Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30422 del 30/12/2011
Cassazione civile sez. trib., 30/12/2011, (ud. 13/12/2011, dep. 30/12/2011), n.30422
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PARMEGGIANI Carlo – Presidente –
Dott. IACOBELLIS Marcello – Consigliere –
Dott. GRECO Antonio – Consigliere –
Dott. CIRILLO Ettore – Consigliere –
Dott. CARACCIOLO Giuseppe – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ordinanza
sul ricorso 11556/2010 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE (OMISSIS), in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,
presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e
difende ope legis;
– ricorrente –
contro
IMPIANTI GENERALI S.R.L. (OMISSIS), in persona del legale
rappresentante e liquidatore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
AURELIA 325, presso lo studio dell’Avvocato DI GIOVANNI NICOLETTA,
rappresentata e difesa dall’Avvocato DI CARLO Fabrizio, giusta delega
a margine del controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 125/10/2009 della COMMISSIONE TRIBUTARIA
REGIONALE di L’AQUILA – SEZIONE STACCATA di PESCARA del 25/02/2009,
depositata il 16/04/2009;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
13/12/2011 dal Consigliere Relatore Dott. GIUSEPPE CARACCIOLO;
è presente il P.G. in persona del Dott. FEDERICO SORRENTINO.
La Corte, ritenuto che, ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ.,
è stata depositata in cancelleria la seguente relazione: il relatore
Cons. Dott. Giuseppe Caracciolo, letti gli atti depositati:
Fatto
OSSERVA
L’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale di L’Aquila – sez. staccata di Pescara 125/10/2009, depositata il 16.04.2009, con la quale – in controversia concernente impugnazione di avviso di accertamento per IRPEG-ILOR relative all’anno 1997, emanato sul presupposto che la società non fosse operativa e che perciò dovessero essere recuperati a tassazione i costi esposti in dichiarazione, siccome non inerenti, oltre all’IVA portata in detrazione – è stato respinto l’appello dell’Agenzia avverso la decisione di primo grado che aveva accolto il ricorso in impugnazione.
La decisione di secondo grado è motivata nel senso che apparivano inconsistenti gli elementi sui quali l’Ufficio ha fondato il provvedimento accertativo, anche alla luce del fatto che era risultato che la contribuente aveva assunto circa cinquanta unità lavorative nell’arco temporale di riferimento e che dalla nella perizia commissionata nel parallelo processo penale era risultato che la esistenza di due società tra loro collegate non aveva determinato alcun vantaggio economico ai fini del pagamento delle imposte.
L’Agenzia ha proposto ricorso affidandolo a due motivi.
La società contribuente ha resistito con controricorso.
Il ricorso – ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., assegnato allo scrivente relatore – può essere definito ai sensi dell’art. 375 c.p.c..
Infatti, i motivi di ricorso (rubricato sia sub specie di violazione di legge sia sub specie di vizio di motivazione) sono tutti affetti da ragioni di inammissibilità, pregiudiziale tra le quali quella del difetto di un idoneo quesito di diritto o momento di sintesi.
Quanto al primo motivo (rubricato come: “Violazione art. 295 c.p.c., art. 360 c.p.c., n. 4”) esso consiste – sostanzialmente – nel solo quesito di diritto il quale è formulato come una petizione di principio circa il dovere del giudice tributario di sospendere il giudizio in presenza di altre controversie analoghe a quella sub judice e relative a diverso periodo di imposta, senza che sia identificata la norma che siffatto dovere impone, se non con generico richiamo all’art. 295 c.p.c., e senza che sia identificata la ragione della pregiudizialità logica e giuridica che dovrebbe imporne l’applicazione. Il quesito in parola appare perciò carente dei requisiti prescritti, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, dall’art. 366 bis c.p.c., rivelandosi generico (siccome improntato ad un dubbio interpretativo astratto), privo di riferimento alla fattispecie concreta e del tutto inidoneo a consentire di intendere quale sia la questione concretamente oggetto di controversia.
Quanto al secondo motivo (rubricato come: “art. 360 c.p.c., n. 5.
Illogicità della motivazione”) esso si manifesta a sua volta inammissibile siccome vi si identifica come fatto decisivo, ai fini della sussistenza del vizio motivazionale, la questione dell’inerenza dei costi, ciò che – in realtà – fatto non è, ma valutazione tipica delle competenze del giudicante di merito, cui è attribuito il compito di scegliere tra le molte opzioni, la più adatta soluzione della questione esaminata, attraverso l’autonoma valutazione delle risultanze degli atti di causa.
Pertanto, si ritiene che il ricorso possa essere deciso in camera di consiglio per inammissibilità.
Roma, 15 luglio 2011.
che la relazione è stata comunicata al pubblico ministero e notificata agli avvocati delle parti;
che la parte ricorrente ha depositato memoria illustrativa;
che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, condivide i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione e, pertanto, il ricorso va rigettato;
che le spese di lite vanno regolate secondo la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente a rifondere le spese di lite di questo grado, liquidate in Euro 3.500,00 oltre accessori di legge ed oltre Euro 100,00 per esborsi.
Così deciso in Roma, il 21 dicembre 2011.
Depositato in Cancelleria il 30 dicembre 2011