Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30424 del 19/12/2017


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Civile Ord. Sez. L Num. 30424 Anno 2017
Presidente: NOBILE VITTORIO
Relatore: VALLE CRISTIANO

ORDINANZA

sul ricorso 10266-2013 proposto da:
POSTE ITALIANE C.F. S.P.A. 97103880585, in persona
del legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, P.ZA MAZZINI 27, presso lo
studio dell’Avvocato SALVATORE TRIFIROI, che la
rappresenta e difende, giusta delega in atti;
– ricorrente contro
2017
3392

CHESSA ANTONELLA STEFANIA, elettivamente domiciliata
in ROMA, VIALE BRUNO BUOZZI 36, presso lo studio
dell’Avvocato ROBERTO AFELTRA, che la rappresenta e
difende unitamente all’Avvocato LUIGI ZEZZA, giusta
delega in atti;

Data pubblicazione: 19/12/2017

- controricorrent

avverso la sentenza n. 489/2012 della CORTE D’APPELLO

di MILANO, depositata il 05/09/2012 R.G.N. 1783/2010;

Udita la relazione della causa svolta, nella camera di consiglio non
partecipata del 20 luglio 2017, dal consigliere relatore Cristiano Valle;
rilevato che:
la Corte di appello di Milano, con sentenza non definitiva pubblicata il 16
aprile 2012, in accoglimento del ricorso proposto da Antonella Stefania
Chessa ed in riforma della pronuncia del locale tribunale, ha dichiarato

a tempo indeterminato dal 2 aprile 2007, ordinato alla detta società di
riammettere in servizio la ricorrente con condanna al risarcimento dei
danni da liquidarsi nel prosieguo del giudizio;
con sentenza definitiva, pubblicata il 5 settembre 2012, ha condannato
Poste italiane s.p.a. a corrispondere alla lavoratrice l’indennità di cui
all’art. 32 della I. n. 183 del 2010 in misura pari a dodici mensilità
dell’ultima retribuzione globale di fatto, oltre accessori di cui all’art. 429,
comma 3, c.p.c. dalla data di cessazione del rapporto e condanna alla
rifusione delle spese del doppio grado del giudizio;
avverso dette sentenze ha proposto ricorso per cassazione Poste italiane
s.p.a., censurandole con plurimi motivi di cui il primo relativo alla
prospettata cessazione della materia del contendere in ordine al
ripristino del rapporto, in quanto la Chessa, invitata a rientrare sul posto
di lavoro, a seguito di ottemperanza della società all’ordine di
riammissione, non si è presentata, venendo quindi licenziata; il secondo
ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. in relazione all’art. 2, comma
1 bis, d.lgs. n. 368 del 2001; il terzo, il quarto, il quinto ed il sesto per
violazione dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. in relazione all’art. 2,
comma 1 bis, d.lgs. n. 368 del 2001 nonché per mancata applicazione
dell’art. 1, comma 43, della I. n. 247 del 2007 e dell’art. 5, comma 4
bis, del d.lgs. n. 368 del 2001 e dell’art. 1, comma 43, lett b) della I. n.
247 del 2007 ed altresì per violazione e falsa applicazione dell’art. 1419
c.c. in relazione all’art. 1 del d.lgs. n. 368 del 2001; gli ultimi due ai
sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 e 5, c.p.c. in relazione all’art. 32 della
I. n. 183 del 2010;
3

che tra la Chessa e Poste italiane s.p.a. sussisteva un rapporto di lavoro

Antonella Stefania Chessa si è difesa con controricorso;
entrambe le parti hanno depositato memorie;
i motivi dal secondo al quinto, che sono i primi in ordine logico, possono
essere trattati congiuntamente, stante la loro stretta connessione;
essi sono fondati;
la Corte di appello ha ritenuto che la stipulazione, dopo un primo

del 2001 , dal 21-9- al 31.10.2006 (il terzo della serie, giacché i primi
due, per ragioni sostitutive, erano stati ritenuti legittimi), di un ulteriore
contratto sempre ai sensi dell’art. 2, comma 1 bis, cit., dal 2-4 al 30-62007, comportasse la illegittimità della apposizione del termine, con
conseguente instaurazione di un rapporto a tempo indeterminato;
le Sezioni Unite di questa Corte con sentenza n. 11374 del 2016 hanno
stabilito che “le assunzioni a tempo determinato, effettuate da imprese
concessionarie di servizi nel settore delle poste, che presentino i requisiti
specificati dal comma 1 bis dell’art. 2 del d.lgs. n. 368 del 2001, non
necessitano anche dell’indicazione delle ragioni di carattere tecnico,
produttivo, organizzativo o sostitutivo ai sensi del comma 1 dell’art. 1
del medesimo d.lgs., trattandosi di ambito nel quale la valutazione sulla
sussistenza della giustificazione è stata operata ex ante direttamente dal
legislatore” ed hanno altresì precisato che “in tema di rapporti di lavoro
nel settore delle poste, la stipula in successione tra loro di contratti a
tempo determinato nel rispetto della disciplina di cui al d.lgs. n. 368 del
2001, e successive integrazioni, applicabile “ratione temporis”, è
legittima, dovendosi ritenere la normativa nazionale interna non in
contrasto con la clausola n. 5 dell’Accordo Quadro, recepito nella
Direttiva n. 1999/70/CE, atteso che l’ordinamento italiano e, in ispecie,
l’art. 5 del d.lgs. n. 368 cit., come integrato dall’art. 1, commi 40 e 43,
della I. n. 247 del 2007, impone di considerare tutti i contratti a termine
stipulati tra le parti, a prescindere dai periodi di interruzione tra essi
intercorrenti, inglobandoli nel calcolo della durata massima (36 mesi),

contratto a termine ai sensi dell’art. 2, comma 1 bis, del d.lgs. n. 368

la cui violazione comporta la trasformazione a tempo indeterminato del
rapporto”;
nel caso di specie la sentenza impugnata che, nel considerare illegittimo,
per contrasto con la Direttiva europea, il secondo contratto a termine,
concluso ex art. 2, comma 1 bis, cit., non si è attenuta a tali principi, va
cassata, in accoglimento dei motivi dal secondo al quinto, assorbiti i

che provvederà attenendosi ai detti principi, esaminando altresì la
legittimità o meno degli ulteriori successivi contratti a termine, non
esaminati nella sentenza impugnata, e statuendo anche sulle spese del
presente giudizio di legittimità;
infine, stante l’accoglimento del ricorso deve darsi atto dell’insussistenza
dei presupposti, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d. P.R. n. 115
del 2002, per il versamento da parte ricorrente dell’ulteriore importo a
titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma
del comma 1 bis dello stesso art. 13.
P.Q.M.
La Corte così provvede: accoglie il ricorso con riferimento ai motivi dal
secondo al quinto, assorbiti i restanti, cassa la sentenza impugnata in
relazione ai motivi accolti e rinvia la causa alla Corte di appello di Milano,
CL44,2.t.,

in diversa composizione, che provvederàvsulle spese;
ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d. P.R. n. 115 del 2002, dà atto

restati, con rinvio alla Corte di appello di Milano in diversa composizione,

della non sussistenza dei presupposti per il versamento da parte delku,d e,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto
per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte di Cassazione,
Il presidente
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sezione IV lavoro, in data 20 luglio 2017.

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