Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30405 del 21/11/2019

Cassazione civile sez. I, 21/11/2019, (ud. 11/11/2019, dep. 21/11/2019), n.30405

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. PERRINO Angelina Maria – rel. Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. ANDRONIO Alessandro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 20489 del ruolo generale dell’anno 2018

proposto da:

O.A., rappresentato e difeso, giusta procura speciale in

calce al ricorso, dall’avv. Riccardo Rubboli, presso lo studio del

quale in Ravenna, alla via Ravegnana, n. 35, elettivamente si

domicilia;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’interno, in persona del ministro pro tempore,

rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, presso

gli uffici della quale in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12, si

domicilia;

– controricorrente –

per la cassazione del decreto del Tribunale di Bologna n. 1602/18

depositato in data 11 giugno 2018.

Fatto

RILEVATO

che:

– O.A. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, contro il Decreto n. 1602/18 emesso dal tribunale di Bologna e depositato in data 11 giugno 2018, che ha respinto l’opposizione contro la decisione della Commissione territoriale, che gli aveva denegato sia la protezione internazionale, sia quella umanitaria;

– il Ministero dell’Interno ha replicato con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– col primo motivo di ricorso si fa valere violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 5, lamentando che il Tribunale non abbia applicato il principio dell’onere probatorio attenuato e non abbia valutato la credibilità del richiedente alla luce del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, là dove egli ha riferito delle minacce ricevute dal soggetto che gli aveva prestato danaro, nonchè dalla gang che si era recata a casa sua e della reiterazione delle minacce alla moglie anche dopo la sua migrazione;

– col secondo motivo di ricorso si fa valere la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, là dove il Tribunale ha escluso la sussistenza di una minaccia grave alla sua vita derivante da una situazione di violenza indiscriminata;

– le doglianze, da esaminare congiuntamente, vanno disattese;

– anzitutto la valutazione in ordine alla credibilità soggettiva del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve stimare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, in forza della griglia valutativa di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. c); e quest’apprezzamento è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (cfr., in fattispecie similare, Cass. 20 settembre 2019, n. 23466);

– a tanto va aggiunto che l’attenuazione del principio dispositivo in cui la “cooperazione istruttoria” consiste si colloca non dal versante dell’allegazione, ma esclusivamente da quello della prova, in quanto l’allegazione deve essere adeguatamente circostanziata, dovendo il richiedente presentare “tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare la… domanda”, ivi compresi “i motivi della sua domanda di protezione internazionale” (D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, commi 1 e 2), con la precisazione che l’osservanza degli oneri di allegazione si ripercuote sulla verifica della fondatezza della domanda medesima, sul piano probatorio, giacchè, in mancanza di altro sostegno, le dichiarazioni del richiedente sono considerati veritiere soltanto, tra l’altro, “se l’autorità competente a decidere… ritiene che: a) il richiedente ha compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda; b) tutti gli elementi pertinenti in suo possesso sono stati prodotti ed è stata fornita una idonea motivazione dell’eventuale mancanza di altri elementi significativi” (D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5);

– ne consegue che solo quando colui che richieda il riconoscimento della protezione internazionale abbia adempiuto l’onere di allegare i fatti costitutivi del suo diritto, sorge il potere-dovere del giudice di accertare anche d’ufficio se, ed in quali limiti, nel Paese straniero di origine dell’istante si registrino i fenomeni tali da giustificare l’accoglimento della domanda;

per converso, se l’allegazione manca, l’esito della domanda è segnato, in applicazione del principio secondo cui la domanda di protezione internazionale non si sottrae all’applicazione del principio dispositivo (cfr. Cass. n. 19197/2015 e, da ultimo, Cass. 30 settembre 2019, n. 24405 e 24408);

– il giudice, a ogni modo, pur dovendo d’ufficio verificare elettivamente, ma non esclusivamente, attraverso lo scrutinio dei c.d. c.o.i., country of origin informations – se nel paese di provenienza sia oggettivamente sussistente una situazione di violenza indiscriminata talmente grave da costituire ostacolo al rimpatrio del richiedente, non può essere chiamato a supplire a deficienze probatorie concernenti la situazione personale del richiedente, dovendo a tal riguardo soltanto effettuare la verifica di credibilità prevista nel suo complesso dal comma 5 del già citato art. 3;

– ciò posto, la valutazione sul punto svolta dal Tribunale si sottrae a sindacato di questa Corte, perchè fondata sulla scarsa credibilità del racconto del richiedente, il quale ha riferito solo in giudizio delle minacce di morte ricevute anche dalla gang recatasi a casa sua, che aveva taciuto dinanzi alla Commissione, senza allegare alcun elemento probatorio a sostegno;

– il primo motivo di ricorso è quindi inammissibile, avendo il richiedente dedotto in modo del tutto generico la violazione delle nome di legge sopra indicate, attraverso il richiamo delle disposizioni asseritamente disattese e tramite una ricostruzione della fattispecie concreta difforme da quella accertata dal Tribunale;

– in relazione alla censura di mancata valutazione del generale contesto politico e ordinamentale del Paese di provenienza, il Tribunale ha poi comunque approfonditamente esaminato la situazione politica della Nigeria, ed in particolare della regione del Lagos State, quale emergente da diverse fonti internazionali aggiornate enucleate, dando atto che essa non evidenziava una violenza diffusa ed indiscriminata derivante da conflitto armato tale da porre in serio pericolo il richiedente;

– anche questo motivo si risolve quindi in una critica del ragionamento posto dal giudice di merito a base dell’interpretazione degli elementi probatori del processo e, in sostanza, nella richiesta di una diversa valutazione degli stessi; ipotesi integrante un vizio motivazionale non più proponibile in seguito alla modifica dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, apportata dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, convertito con L. n. 134 del 2012 (cfr. Cass., Sez. Un., n. 8053/2014);

– inammissibile è, infine, il terzo motivo di ricorso, col quale si denuncia violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 32, comma 5, là dove il Tribunale di Bologna non ha riconosciuto la protezione umanitaria;

– il Tribunale ha difatti motivatamente escluso la sussistenza dei relativi presupposti, facendo leva sul fatto che tutti i riferimenti affettivi e familiari del ricorrente sono nel paese di origine, mentre in Italia non risulta integrato, avendo soltanto intrapreso un percorso di studio della lingua italiana;

– di contro il richiedente nel ricorso per cassazione si è limitato ad allegazioni del tutto generiche ed irrilevanti;

– il ricorso è quindi inammissibile e le spese seguono la soccombenza.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente a pagare le spese, che liquida in Euro 2100,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 11 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 21 novembre 2019

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