Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30414 del 19/12/2017


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Civile Sent. Sez. L Num. 30414 Anno 2017
Presidente: NAPOLETANO GIUSEPPE
Relatore: DE FELICE ALFONSINA

SENTENZA
sul ricorso 519-2015 proposto da:
BARBUTO LUCIANA C.F. BRBLCN74E58H919U, elettivamente
domiciliata in ROMA, PIAZZALE CLODIO 14, presso lo
studio dell’avvocato MASSIMO DI CELMO, che la
rappresenta e difende giusta delega in atti;
– ricorrente contro

2017
1430

DUSSMAN SERVICE S.R.L. P.IVA 00124140211, in persona
del legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA POMPEO MAGNO, 23/A, presso lo
studio

dell’avvocato

GIAMPIERO

PROIA,

che

la

Data pubblicazione: 19/12/2017

rappresenta e difende unitamente all’avvocato FRANCESCO
ROTONDI, giusta delega in atti;
– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3017/2014 della CORTE D’APPELLO
di NAPOLI, depositata il 25/06/2014, R. G. N.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 04/04/2017 dal Consigliere Dott. ALFONSINA
DE FELICE;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. RITA SANLORENZO, che ha concluso per il
rigetto del ricorso;
udito l’Avvocato MASSIA0 DI CELMO;
udito l’Avvocato MATTEO SILVESTRI per delega verbale
GIAMPIERO PROIA.

10939/2009;

R.G. 519-2015

FATTI DI CAUSA
La Corte d’Appello di Napoli in data 25/06/2014 a conferma della sentenza
del Tribunale di Noia n.2600/2009, ha rigettato l’appello di Luciana Barbuto,

intimati dalla Dussmann Service s.r.l. per fatti di rilievo disciplinare: il primo
del dicembre 2005 e il secondo dell’ottobre 2006, a seguito della reintegra
disposta con ordinanza cautelare del settembre 2006 dal Tribunale di Noia.
La ricorrente, responsabile operativa della Filiale Sud della Dussmann s.r.l.
operante nel campo della ristorazione, sanificazione e igiene ambientale, era
stata licenziata per aver reso dichiarazioni all’Interna! Auditor (soggetto tenuto
a garantire la corretta applicazione della I. n.231/2001) in merito a una
presunta truffa, realizzata tramite una fatturazione sovrabbondante di ore di
lavoro occorrenti all’espletamento dei servizi appaltati, perpetrata dalla
Dussmann Service in danno della committente “Azienda Policlinico
Universitario” di Messina. Tali dichiarazioni erano state considerate gravemente
lesive della reputazione della Società e pertanto, visto anche il ruolo ricoperto
dalla Barbuto, questa aveva ritenuto irrimediabilmente compromesso il vincolo
fiduciario posto a base del rapporto di lavoro, adottando, nei confronti della
dipendente, il recesso per giusta causa per violazione dell’obbligo di fedeltà
(art. 2105 cod. civ.).
Avverso tale decisione interpone ricorso per Cassazione Luciana Barbuto,
affidando le sue ragioni a quattro censure, al quale resiste la Dussmann
Service s.r.l. con controricorso illustrato da memoria difensiva.

RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Nel primo motivo parte ricorrente deduce la violazione e falsa
applicazione dell’art. 2119 cod. civ., in relazione all’attuazione dei principi
generali sul diritto di difesa del lavoratore nel procedimento disciplinare (art. 7
I. n.300/1970). La sentenza gravata avrebbe erroneamente escluso la
violazione del principio d’immodificabilità della sanzione disciplinare da parte

rivolto a ottenere la declaratoria di nullità dei due successivi licenziamenti a lei

violazione del principio d’immodificabilità della sanzione disciplinare da parte
del giudice di prime cure. Lo stesso, infatti, nel giudicare la legittimità del
licenziamento comminato dalla datrice, aveva preso in considerazione oltre al
fatto oggetto di contestazione, altresì circostanze emerse in occasione di un
secondo incontro intervenuto tra la ricorrente e due superiori, nel corso del
quale, la prima aveva confermato la presunta truffa ai danni del committente

da quello contestato disciplinarmente, relativo all’aver fatto figurare,
nell’elenco dei lavoratori addetti all’appalto dell’Ospedale di Messina, personale
in stato di detenzione. In merito a tale accusa, pendente il giudizio penale,
erano stati indagati la stessa ricorrente, in qualità di responsabile della Fil);le
Sud e i suoi interlocutori, assolti poi per insussistenza del fatto.
Tale ulteriore ampliamento a fatti non oggetto di contestazione preventiva
nell’addebito addotto a sostegno del primo licenziamento disciplinare avrebbe,
secondo la dipendente, precluso le sue difese, contrariamente a quanto
ritenuto dal giudice di Appello, per il quale invece, nel contestare il secondo
licenziamento, la Società non avrebbe richiamato fatti nuovi quanto
semplicemente rafforzato il quadro valutativo originario, a conferma
dell’esistenza di una condotta censurabile ai sensi dell’art. 2119 cod. civ.
2. Nel secondo motivo di censura si denuncia la violazione e falsa
applicazione delle norme in tema di ammissione della prova testimoniale,
avendo, la Corte territoriale, fondato il proprio convincimento in base alle sole
dichiarazioni rese dai dipendenti sentiti quali testimoni nella fase cautelare,
disattendendo le richieste istruttorie della ricorrente e, dunque, generando un
ingiusto squilibrio tra le parti. Il motivo di censura si appunta, altresì, in
particolare sulla presunta inattendibilità del teste Bove, incaricato come

“Interna! Auditor” dalla Dussman Service s.r.I., al quale sarebbe mancata
secondo la ricorrente la posizione di terzietà, visto l’inserimento di questi
nell’organigramma aziendale e l’assenza di autonomia dai vertici in
considerazione dell’aspettativa per i rinnovi contrattuali annuali, così da indurlo
a riferire – nella deposizione testimoniale dinanzi al Giudice del Lavoro – la
versione dei fatti accreditata dalla Società datrice.

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dell’appalto denominato Messina A/74, ma con riferimento a un fatto diverso

3. Nel terzo motivo si deduce omesso esame circa un fatto decisivo per il
giudizio oggetto di discussione tra le parti. La Corte territoriale avrebbe
erroneamente ritenuto non provate da parte della ricorrente il rilievo
disciplinare contestato (sovrafatturazione), nonostante la presenza di prove
precostituite, riguardanti il merito dell’imputazione formulate a carico della
dipendente, neanche valutate dalla Corte territoriale.

norme di diritto con riferimento agli artt. 21 Cost, 1 I. n.300/1970 e 2105 cod.
civ., in combinato disposto con gli artt. 2119 e 2697 cod. civ.
La Corte territoriale, ritenendo che la ricorrente avesse discreditato
l’Azienda, e creato un vulnus irreparabile al vincolo fiduciario, travalicando con la sua condotta – i confini del legittimo esercizio del diritto di critica,
avrebbe motivato in modo superficiale, avendo, la ricorrente, nelle
dichiarazioni rese, agito in totale buona fede ed entro i limiti del diritto di
critica, essendo convinta della verità delle sue affermazioni.

Il ricorso presenta diversi profili d’inammissibilità.
Il primo motivo è inammissibile. Le circostanze ulteriori riferite nella
censura, infatti, sono chiaramente ritenute dalla Corte territoriale confermative
del fatto contestato, e, pertanto, non tali da determinare, qualora non
autonomamente valutate, una violazione del diritto di difesa, nei termini
invocati dalla ricorrente.
Il secondo motivo è inammissibile. Esso censura il potere istruttorio del
Giudice di merito sia quanto alla scelta dei testi da ammettere sia quanto alla
valutazione della loro attendibilità. Anche sotto tale profilo, la ricorrente tende
impropriamente a sollecitare da parte di questa Corte valutazioni che
attengono al merito, qui in particolar modo riguardo al corretto esercizio da
parte della Corte territoriale del potere istruttorio concernente il governo delle
evidenze probatorie testimoniali che, indubbiamente, costituisce l’aspetto più
pregnante del potere che l’ordinamento pone in capo al giudice del merito,
vieppiù in ragione del peculiare rilievo conferito dal rito del lavoro alla prova
testimoniale.

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4. Nel quarto motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione di

Il terzo motivo è parimenti inammissibile, poiché, la censura di non aver
correttamente considerato gli atti allegati dalla ricorrente giungendo a opposte
conclusioni, non è doglianza capace di inverare il vizio di cui al n. 5 dell’art.
360 cod. proc. civ. La riforma della fattispecie, per mezzo dell’art. 54, co.1,
lett. b) del di. n.83/2012, conv. in I.n.134/2012, rende, infatti, ancora più
stringente l’esigenza di non ampliare, quanto piuttosto di ridurre al massimo,

Il quarto motivo è inammissibile là dove contesta la sentenza gravata nella
parte in cui ha ritenuto la condotta della ricorrente idonea a generare un
vulnus al rapporto fiduciario tale da giustificare il licenziamento. Una siffatta
censura non può trovare accoglimento nel ricorso per cassazione, in seguito
alla riformulazione dell’art. 360, co.1, n.5 cod. proc. civ. disposta dall’art. 54
del d.l. n.83/2012, conv. in I. n.134/2012 dianzi citato, in quanto questa
sancisce l’inammissibilità della censura che si limiti a denunciare l’insufficienza
della motivazione della sentenza impugnata, e ritiene denunciabile in
cassazione solo l’anomalia motivazionale che si esaurisce nella “mancanza
assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione
apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella
motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile” (Cass. Sez Un.
n.8053/2014).
Essendo i motivi inammissibili, il ricorso va rigettato. Le spese seguono la
soccombenza.• Si dà atto dell’esistenza dei presupposti per la condanna del&
ricorrente al pagamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato
pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis, dell’art.

13 del d.P.R. n.115/2002.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in
favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida
in Euro 200 per esborsi e in Euro 4.000 per competenze professionali, oltre
alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, e agli accessori di legge.

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in sede di legittimità, il giudizio sul vizio di motivazione.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n.115/2002, dà atto
della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il
ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13.

Così deciso all’Udienza del 4/04/2017

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