Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3041 del 08/02/2018


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Civile Ord. Sez. 3 Num. 3041 Anno 2018
Presidente: SPIRITO ANGELO
Relatore: FIECCONI FRANCESCA

ORDINANZA

sul ricorso 29981-2014 proposto da:
NUOVA EDILIZIA DI SABATO GIUSEPPE C SNC , in persona
del legale rappresentante sig. GIUSEPPE SABATO
elettivamente domiciliata in ROMA, VIA TACITO 90,
presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE VACCARO,
rappresentata e difesa dall’avvocato ANDREA LO CASTRO
giusta procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrente –

2017
2466

contro

COMUNE LETOJANNI , in persona del Sindaco protempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
CALABRIA 56, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI
BONARRIGO, rappresentato e difeso dall’avvocato PAOLO

1

Data pubblicazione: 08/02/2018

GIOVANNI TURIANO giusta procura speciale a margine
del controricorso;
– controricorrente
avverso la sentenza n.

236/2014

della CORTE D’APPELLO

di MESSINA, depositata il 31/03/2014;

consiglio del

07/12/2017

dal Consigliere Dott.

FRANCESCA FIECCONI;

2

udita la relazione della causa svolta nella camera di

CONSIDERATO IN FATTO
1.1.

Con atto di citazione, notificato in data 19.03.2007, la Nuova
Edilizia di Sabato Vittorio & C. s.n.c. (Nuova Edilizia) proponeva

impugnazione innanzi alla Corte d’Appello di Messina avverso la
sentenza n. 952/2006 del Tribunale di Messina, depositata il 18 maggio
2006 e non notificata, con la quale era stata rigettata la domanda della

per la condanna dell’ente al risarcimento del danno derivante dal
mancato rilascio di concessione edilizia entro il termine di legge su
un’area che era stata acquistata dalla deducente in quanto classificata
edificabile (“B/2” e “B”), come da certificazione di destinazione
urbanistica a destinazione alberghiera allegata alla compravendita del
28.01.1998. Nel giudizio di appello, si costituiva l’ente comunale
appellato il quale deduceva che, nonostante la deliberazione del
Consiglio Comunale del 9.7.1985 di voler modificare lo strumento
urbanistico per la definizione della destinazione delle aree prima
rientranti nel vincolo di inedificabilità, cui l’ente regionale mai aveva
riconosciuto la loro inclusione in zona “B”, la certificazione urbanistica
rilasciata dal Comune aveva dato atto della «riserva» correlata ai
provvedimenti assessoriali regionali che, successivamente nel 1990,
avevano disatteso la decisione del Comune, nonché la successiva
delibera del 1991.
1.2.

Con sentenza del 13.3.2014, depositata il 31.3.2014, la Corte

d’Appello di Messina, preliminarmente, rilevava la sussistenza della
giurisdizione del giudice ordinario sulla domanda della Nuova Edilizia di
risarcimento del danno, derivante dall’illegittimo annullamento di una
concessione edilizia, in quanto la suddetta domanda risarcitoria,
risalente al 1993, era stata proposta anteriormente alla nuova disciplina
sul riparto di giurisdizione dettata dagli artt. 34 e 35 d.lgs. 31 marzo
1998 n. 80 e dall’art. 7 I. 21 luglio 2000 n. 205. Nel merito, la Corte
d’appello rigettava l’impugnazione e in particolare riteneva che 1)
neppure la società ha mai posto in dubbio che l’area non avesse i
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stessa società, rivolta nei confronti del Comune di Letojanni (Comune) ,

requisiti normativi e tecnici per essere inserita in zona B e dunque
nessuna concessione edilizia avrebbe mai potuto essere rilasciata; 2) è
infondata la domanda tendente al riconoscimento incidentale
dell’edificabilità dell’area (neppure la società offre elementi a riguardo);
3) restando il profilo di domanda relativa alla “apparenza” ed al legittimo
affidamento, anche questa è infondata sia perché il certificato in

corso d’approvazione” (con impossibilità dunque di dare stabilità alla
certificata destinazione), sia perché non è ravvisabile una colpa
dell’amministrazione tale da fondare l’affidamento; 4) il mancato,
tempestivo rilascio della concessione edilizia fu legittimo e giustificato
dal problema frattanto insorto sulla classificazione dell’area, che avrebbe
comportato (anche se la certificazione edilizia fosse stata
tempestivamente rilasciata) l’annullamento o la revoca con efficacia
retroattiva; 5) la domanda è stata proposta non per il mero ritardo nella
concessione, bensì per il mancato rilascio della stessa.
1.3.

Avverso la sentenza n. 236 della Corte d’Appello di Messina,

emessa in data 13.3.2014 e depositata in data 31.03.2014, con la quale
è stato rigettato l’appello avverso la sentenza di primo grado del
Tribunale di Messina, n. 952/2006, la Nuova Edilizia propone ricorso
innanzi a questa Corte, adducendo quattro motivi di impugnazione;
il Comune deposita controricorso con il quale resiste al giudizio
CONSIDERATO IN DIRITTO
2. Con il primo motivo, la Nuova Edilizia denuncia la violazione e/o falsa
applicazione di una norma di diritto, nonché l’omesso esame circa un
fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le
parti, ai sensi dell’art 360 nn. 3 e 5, cod. proc. civ. avuto riguardo alla
legge urbanistica n. 1150 del 17.8.1942, nonché alla Carta fondamentale
dei Diritti dell’Uomo e dei principi generali del diritto. La ricorrente
assume che, stante la sussistenza di un certificato di destinazione
urbanistica rilasciato in base alla delibera consiliare del 1985 di adozione

contestazione faceva riferimento a una delibera consiliare del 1985 “in

del piano regolatore comunale, in corso di approvazione, il Comune
avrebbe dovuto rilasciare la concessione edilizia, non tenendo conto della
connotazione «meramente virtuale» dell’edificabilità dell’area
acquistata dalla società al fine di costruirvi un edificio e
dell’ insussistenza dei requisiti normativi e tecnici per essere l’area
compresa in zona omogenea “B”. La ricorrente deduce inoltre come la

concessione da parte del Comune, prevista ex art. 31 della legge
1150/1942, renda evidente come questi non avrebbe potuto
giuridicamente negare la concessione richiesta, dovendosi limitare a
concedere la sospensione. Con il secondo motivo, la ricorrente deduce la
violazione e/o falsa applicazione di norma di diritto, nonché l’omesso
esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di
discussione tra le parti, ai sensi dell’ad 360 nn. 3 e 5, cod. proc. civ.
avuto riguardo alla legge n. 1902 del 3.11.1952 recante «Misure di
salvaguardia in pendenza dell’approvazione dei piani regolatori» alla
legge urbanistica n. 1150 del 17.8.1942 ed alla legge regionale siciliana
n. 71 del 27.12.1978, laddove la Corte d’Appello ha ritenuto irrilevante la
circostanza che, qualora l’esame della domanda di concessione edilizia,
presentata il 12.10.1988, fosse stata tempestiva, l’ente locale non
avrebbe potuto che procedere al rilascio della concessione, stante che,
alla data di presentazione della domanda e alla data di scadenza dei
termini previsti dalla legge per il rilascio del permesso di costruire, l’area
era certamente edificabile in forza della delibera di adozione dello
strumento urbanistico. Assume la ricorrente che il contrasto con i
parametri del decreto ministeriale era sorto soltanto successivamente, e
precisamente nel 1991, a seguito di un accertamento peritale svolto in
separato giudizio. La ricorrente deduce, inoltre, l’errore processuale della
Corte di Appello nella parte in cui ha affermato la mancata allegazione
del giudicato del T.A.R. Catania n. 1704/2001, che avrebbe annullato il
diniego al rilascio della concessione edilizia, atteso che invece la Nuova

mancata adozione di un provvedimento di sospensione della richiesta di

Edilizia avrebbe prodotto nel proprio fascicolo di primo grado una copia di
suddetta sentenza.
2.1. Il primo e il secondo motivo, essendo logicamente connessi a una
medesima questione, vengono trattati unitariamente e debbono
essere dichiarati inammissibili in quanto palesemente infondati ai
sensi dell’art. 360b1s cod. proc. civ..

di concessione edilizia il fondo era edificabile e che se il Comune
l’avesse rilasciata nei termini il manufatto sarebbe stato anche
costruito nel tempo che si rendeva necessario per chiarire
I’ inedificabilità dell’area. Tale assunto, però, non corrisponde alla
situazione giuridica presente al tempo della richiesta di concessione
edilizia, siccome accertata con la decisione impugnata, ove si desume
che la società non aveva mai allegato e provato che quell’area fosse
mai stata edificabile e che il certificato edilizio rilasciato al tempo
dell’acquisto del bene immobile si riferiva a una delibera consiliare in
corso di approvazione, non tale, quindi, da postulare una sicura e
soprattutto definitiva destinazione urbanistica delle particelle che
interessavano la ricorrente. Deve pertanto tenersi conto del fatto che
la decisione impugnata ha ritenuto preliminarmente insussistente la
situazione di apparenza della destinazione edificatoria indicata nel
certificato consegnato alla ricorrente, che chiaramente si riferiva alla
situazione amministrativa del tempo che indicava come provvisoria,
ma non definitiva, la delibera consiliare n. 52 del 1985 di adozione
del piano regolatore generale, e ciò in pendenza della procedura di
approvazione da parte dell’Assessorato Regionale Territorio e
Ambiente, come previsto dalla L- 1902/1952. Tale procedura si è
conclusa poi con la delibera n. 36677/1989del 4.6.1990,
l’Assessorato Regionale che ha affermato che «le aree proposte per
l’edificazione non hanno le caratteristiche richieste dal D.M. 2.4.1968
n. 1444, e pertanto si restituisce non approvata la delibera consiliare
n. 92 del 9.7.1985 con gli allegati in essa richiamati». La successiva
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2.2. In sostanza nel ricorso si deduce che al momento della domanda

delibera consiliare n. 68 del 3.9.1991, pertanto, non è altro che la
dovuta presa d’atto della definitiva determinazione dell’Autorità
Regionale, per cui la mancata approvazione di essa da parte della
Commissione Provinciale di Controllo non assume alcuna rilevanza.
Inoltre, il fatto che la sentenza del Tar Catania n. 1704/2001, con la
quale il giudice amministrativo avrebbe annullato il diniego al rilascio

appare un argomento anch’esso inconferente rispetto a una sentenza
che ha dato conto della mancata allegazione, nei precedenti gradi di
giudizio, di detta sentenza che avrebbe annullato il provvedimento di
silenzio-rigetto, il che ne ha correttamente comportato la non
utilizzabilità come argomento difensivo e probatorio.
2.3. Con riguardo alla classificazione del bene al tempo del rilascio del
certificato urbanistico da parte del Comune, ritenuto dalla Corte
territoriale come riferito a una situazione «virtuale» e in divenire ,
e non reale, deve rilevarsi come il motivo dedotto di violazione
dell’art. 360 n. 3 cod. proc. civ. sia oltretutto inammissibile, in quanto
i motivi di censura rilevati sotto questo profilo di definizione del
certificato rilasciato dal Comune attengono a valutazioni sul
contenuto della dichiarazione apposta, qualificabili come questioni di
fatto e non di diritto, come tali incensurabili in tale sede di legittimità
(tra molte, Cass. n. 25319/2017; Cass. n. 19090/2007).
2.4. Ragion per cui le censure mosse alla sentenza, come sopra rilevato,

sono inconferenti in quanto non tengono conto della ratio decidendi
della decisione impugnata e, dunque, risultano del tutto inammissibili
in quanto tese a condurre la Corte di legittimità a procedere a un
inammissibile nuovo scrutinio delle tesi della ricorrente, già
adeguatamente confutate dai giudici di merito.
3. Con il terzo e quarto motivo si deduce la violazione e/o falsa applicazione
di legge e un’omessa e insufficiente e contraddittoria motivazione circa
un fatto decisivo e controverso della decisione ai sensi dell’art. 36,nn 3 e
5 cod. proc. civ. in relazione alla legge, laddove la Corte d’Appello ha
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della concessione edilizia, non sia stata valutata ai fini del decidere,

rigettato la domanda risarcitoria, svolta in via subordinata, in ragione
dell’ affidamento ingenerato dal certificato di destinazione edificatoria. Il
certificato di destinazione urbanistica avrebbe, in tesi, determinato la
Nuova Edilizia ad acquistare l’area in oggetto, e creato un legittimo
affidamento sul rilascio della concessione edilizia secondo criteri di
correttezza e buonafede, configurandosi, quindi, per l’inottemperanza del

scaturirebbe un danno c.d. da ritardo, derivante dall’incertezza protratta
oltre il termine di legge entro cui l’azione amministrativa doveva essere
conclusa, qualificabile come danno ingiusto correlato a un
comportamento colposo o doloso della pubblica amministrazione.
Relativamente a tale assunto, tuttavia, la ricorrente ha obliterato del
tutto l’ accertamento del giudice di merito in ordine alla mancanza dei
requisiti di edificabilità dell’area, inclusa in una zona soggetta a ulteriore
approvazione che il motivo di censura non pone neppure in discussione
limitandosi, ancora una volta, a contrapporre la propria – generica e
neppure autosufficiente – tesi a quella del giudice.
3.1. Difatti, con riguardo alla omessa considerazione del danno causato
dal mancato rilascio della concessione edilizia nei sessanta giorni
successivi alla presentazione dell’istanza, termine entro il quale
l’ottemperanza del Comune avrebbe permesso di ottenere un
provvedimento favorevole poiché ancora vigente la destinazione
edificatoria, la deduzione della ricorrente confida in un nuovo esame
delle questioni proposte e risolte dalla Corte sulla base della
considerazione della situazione d’inedificabilità in cui obiettivamente
all’epoca insisteva il bene immobile acquistato, sull’assunto che il
certificato «provvisorio» di destinazione edilizia rilasciato non
avrebbe potuto ingenerare nel privato cittadino alcuna legittima
aspettativa di futuro rilascio di concessione edilizia, attesa la non
definitività della destinazione edificatoria in corso di approvazione,
essendo evidente che l’area non avesse detto requisito al momento
del suo rilascio. La situazione in esame rilevata dalla Corte di merito,
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dovere di correttezza, una responsabilità dell’amministrazione; da ciò

in quanto chiaramente riferita a un procedimento amministrativo
complesso non ancora esaurito, pertanto, sotto il profilo giuridico è
del tutto equiparabile a quella in cui manchi

ab origine

la

destinazione urbanistica, e quindi non potrebbe avere ingenerato
alcuna legittima aspettativa ( v. anche Sez. 1, Sentenza n. 8244 del
07/04/2006).

ricorrente e quantificato, quanto al solo danno emergente,
nell’ esborso di £ 1.000.000.00, subito nel 1988, per acquistare il
terreno supposto come edificabile, cui deve aggiungersi il danno da
lucro cessante per mancato reddito conseguente all’impossibilità di
esercizio dell’ attività economica di esercizio dell’attività alberghiera
prevista, per quanto rilevante nel suo ammontare, non si collega a
un corrispondente comportamento inadempiente o in mala fede
riconducibile all’amministrazione comunale, difettando nel
comportamento di rilascio di tale certificazione, e nel corrispondente
rifiuto di concedere la definitiva concessione edilizia, il carattere
dell’ingiustizia per lesione di una legittima aspettativa (v. Sez. 1,
Sentenza n. 12303 del 17/11/1992; Sez. 1, Sentenza n. 8244 del
07/04/2006; Sez. 1, Sentenza n. 7479 del 27/03/2007).
3.3. Alla luce di quanto sopra, il ricorso deve essere dichiarato, per i
motivi anzidetti, inammissibile soprattutto in ragione del fatto che la
ricorrente ha lamentato una serie di violazioni di norme sostanziali e
processuali, od omissioni di fatti rilevanti palesemente infondate,
affidandosi oltretutto a una pedissequa reiterazione del contenuto
degli atti processuali e degli argomenti difensivi utilizzati nelle
precedenti fasi di merito, e non a una critica ragionata della
motivazione della decisione impugnata ( v. Cass. S.U. n.7161/2010).
3.4. La ricorrente , in base al principio della soccombenza di cui all’art.
91 cod. proc. civ. viene pertanto condannata alle spese di lite,
liquidate come di seguito sulla base del principio della soccombenza

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3.2. Da questo consegue che il danno prospettato dalla società

ex art. 91 cod. proc. civ. a favore della parte resistente, con
raddoppio del contributo unificato.
P.Q.M.
I.
II.

Dichiara inammissibile il ricorso;
Condanna la ricorrente alle spese del giudizio, liquidate in C 10.000,00
oltre C 200 per spese, spese generali al 15% e oneri di legge, in favore

III.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito
dall’art. 1, comma 17 della I. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza
dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore
importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso,
a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.

della contro ricorrente;

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