Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3044 del 01/02/2022

Cassazione civile sez. VI, 01/02/2022, (ud. 16/11/2021, dep. 01/02/2022), n.3044

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. GIAIME GUIZZA Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7275-2021 proposto da:

L.A.M., in proprio e quale avente causa da

L.G., M.S., C.M., S.P., nella

qualità di erede del Sig. Sa.Pi., P.P.,

D.V.A., nella qualità di erede doli Sig. D.V.G.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA G. B. MARTINI 2, presso lo

studio dell’Avvocato CLEMENTE BELLECCA, che li rappresenta e

difende;

– ricorrenti –

contro

A.B.C. – ACQUA BENE COMUNE NAPOLI – AZIENDA SPECIALE, in persona del

legale rappresentante pro tempore, domiciliata in ROMA, PIAZZA

CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE,

rappresentata e difesa dall’Avvocato MARIA CRISTINA PORCELLI;

– controricorrente –

e contro

REGIONE CAMPANIA, in persona del legale rappresentante pro tempore,

domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE

di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’Avvocato ANNA CARBONE;

– controricorrente –

e contro

HYDROGEST CAMPANIA SPA in persona del legale rappresentante pro

tempore, domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA

della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’Avvocato

ANTONELLA ARDITO;

– controricorrente –

e contro

COMUNE di NAPOLI;

– intimato –

avverso la sentenza n. 8753/2020 del TRIBUNALE di NAPOLI, depositata

il 21/12/2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 16/11/2021 dal Consigliere Relatore Dott. GIAIME

GUIZZI STEFANO.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO

– che L.A.M., M.S., C.M., S.P., P.P. e D.V.A. ricorrono, sulla base di quattro motivi, per la cassazione della sentenza n. 8753/20, del 21 dicembre 2020, del Tribunale di Napoli che – accogliendo il gravame esperito da A.B.C. Napoli Acqua Bene Comune (d’ora in poi, “ABC” o “Azienda”) avverso la sentenza n. 6476/17, del 27 febbraio 2017, del Giudice di pace di Napoli – ha rigettato la domanda con cui gli odierni ricorrenti, tutti utenti del servizio idrico somministrato nel Comune di Napoli, hanno chiesto accertarsi la non debenza, e dunque il recupero, della quota della tariffa del servizio corrisposta per depurazione acque;

– che, in punto di fatto, gli odierni ricorrenti riferiscono di aver adito l’autorità giudiziaria sul presupposto che la Corte costituzionale, con sentenza n. 335 del 10 ottobre 2008, aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale della L. 5 gennaio 1994, n. 36, art. 14, comma 1, nonché del D.Lgs. n. 3 aprile 2006, n. 152, art. 155, comma 1, nella parte in cui prevedevano che tale quota della tariffa del servizio idrico fosse dovuta anche nel caso in cui manchino impianti di depurazion o questi siano temporaneamente inattivi”;

– che detta declaratoria di illegittimità costituzionale era stata motivata dal Giudice delle legg sul rilievo che, nell’ipotesi suddetta, l’obbligo di pagamento risultava non correlato ad alcuna controprestazione;

– che radicato, pertanto, contro ABC – con la quale i predetti utenti avevano concluso il contratto di somministrazione – e il Comune di Napoli il giudizio per conseguire la restituzione di detta quota, e ciò sul presupposto del difetto di funzionamento del depuratore di Cuma, l’Azienda veniva autorizzata a proporre domanda di manleva verso la Regione Campania, proprietaria del depuratore, la

costituitasi in in giudizio, chiamava in causa, a propria volta, la società incaricata della gestione dello stesso, Hydrogest Campania S.p.a. (d’ora in poi, “Hydrogest”);

– che l’adito giudicante accoglieva la domanda proposta dagli utenti contro ABC, rigettando, invece, la richiesta di quest’ultima di essere manlevata dalla Regione Campania;

– che esperito gravame dalla soccombente, il giudice di appello lo accoglieva, riformando la sentenza di prime cure, sul rilievo che il depuratore di Cuma funziona, ma funziona male”, di talché, visto che “l’impianto di depurazione in questione esisteva ed era in esercizio”, si doveva concludere che “non di inadempimento ma di inesatto adempimento si trattava”, gravando sull’attore, nel lamentare “che tale prestazione venisse resa in maniera insoddisfacente”, un onere di allegazione, nella specie, non adempiuto;

– che avverso la sentenza del Tribunale partenopeo ricorrono per cassazione i già attori, sulla base – come detto – di quattro motivi;

– che il primo motivo formula – ai sensi dei art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3), 4) e 5) – una pluralità di censure, denunciando, innanzitutto, violazione e falsa applicazione degli artt. 163,318,320,183 e 112 c.p.c., nonché degli artt. 1362,1363,1366 e 1371 c.c., oltre che degli artt. 115 e 116 c.p.c., contestando l’asserito carattere generico ed esplorativo della domanda e la sua pretesa nullità, nonché l’asserita circostanza che fosse pacifico e non contestato in atti che l’impianto di depurazione delle acque in questione esisteva e fosse in esercizio, che l’adempimento della prestazione di ABC risultase, pertanto, provata e che si trattasse, quindi, non di inadempimento, ma di inesatto adempimento;

– che si denuncia, inoltre, motivazione meramente apparente, manifestamente inadeguata, illogica abnorme, incoerente, insanabilmente contraddittoria e viziata da palese ed obiettivo travisamento della valutazione e interpretazione degli atti del processo, della condotta processuale, delle difese e delle istanze degli odierni ricorrenti, oltre a violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e del criterio di vicinanza della prova;

– che il secondo motivo articola anch’esso – sempre ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3), 4) e 5) – una pluralità di censure, denunciando, innanzitutto, violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e del criterio della vicinanza della prova, oltre a violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., dell’art. 132 c.p.c., degli artt. 2727 e 2729 c.c., nonché degli artt. 228 e 232 c.p.c.;

– che, parimenti, è denunciato omesso, incoerente e/o abnorme esame di fatti, circostanze e accertamenti decisivi per n giudizio, oggetto di discussione tra le parti, nonché, in ogni caso, motivazione meramente apparente, manifestamente inadeguata, abnorme, obiettivamente mancante e incoerente sui piano del processo logico e fuori dei limiti del razionale e del plausibile in ordine all’operata inversione dell’onere della prova e del criterio di diritto vivente della vicinanza della prova, quanto alla dedotta totale ed assoluta inefficienza dell’impianto evidenziata dai ricorrenti e alla relativa prova contraria e alla non corretta, falsa illegittima ed abnorme valutazione del materiale probatorio e degli elementi indiziari acquisiti in atti al riguardo;

– che si denuncia, sempre con lo stesso motivo, omesso e/o incoerente e/o abnorme esame dei fatti, circostanze ed elementi decisivi per la risoluzione della controversia che vanno in senso diametralmente opposto a quello pretesamente accertato e dichiarato nella sentenza impugnata, nonché abnorme, incoerente, illegittima valutazione, ai fini dell’impugnata decisione, di fatti, circostanze, documenti ininfluenti e non rilevanti, anche per disposizione di legge, in luogo dei pertinenti elementi e dati tecnici allegati, ed eventualmente anche a disporsi, in quanto non appartenenti alla scienza privata del giudice;

– che il terzo motivo denuncia – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – violazione e falsa applicazione della L. 5 gennaio 1994, n. 36, art. 14, comma 1, n. 1), come modificato dalla L. 31 luglio 2002, n. 179, del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 155, comma 1, primo periodo, nel testo e nella rilettura operata con la sentenza della Corte costituzionale n. 335 del 2008 e dei criteri di interpretazione di applicazione della norma, conseguenti e relativi, adottati dalla Corte di Cassazione in chiave di intervento nomofilattico, riguardante l’interpretazione dei termini giuridici della fattispecie astratta recata dalla detta (riveduta) disciplina normativa e del tessuto delle norme che disciplinano la materia, costituente diritto vivente;

– che si censura la sentenza impugnata in ordine alla pretesa e dichiarata inapplicabilità, in astratto, della disciplina normativa suddetta, laddove esime gli utenti del servizio idrico del pagamento della quota di tariffa riferita al servizio di depurazione nel caso, ritenuto dal Tribunale, di impianti di depurazione esistenti a malfunzionanti perché affetti da una serie di criticità e deficienze gravi e in violazione della normativa vigente;

– che con il quarto motivo si denuncia – ai sensi dell’art. 360, comma 1, nn. 3), 4) e 5), c.p.c. – violazione e falsa applicazione della L. 5 gennaio 1994, n. 36, art. 14, comma 1, n. 1), come modificato dalla L. 31 luglio 2002, n. 179, del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 155, comma 1, primo periodo, nel testo e nella rilettura operata con la sentenza della Corte costituzionale n. 335 del 2008 e dei criteri di interpretazione di applicazione della norma, conseguenti e relativi, adottati dalla Corte di Cassazione in chiave di intervento nomofilattico, riguardante l’interpretazione dei termini giuridici della fattispecie astratta recata

dalla detta (riveduta) disciplina normativa e dei tessuto delle norme che disciplinano la materia, costituente diritto vivente, nonché violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e degli artt. 1218, 1453, 1455 e 1181 c.c.;

– che le censure suddette sono formulate in relazione alla pretesa e ritenuta inapplicabilità di principio della norma che esenta gli utenti da pagamento della quota di tariffa per il servizio di depurazione delle acque nel caso, ritenuto dal Tribunale, di impianti malfunzionanti e affetti da una serie di criticità e di inefficienze gravi, nonché in relazione all’omessa pronuncia del Tribunale sulla domanda dei deducenti, una volta ritenuta l’inapplicabilità del principio di cui innanzi, sulla base delle disposizioni codicistiche di cui agli artt. 1218,1453,1455, e 1181 c.c.;

– che hanno resistito, con distinti controricorsi, ABC, la Regione Campania e la società Hydrogest, chiedendo che l’avversaria impugnazione sia dichiarata inammissibile e comunque rigettata;

– che è rimasto solo intimato il Comune di Napoli;

– che la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata ritualmente comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio per il 16 novembre 2021;

– che hanno presentato memoria le controricorrente.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

– che il ricorso va accolto, per quanto di ragione;

– che secondo questo collegio le considerazioni formulate nella proposta del consigliere relatore non risultano superate dai rilievi espressi nelle memorie depositate dalle controricorrenti ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., comma 1;

– che, in via preliminare, le censure proposte dagli utenti del servizio idrico – quantunque i motivi di ricorso siano formulati unificando più profili di doglianza – risultano ammissibili;

– che “il fatto che un singolo motivo sia articolato in più profili di doglianza, ciascuno dei quali avrebbe potuto essere prospettato come un autonomo motivo, non costituisce, di per sé, ragione d’inammissibilità dell’impugnazione, dovendosi ritenere sufficiente, ai fini dell’ammissibilità del ricorso, che la sua formulazione permetta di cogliere con chiarezza le doglianze prospettate onde consentirne, se necessario, l’esame separato esattamente negli stessi termini in cui lo si sarebbe potuto fare se esse fossero state articolate in motivi diversi, singolarmente numerati” (così Cass. Sez. Un., sent. 6 maggio 2015, n. 9100, Rv. 635452-01; in senso sostanzialmente analogo, sebbene “a contrario”, si veda anche Cass. Sez. 3, ord. 17 marzo 2017, n. 7009, Rv. 63681-01);

– che tale evenienza ricorre, appunto, nel caso in esame, essendo enucleabili censure che attengono ad un cattivo apprezzamento di elementi istruttori, a vizi motivazionali, alla errata ripartizione degli oneri probatori in relazione alla erogazione della prestazione contrattuale relativa alla depurazione delle acque, nell’ambito del contratto di somministrazione intercorrente tra ABC e gli utenti del servizio idrico;

– che queste ultime censure, in particolare, sono fondate, nella misura in cui lamentano che la sentenza impugnata ha sovrapposto, impropriamente, l’onere di allegazione (nella specie, soddisfatto, avendo la parte attrice allegato la circostanza del cattivo funzionamento del depuratore tale da comportare la mancata fruizione del servizio) e l’onere di prova dell’esattezza dell’adempimento della prestazione della depurazione acque, anch’esso, ai pari di quello dell’avvenuto adempimento, a carico del debitore;

– che, invero, va dato seguito al principio – già affermato da questa Corte – secondo cui, nel giudizio finalizzato alla restituzione del D.L. 30 dicembre 2008, n. 208, ex art. 8-sexies, convertito con modificazioni dalla L. 27 febbraio 2009, n. 13, della somma pagata a titolo di canone per la depurazione delle acque (quale parte del complessivo corrispettivo dovuto per il servizio idrico), “l’onere della prova circa il funzionamento dell’impianto di depurazione e gli oneri derivanti dalle attività di progettazione, realizzazione o completamento del medesimo impianto incombe, ai sensi dell’art. 2697 c.c., comma 2, sul convenuto, quale gestore del suddetto servizio e debitore della corrispondente prestazione nei confronti degli utenti, trattandosi di fatti impeditivi della pretesa restitutoria” (da ultimo, Cass. Sez. 3, sent. 12 giugno 2020, n. 11270, Rv. 658152-01; nello stesso senso, quale pronuncia capofila, Cass. Sez. 3, sent. 11 febbraio 2020, n. 3311, Rv. 656891-03);

– che, difatti, anche nella presente materia trova applicazione il “principio generale quello secondo cui il creditore di una prestazione contrattuale – nella specie, l’utente del servizio idrico – “deve provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi poi ad allegare la circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre al debitore convenuto spetta la prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento” (da ultimo, tra le molte, Cass. Sez, sent. 11 gennaio 2015, n. 826, Rv. 634361-01)” (così, testualmente, tra le altre, Cass. Sez. 3, sent. 11 febbraio 2020, n. 3314, Rv. 656891-03; nello stesso senso, “ex multis”, Cass. Sez. 3, sent. 15 giugno 2020, n. 11586 del 2020, non massimata);

– che pertanto, costituisce principio non nuovo, “proprio con riferimento specifico alla presente fattispecie”, e al quale va dato continuità, quello secondo cui, “configurandosi la tariffa del servizio idrico integrato, in tutte le sue componenti, come il corrispettivo di una prestazione commerciale complessa, è il soggetto esercente detto servizio, il quale pretenda il pagamento anche degli oneri relativi al servizio di depurazione delle acque reflue domestiche, ad essere tenuto a dimostrare l’esistenza di un impianto di depurazione funzionante nel periodo oggetto della fatturazione, in relazione al quale esso pretenda la riscossione” (Cass. Sez. 3, sent. n. 3692 del 2020, cit.; nello stesso già Cass. Sez. 3, sent. n. 14042 del 2013, cit.);

– che, diversamente da quanto sostenuto – in particolare – da ABC nella propria memoria ex art. 380-bis, comma 2, c.p.c., non si tratta qui di valutare l’apprezzamento della prova, operato dal giudice di appello, bensì di accertare l’errata ripartizione che esso ha fatto, tra le parti, degli oneri di allegazione e prova, evenienza idonea ad integrare violazione dell’art. 2697 c.c.;

– che, difatti, la violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c., censurabile per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), è configurabile “nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni” (così Cass. Sez. 3, ord. 29 maggio 2018, n. 13395, Rv. 649038-01; in senso conforme Cass. Sez. 63, ord, 31 agosto 2020, n, 18092, Rv, 658840-01);

– che la sentenza impugnata, pertanto, va cassata per guanto di ragione, rinviando al Tribunale di Napoli, in persona di diverso giudice, per la decisione nel merito, nel rispetto del principi di diritto dianzi enunciati, oltre che per la liquidazione delle spese anche del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie la sentenza per guanto di ragione e cassa la sentenza impugnata, rinviando al Tribunale di Napoli, in persona di diverso giudice, per la decisione nel merito, oltre che sulle spese anche dei presente giudizio.

Depositato in Cancelleria il 1 febbraio 2022

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