parzialmente confliggenti;
che, con il secondo motivo, si lamenta violazione e falsa applicazione
degli artt. 2094 e 2549 c.c. per avere la Corte territoriale ritenuto la
sussistenza di prove sufficienti a smentire la qualificazione in termini di
associazione in partecipazione che le parti avevano attribuito al loro
rapporto e a ravvisare, all’opposto, i presupposti della subordinazione;
che, con il terzo motivo, si denuncia la sentenza impugnata per aver
provveduto alla condanna dell’odierno ricorrente alle spese di lite e non
aver ravvisato i presupposti per la loro compensazione integrale in
considerazione del fatto che «il sorgere della controversia [era] da
addebitarsi solo ed esclusivamente ad un’iniziativa dell’Ente impositore
illegittima e immotivata» (così il ricorso per cassazione, pag. XVII);
che i primi due motivi possono esaminarsi congiuntamente, entrambi
involgendo – al di là della veste formale della rubrica – la congruità della

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danno di una collaboratrice formalmente associata in partecipazione e

motivazione offerta dalla Corte territoriale a sostegno dell’accertamento
relativo alla sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra il
ricorrente e la di lui (odierna) moglie, Barbara Zugno;
che costituisce orientamento consolidato di questa Corte il principio
secondo cui in tanto si può censurare una sentenza di merito di omessa,

decisivo ex art. 360 n. 5 c.p.c. (nel testo risultante dalla modifica
apportata dall’art. 2, d.lgs. n. 40/2006, e anteriore alla novella di cui
all’art. 54, dl. n. 83/2012, conv. con I. n. 134/2012) in quanto il fatto
su cui la motivazione è stata omessa o è stata resa in modo insufficiente
o contraddittorio sia autonomamente decisivo, ossia potenzialmente tale
da portare la controversia ad una soluzione diversa, l’indagine di questa
Corte dovendo spingersi fino a stabilire se in concreto sussista codesta
sua efficacia potenziale (cfr. da ult. Cass. n. 7916 del 2017);
che nella specie parte ricorrente non ha addotto alcun fatto la cui
considerazione da parte del giudice avrebbe di per sé condotto ad un
diverso e a sé favorevole giudizio, limitandosi a evidenziare circostanze
meramente indiziarie (ricordate supra, nell’esposizione del contenuto dei
motivi) che non potrebbero non essere valutate comparativamente con
le altre che la Corte territoriale ha valorizzato ai fini del decidere (ciò
che, peraltro, la Corte ha puntualmente fatto, ancorché pervenendo a
risultati non condivisi da parte ricorrente);
che, anche prima della modifica apportata all’art. 360 n. 5 c.p.c. dall’art.
54, d.l. n. 83/2012, cit., la censura di vizio di motivazione non può
essere volta a far valere la rispondenza della ricostruzione dei fatti
operata dal giudice del merito al diverso convincimento soggettivo della
parte, né per suo tramite si può proporre un preteso migliore e più
appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti, atteso che tali
aspetti del giudizio, interni all’ambito della discrezionalità di valutazione
degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti, attengono al
libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi del percorso
formativo di tale convincimento (cfr. da ult. ancora Cass. n. 7916 del
2017, cit.);
che l’inammissibilità dei primi due motivi di censura determina
l’assorbimento del terzo, dal momento che – in disparte il principio
secondo cui, in tema di compensazione delle spese di causa, il sindacato

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insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e

di legittimità è limitato ad accertare che non risulti violato il canone che
vieta di porle a carico della parte totalmente vittoriosa, esulandovi la
valutazione dell’opportunità di compensarle in tutto o in parte, che
rientra nel potere discrezionale del giudice di merito (cfr. da ult. Cass. n.
8421 del 2017) – non può logicamente convenirsi con l’assunto di parte

dell’Ente impositore illegittima e immotivata»;
che il ricorso, conclusivamente, va rigettato, provvedendosi come da
dispositivo sulle spese del giudizio di legittimità, che seguono la
soccombenza;
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle
spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in C 1.200,00, di cui C
1.000,00 per compensi, oltre spese generali in misura pari al 15% e
accessori di legge.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale del 21.9.2017.

ricorrente secondo cui ci si troverebbe in presenza di «un’iniziativa

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