Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30411 del 27/10/2021

Cassazione civile sez. VI, 27/10/2021, (ud. 05/10/2021, dep. 27/10/2021), n.30411

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FERRO Massimo – rel. Presidente –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso proposto da:

A.S., rappr. e dif. dall’avv. Roberta Paesante

roberta.paesante.rovigoavvocati.it, con studio in Adria (Rovigo),

corso Vittorio Emanuele n. 99, come da procura spillata in calce

all’atto;

– ricorrente –

Contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t., rappr e difeso

ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui Uffici è

domiciliata, in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– costituito –

per la cassazione del decreto Trib. Venezia 9.6.2020, n. 5833/2020,

R.G. 7114/2018;

udita la relazione della causa svolta dal Presidente relatore Dott.

Massimo Ferro alla camera di consiglio del 5.10.2021.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Rilevato che:

1. A.S. impugna il decreto Trib. Venezia 9.6.2020, n. 5833/2020, R.G. 7114/2018 che ha rigettato il ricorso contro il provvedimento della competente Commissione territoriale, la quale aveva negato la protezione internazionale, in tutte le misure, nonché il permesso di soggiorno per motivi umanitari;

2. il tribunale, per quanto qui d’interesse, ha ritenuto: a) insussistenti, già nel racconto, data la sua genericità e contraddittorietà, e la non credibilità del richiedente, i fondati motivi di una persecuzione personale e diretta, avendo il ricorrente riferito di aver lasciato nel 2015 la Nigeria per il timore di una persecuzione causa l’incidente mortale provocato come camionista e dunque la fuga prima in Niger e Libia e con arrivo in Italia nel 2017; b) insussistente comunque ogni rischio di danno grave da sanzione penale estrema o trattamento degradante, posto che, tra l’altro, sul punto nulla il richiedente aveva dedotto, così come assente il conflitto armato di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), nella regione di (OMISSIS) ((OMISSIS)), zona della Nigeria di provenienza, secondo le fonti acquisite e alla luce dei parametri di personalizzazione del rischio ovvero di probabile esposizione al medesimo di un civile in quanto tale; c) esclusi i presupposti della protezione umanitaria, oltre che per credibilità negata, altresì per genericità della domanda e difetto già di allegazione della vulnerabilità, anche in ragione della insufficiente documentazione di una integrazione raggiunta, peraltro in sé non bastevole;

3. il ricorso è – al di là della elencazione su tre motivi; ad esso resiste il Ministero che si è costituito.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Considerato che:

1. con il ricorso si contestano: a) violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), in punto di esposizione a pericolo di incolumità fisica in caso di rientro per via dell’assenza di controllo sociale nell’intera Nigeria e recrudescenza della violenza, secondo fonti contraddittoriamente citate dal tribunale; b) error in procedendo, ancora con riguardo alla norma di cui sub a), ove il tribunale ha mal dedotto da un quadro preoccupante della situazione in Nigeria un più tranquillizzante difetto di conflitto armato; c) vizio di motivazione quanto alla protezione umanitaria, poiché il tribunale non ha tenuto conto della situazione attuale d’inserimento del ricorrente e il timore di esposizione a rischi in caso di rimpatrio;

2. l’inammissibilità delle censure proposte dal ricorrente, giustificando la conseguente preliminare reiezione del ricorso, in applicazione del criterio della ragione più liquida, esclude (conf. Cass. 22495/2021) la necessità di soffermarsi, in questa sede, sulla questione concernente l’invalidità della procura ad litem per mancanza di certificazione della data di rilascio, in conformità ad una recente pronuncia di questa Corte (cfr. Cass., Sez. Un., 1/06/2021, n. 15177), seguita dalla rimessione alla Corte costituzionale della questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35-bis, comma 13, introdotto dal D.L. 17 febbraio 2017, n. 13, art. 6, comma 1, lett. g), convertito con modificazioni dalla L. 13 aprile 2017, n. 46 (cfr. Cass., Sez. III, 23/06/2021, n. 17970);

3. i motivi sono singolarmente inammissibili, nonché per plurimi profili comuni; tutti e tre hanno invero cumulato in modo indistinto violazioni di norme eterogenee ovvero richiamate in modo non specifico, oltre tutto in una sostanziale censura che, in gran parte, attiene alla motivazione (Cass. s.u. 8053/2014);

4. la prima e seconda doglianza, da riunire in trattazione, contestano infatti in modo generico la statuizione giudiziale sull’assenza di conflitto armato, omettendo anche solo di richiamare fonti alternative, più specifiche (con riguardo alla zona di provenienza) e decisive, quali idonee ad incrinare le conclusioni motivate cui è giunto il decreto; il ricorrente in cassazione che deduce la violazione del dovere di cooperazione istruttoria per l’omessa indicazione delle fonti informative dalle quali il giudice ha tratto il suo convincimento, invero “ha l’onere di indicare le COI che secondo la sua prospettazione avrebbero potuto condurre ad un diverso esito del giudizio, con la conseguenza che, in mancanza di tale allegazione, non potendo la Corte di cassazione valutare la teorica rilevanza e decisività della censura, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile” (Cass. 22385/2020, 22769/2020); tanto più che, si ripete, “la nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia UE (sentenza 30 gennaio 2014, in causa C-285/12), deve essere interpretata nel senso che il conflitto armato interno rileva solo se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria. Il grado di violenza indiscriminata deve aver pertanto raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia” (Cass. 18306/2019); così come non è sufficiente un cd. conflitto a bassa intensità (Cass. 5675 e 5676 del 2021); né è dato scorgere quale sia il tenore dell’error in procedendo enunciato ma privo di sviluppo argomentativo e più chiara enunciazione;

5. aggiunge poi il Collegio che nel ricorso non trova luogo alcuna contestazione specifica del motivato giudizio di non credibilità espresso dal tribunale, introducendosi – al terzo motivo – una circostanza che appare predicabile di novità, dunque inammissibile, ove si richiama la persecuzione di una “famiglia ricca e potente”, quella di appartenenza della persona uccisa a seguito d’incidente stradale, restituendo un dato privo sia di sicuro collegamento con il contraddittorio processuale, sia in sé di decisività;

6. in ogni caso non è stato censurato il giudizio, rimesso al giudice del merito, della non credibilità del narrato, che il tribunale ha riferito a lacune, incoerenze e genericità delle dichiarazioni rese, indicando anche le contraddizioni su cui tale apprezzamento aveva riscontro; avendo il tribunale esclusa la credibilità delle dichiarazioni del richiedente, anche la sua qualità di sottoposto a persecuzione e a rischio in caso di rimpatrio – in quanto condizioni non provate e non credute – non può costituire il presupposto, in sé inteso, per scrutinare la correttezza dei tre dinieghi enunciati; sul punto, va ribadito che “il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, obbliga il giudice a sottoporre le dichiarazioni del richiedente, ove non suffragate da prove, non soltanto ad un controllo di coerenza interna ed esterna ma anche ad una verifica di credibilità razionale della concreta vicenda narrata a fondamento della domanda, verifica sottratta al controllo di legittimità al di fuori dei limiti di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5” (Cass. 21142/2019);

7. la censura, inoltre, non considera che il giudizio negativo sulla credibilità ha correttamente orientato in modo ostativo il tribunale, oltre che con riguardo ai presupposti della protezione sussidiaria, anche su quella umanitaria, rispetto alla quale comunque la deduzione del rischio è stata giudicata come non precisa, né appare praticabile un giudizio di comparazione; nessuna doglianza specifica concerne infatti l’esclusione della vulnerabilità cui è giunto argomentativamente il tribunale, escludendo, tra l’altro, la sufficienza degli elementi d’integrazione rappresentati, ratio decidendi non idoneamente avversata; il ricorrente – anche in questa sede non ha indicato altro fattore oltre alla sua presenza nel territorio italiano, così rispettando il principio per cui già Cass. 23778/2019 (pur sulla scia di Cass. 4455/2018), ha statuito che “occorre il riscontro di “seri motivi” (non tipizzati) diretti a tutelare situazioni di vulnerabilità individuale, mediante una valutazione comparata della vita privata e familiare del richiedente in Italia e nel Paese di origine, che faccia emergere un’effettiva ed incolmabile sproporzione nel godimento dei diritti fondamentali che costituiscono presupposto indispensabile di una vita dignitosa, da correlare però alla specifica vicenda personale del richiedente… altrimenti si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo Paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti in contrasto col parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 cit., art. 5, comma 6″ (indirizzo ribadito da Cass. s.u. 29460/2019 e, sul punto qui rilevante, senza contraddizioni anche rispetto a Cass. s.u. 24413/2021); né, infine, appare ammissibile la produzione effettuata in occasione dell’atto successivo difensivo ex art. 380bis c.p.c.;

il ricorso va dunque dichiarato inammissibile; sussistono i presupposti processuali per il cd. raddoppio del contributo unificato (Cass. s.u. 4315/2020).

PQM

la Corte dichiara inammissibile il ricorso; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 5 ottobre 2021.

Depositato in Cancelleria il 27 ottobre 2021

 

 

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