Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30422 del 21/11/2019

Cassazione civile sez. lav., 21/11/2019, (ud. 25/09/2019, dep. 21/11/2019), n.30422

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – rel. Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 292-2014 proposto da:

A.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEL VIMINALE 38

presso il SI.NA.DI., rappresentato e difeso dagli avvocati ANTONIO

BRANCACCIO, SALVATORE CRISCI;

– ricorrente –

contro

AZIENDA SANITARIA LOCALE SALERNO, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

ALESSANDRIA 208, presso lo studio dell’avvocato MASSIMILIANO

CARDARELLI, rappresentata e difesa dagli avvocati GENNARO SASSO,

EMMA TORTORA, VALERIO CASILLI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 783/2013 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 18/06/2013 R.G.N. 1348/2011.

Fatto

RILEVATO

che con sentenza in data 18 giugno 2013 la Corte d’appello di Salerno accoglie l’appello della ASL Salerno avverso la sentenza n. 820/2011 del Tribunale di Vallo della Lucania – di accoglimento della domanda proposta dal dirigente medico A.C. al fine di ottenere la condanna della suddetta AUSL al pagamento delle differenze retributive maturate da ottobre 2004 ad ottobre 2009 per lo svolgimento delle mansioni di responsabile di struttura complessa; detratto quanto percepito ex art. 18, comma 7, del CCNL di settore 1998-2001, a titolo di indennità di sostituzione – e, per l’effetto, rigetta il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado;

che la Corte territoriale, per quel che qui interessa, precisa che:

a) la più recente giurisprudenza della Corte di cassazione porta a rivedere l’orientamento in precedenza seguito e quindi ad affermare che il preteso diritto dell’ A. non abbia fondamento giuridico nè sotto l’aspetto contrattuale nè per il restante aspetto normativo;

b) il D.Lgs. n. 165 del 2001 ha rimesso alla contrattazione collettiva di settore la disciplina del trattamento economico dei dirigenti, ivi compreso il trattamento “accessorio”, spettante nel caso di conferimento temporaneo di mansioni diverse da quelle di appartenenza;

c) la contrattazione, nella specie, ha previsto che al dirigente assegnato temporaneamente a mansioni diverse o di grado superiore compete soltanto il trattamento economico di posizione corrispondente alle funzioni effettivamente svolte;

d) del resto, la sostituzione nell’incarico di dirigente medico del SSN, ai sensi dell’art. 18 del CCNL Dirigenza medica e veterinaria dell’8 giugno 2000, non si configura come svolgimento di mansioni superiori poichè avviene nell’ambito del ruolo e del livello unico della dirigenza sanitaria, sicchè non trova applicazione l’art. 2103 c.c. e al sostituto non spetta il trattamento accessorio del sostituito, ma solo la prevista indennità di sostituzione, senza che rilevi, in senso contrario, la prosecuzione dell’incarico oltre il termine di sei mesi (o di dodici, se prorogato) per l’espletamento della procedura per la copertura del posto vacante, dovendosi considerare adeguatamente remunerativa l’indennità sostitutiva specificamente prevista dalla disciplina collettiva e, quindi, inapplicabile l’art. 36 Cost.;

e) d’altra parte nè il contratto prevede le spettanze rivendicate (che competono solo al titolare prescelto a seguito di apposita selezione), nè può configurarsi automaticamente un danno per l’interessato che anzi riceve dei vantaggi sia in termini economici sia dal punto di vista dell’esperienza professionale;

f) infine va osservato che in realtà l’ A. vorrebbe che si consentisse l’occupazione di un posto di responsabile di struttura complessa senza selezione pubblica aperta ad esterni e senza gli stringenti vincoli di responsabilità previsti per il titolare, con la corresponsione del trattamento stabilito per quest’ultimo e ciò rappresenterebbe una patente violazione della normativa in materia;

che avverso tale sentenza A.C. propone ricorso, illustrato da memoria, affidato a due motivi, al quale oppone difese I’ASL Salerno, con controricorso;

che la causa, originariamente per l’udienza in camera di consiglio della Sezione Sesta dell’11 maggio 2016, veniva ivi rimessa a questa Sezione Lavoro.

Diritto

CONSIDERATO

che il ricorso è articolato in due motivi;

che con il primo motivo si denuncia inammissibilità dell’appello della ASL Salerno, per decorso del termine previsto dall’art. 325 c.p.c., comma 1 rilevandosi che la sentenza di primo grado è stata notificata all’ASL in data 11 agosto 2011, mentre l’appello dell’Azienda è stato depositato il 12 settembre 2011, quindi nel trentunesimo giorno successivo all’anzidetta notifica e, pertanto, dopo il decorso del termine di trenta giorni previsto;

che con il secondo motivo si denunciano: a) violazione ed erronea applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52 (in relazione agli artt. 3,24,35 e 36 Cost.) e dell’art. 2126 c.c.; b) insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio;

che si sottolinea che l’ A. ha svolto per sei anni l’incarico di responsabile di struttura complessa in virtù di una delibera del Direttore generale dell’ASL, pertanto data la lunga durata dell’incarico la sua situazione non può essere configurata come “sostituzione”, ma come “reggenza” cui non sarebbe applicabile l’art. 18 del CCNL cit., mentre si dovrebbe riconoscere il diritto alla variazione del trattamento economico (come previsto dal D.P.R. n. 761 del 1979, art. 29, comma 2), in via di applicazione diretta dell’art. 36 Cost., per effetto dell’art. 2126 c.c., comma 1, anche in base ad una interpretazione costituzionalmente orientata agli artt. 3,24,35,36 Cost.;

che si afferma che il richiamo operato dalla Corte d’appello alla “retribuzione di posizione” sarebbe inconferente, visto che il ricorrente ha percepito tale emolumento nell’importo previsto per il dirigente medico di I livello e non in quello spettante al dirigente responsabile di struttura complessa, con palese violazione dell’art. 36 Cost.;

che il primo motivo deve essere respinto, in quanto il termine di trenta giorni previsto dall’art. 325 c.p.c. scadeva il 10 settembre 2011 che era sabato, pertanto, ex art. 155 c.p.c., comma 5, (applicabile nella specie ratione temporis: vedi per tutte: Cass. 12 gennaio 2016, n. 310) la scadenza del suddetto termine è stata prorogata di diritto al primo giorno seguente non festivo, cioè a lunedì 12 settembre 2011, giorno in cui pacificamente e tempestivamente è stato effettuato il deposito dell’atto d’appello da parte della ASL;

che anche il secondo motivo non è da accogliere;

che deve essere, in primo luogo, dichiarata l’inammissibilità del profilo di censura di vizio di motivazione, in quanto – essendo la sentenza impugnata stata pubblicata il 18 giugno 2013 – trova applicazione nella specie il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 2, n. 5, come sostituito del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, il quale ha limitato l’ambito di applicabilità del controllo di legittimità sulla motivazione al c.d. “minimo costituzionale”;

che ciò significa che la carenza e la contraddittorietà motivazionale, non costituiscano più ragione cassatoria e la denuncia del vizio di motivazione è ammissibile nei limiti dell’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia, il che comporta che tale denuncia è ammissibile soltanto quando la motivazione manchi del tutto, ovvero sia affetta da vizi giuridici consistenti nell’essere stata essa articolata su espressioni od argomenti tra loro manifestamente ed immediatamente inconciliabili, oppure perplessi od obiettivamente incomprensibili (Cass. SU 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. SU 20 ottobre 2015, n. 21216; Cass. 9 giugno 2014, n. 12928; Cass. 5 luglio 2016, n. 13641; Cass. 7 ottobre 2016, n. 20207);

che tali evenienze che qui non si verificano in quanto le censure che formalmente addebitano alla sentenza impugnata il vizio di omesso esame di un “fatto decisivo” per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in realtà attengono alla qualificazione e valutazione giuridica di fatti e quindi concernono parti della motivazione in diritto, relative alla ricostruzione del quadro normativo ed alla interpretazione delle norme di derivazione legale e contrattuale poste a base della sentenza stessa;

che la questione affrontata con le altre censure proposte nel secondo motivo è già stata oggetto di esame da parte di questa Corte che, pronunciando in fattispecie esattamente sovrapponibili a quella qui controversa – anche con riferimento alla stessa parte pubblica ora in causa – a partire da Cass. 3 agosto 2015, n. 16299, ha affermato e ribadito che la sostituzione nell’incarico di dirigente medico del Servizio sanitario nazionale ai sensi dell’art. 18 del CCNL Dirigenza medica e veterinaria dell’8 giugno 2000 (relativo al quadriennio 1998-2001), non si configura come svolgimento di mansioni superiori perchè avviene nell’ambito del ruolo e del livello unico della dirigenza sanitaria, pertanto non trova applicazione l’art. 2103 c.c. e al sostituto non spetta il trattamento accessorio del sostituito ma solo la prevista indennità c.d. sostitutiva, senza che rilevi, in senso contrario, la prosecuzione dell’incarico oltre il termine di sei mesi (o di dodici se prorogato) per l’espletamento della procedura per la copertura del posto vacante, dovendosi considerare remunerativa l’indennità sostitutiva specificamente prevista dalla disciplina collettiva e, quindi, inapplicabile l’art. 36 Cost. (vedi, per tutte: Cass. 20 marzo 2019, n. 7863; Cass. 6 febbraio 2019, n. 3483; Cass. 29 novembre 2018, n. 30913; Cass. 5 novembre 2018, n. 28151; Cass. 2 novembre 2018, n. 28030; Cass. 27 giugno 2018, n. 16953; Cass. 3 settembre 2018, n. 21565; Cass. 6 novembre 2018, n. 28243; Cass. 19 aprile 2017, n. 9879; Cass. 15 gennaio 2016, n. 584; Cass. 24 luglio 2015, n. 15577);

che il Collegio intende dare continuità all’orientamento espresso dalle richiamate pronunce, condividendone a pieno la premessa ermeneutica secondo cui l’esegesi del quadro normativo e contrattuale non consente di estendere ai dirigenti in generale, ed alla dirigenza sanitaria in particolare, norme e principi che regolano il rapporto di lavoro non dirigenziale;

che ripercorrendo l’iter argomentativo di dette pronunce, i relativi passaggi motivazionali possono sintetizzarsi come segue:

a) l’inapplicabilità ai dirigenti dell’art. 2103 c.c., sancita dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 19 – che era già stata affermata dal D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 19 come modificato dal D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 13 – discende dalle peculiarità proprie della qualifica dirigenziale che, nel nuovo assetto, non esprime più una posizione lavorativa inserita nell’ambito di una carriera e caratterizzata dallo svolgimento di determinate mansioni, bensì esclusivamente l’idoneità professionale del soggetto a ricoprire un incarico dirigenziale, necessariamente a termine, conferito con atto datoriale gestionale, distinto dal contratto di lavoro a tempo indeterminato;

b) per le medesime ragioni non è applicabile al rapporto dirigenziale il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52 che è riferibile al solo personale che non rivesta la qualifica di dirigente, al quale è, invece, riservata la disciplina dettata dalle disposizioni del capo II del decreto;

c) quanto alla dirigenza sanitaria, inserita “in un unico ruolo distinto per profili professionali e in un unico livello” (D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 15), la giuridica impossibilità di applicare la disciplina dettata dall’art. 2103 c.c. è ribadita dal D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 15-ter inserito dal D.Lgs. n. 229 del 1999, nonchè dall’art. 28, comma 7 CCNL 8 giugno 2000 cit., secondo cui “nel conferimento degli incarichi e per il passaggio ad incarichi di funzioni dirigenziali diverse le aziende tengono conto… che data l’equivalenza delle mansioni dirigenziali non si applica l’art. 2103 c.c., comma 1”;

d) il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 24 in tutte le versioni succedutesi nel tempo, delega alla contrattazione collettiva la determinazione del trattamento retributivo del personale con qualifica dirigenziale, da correlare, quanto al trattamento accessorio, alle funzioni attribuite, ed al comma 3, fissa il principio di onnicomprensività, stabilendo che il trattamento medesimo “remunera tutte le funzioni ed i compiti attribuiti ai dirigenti in base a quanto previsto dal presente decreto nonchè qualsiasi incarico ad essi conferito in ragione del loro ufficio o comunque conferito dall’amministrazione presso cui prestano servizio o su designazione della stessa”;

e) la materia delle sostituzioni è stata espressamente disciplinata dalle Parti collettive che, all’art. 18, comma 7, del CCNL 8 giugno 2000 cit. hanno innanzitutto ribadito, in linea con la previsione del D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 15-ter, comma 5, che “le sostituzioni…. non si configurano come mansioni superiori in quanto avvengono nell’ambito del ruolo e livello unico della dirigenza dei quattro ruoli”;

f) è stata quindi prevista una speciale indennità, da corrispondere solo in caso di sostituzioni protrattesi oltre sessanta giorni, rapportata al livello di complessità della struttura diretta (originariamente: Lire 1.036.000 per la sostituzione del dirigente di struttura complessa e Lire 518.000 per la struttura semplice, tali somme previste dall’art. 18 cit., comma 7 sono state aggiornate rispettivamente in Euro 535,05 ed in Euro 267,52 dall’art. 11, lett. B, del CCNL di Comparto 2002-2005);

g) il suindicato art. 18, comma 4 prevede poi che, qualora la necessità della sostituzione sorga in conseguenza della cessazione del rapporto di lavoro del dirigente interessato, e quindi della vacanza della funzione dirigenziale, la stessa è consentita per il tempo strettamente necessario all’espletamento delle procedure concorsuali e può avere la durata di mesi sei, prorogabili a dodici;

h) è, però, significativo che le Parti collettive non abbiano fatto cenno alle conseguenze che, sul piano economico, possono derivare dall’omesso rispetto del termine e l’omissione non può essere ritenuta casuale, atteso che la norma contrattuale ha tenuto ad affermare, come principio di carattere generale, che la sostituzione non implica l’espletamento di mansioni superiori;

i) il termine di cui al comma 4, quindi, svolge senz’altro una funzione sollecitatoria ma il suo mancato rispetto non può legittimare la rivendicazione dell’intero trattamento economico spettante al dirigente sostituito, impedita proprio dall’incipit del comma 7, che, operando unitamente al fondamentale principio della onnicomprensività del trattamento retributivo, esclude qualsiasi titolo sul quale la pretesa possa essere fondata;

I) non può essere invocata la giurisprudenza costituzionale ed amministrativa formatasi per la dirigenza medica in relazione al D.P.R. n. 384 del 1990, art. 121 che è stato disapplicato dal richiamato art. 18 del CCNL 2000, attesa la diversità del contesto normativo;

m) prima dell’istituzione del ruolo unico, infatti, i compiti propri del personale inquadrato nel IX, nel X e nell’XI livello costituivano mansioni esprimenti una professionalità crescente mentre nell’attuale sistema, fondato sull’equivalenza delle mansioni dirigenziali, le diverse tipologie di incarichi non comportano rapporti di sovra o sotto ordinazione (art. 27 CCNL 2000);

che le considerazioni che precedono inducono, pertanto, il Collegio a non condividere il diverso orientamento espresso da Cass. 6 luglio 2015, n. 13809, pronuncia, questa, rimasta isolata e superata dalle decisioni sopra richiamate, il che esclude che sussistano i presupposti per una rimessione degli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, in quanto grazie alle suindicate numerose pronunce può dirsi che la giurisprudenza di legittimità – cui quella di merito si è prevalentemente uniformata – si è “assestata” nel dare al quadro normativo di riferimento in materia una interpretazione conforme alle suddette decisioni, che quindi è assurta al rango di “diritto vivente”;

che deve essere precisato che, nella specie, la Corte d’appello ha fatto corretta applicazione dei suddetti principi di diritto già affermati da questa Corte e qui ribaditi ed ha verificato, con accertamento di merito incensurabile in questa sede, non può considerarsi inadeguato il trattamento economico corrisposto all’attuale ricorrente, comprendente in aggiunta rispetto al trattamento stipendiale dirigenziale in godimento, l’indennità di sostituzione ex art. 18 CCNL cit. e la retribuzione di posizione che, per sua natura, è destinata a remunerare il lavoro in concreto prestato (vedi, per tutte: Cass. 1 ottobre 2008, n. 24373);

che, pertanto, diversamente da quel che si sostiene nel ricorso, il richiamo operato dalla Corte d’appello alla “retribuzione di posizione” appare del tutto pertinente al fine di delineare il trattamento retributivo complessivo corrisposto all’ A.;

che, per tutte le anzidette ragioni, il ricorso deve essere rigettato;

che, da ultimo, va precisato che non può essere accolta la richiesta di rinvio pregiudiziale alla CGUE, formulata dal ricorrente;

che, infatti, nella specie non ricorre il fondamentale presupposto del rinvio pregiudiziale c.d. interpretativo ipotizzato e cioè una questione riguardante l’esegesi di una disposizione UE di rango primario o secondario rilevante per la decisione;

che, in particolare, è da considerare improprio il richiamo effettuato dall’ A. alla clausola 4 dell’Accordo quadro sul rapporto a tempo determinato recepito dalla direttiva n. 1999/70/CE, che, con tutta evidenza, riguarda una fattispecie (rapporti di lavoro a termine) diversa da quella oggetto del presente giudizio (svolgimento di fatto delle mansioni di responsabile di struttura complessa da parte di un dirigente medico);

che, peraltro, la vicenda qui all’esame trova la sua fonte normativa nella disciplina legislativa e contrattuale collettiva nazionale ed è pacifica, sulla base dell’art. 4, paragrafo 1, del TUE come interpretato dalla CGUE, l’attribuzione agli Stati membri della generale competenza alla regolazione del rapporto di lavoro del personale delle Pubbliche amministrazioni (per il nostro Paese sulla base dell’art. 97 Cost.), salvo particolari evenienze (ipotizzabili soprattutto con riguardo alla violazione di diritti fondamentali) che certamente qui non ricorrono;

che le spese del presente giudizio di cassazione – liquidate nella misura indicata in dispositivo – seguono la soccombenza;

che deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato ivi previsto, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione, liquidate in Euro 200,00 per esborsi, Euro 4500,00 (quattromilacinquecento/00) per compensi professionali, oltre spese forfetarie nella misura del 15% e accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 25 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 21 novembre 2019

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