Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30403 del 21/11/2019

Cassazione civile sez. I, 21/11/2019, (ud. 11/11/2019, dep. 21/11/2019), n.30403

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. PERRINO Angelina Maria – rel. Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. ANDRONIO Alessandro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 19705 del ruolo generale dell’anno 2018

proposto da:

B.M., rappresentato e difeso, giusta procura speciale in calce

al ricorso, dall’avv. Laura Barberio, presso lo studio della quale

in Roma, alla via del Casale Strozzi, n. 31, elettivamente si

domicilia;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’interno;

– intimato –

per la cassazione del decreto del Tribunale di Bologna depositato in

data 19 maggio 2018.

Fatto

RILEVATO

che:

– B.M., cittadino (OMISSIS), impugnò il provvedimento della Commissione territoriale di diniego del riconoscimento della protezione internazionale e di quella umanitaria innanzi al Tribunale di Bologna che, con decreto del 19 maggio 2018, ha rigettato il ricorso;

– a sostegno della decisione il Tribunale ha evidenziato che il racconto reso dal ricorrente era inattendibile perchè in parte inverosimile e contraddittorio, e in parte generico e stereotipato; che non sussistevano i presupposti della protezione sussidiaria, in considerazione del fatto che la consultazione delle COI più recenti e accreditate non evidenziano la sussistenza in Bangladesh di alcun conflitto armato in corso; che, infine, non sussistevano i presupposti della protezione umanitaria, giacchè ha ritenuto giustificata la richiesta da motivi economici;

– B.M. propone ricorso per cassazione affidato a due motivi, cui non v’è replica.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– Con il primo motivo è denunziata violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, commi 3 e 5, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), là dove il Tribunale avrebbe erroneamente valutato l’attendibilità del ricorrente, senza approfondimenti istruttori;

– il motivo è inammissibile, poichè la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino è apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, censurabile nei limiti del nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 e, quindi, senz’altro non in ordine alla coerenza e alla plausibilità delle dichiarazioni rese (tra varie, vedi Cass. nn. 13383 e 13384/2019); non sono configurabili la necessità e la possibilità stessa per il giudice di merito – qualora non siano dedotti fatti attendibili e concreti, idonei a consentire un approfondimento ufficioso – di operare ulteriori accertamenti;

– ciò perchè, in materia di protezione internazionale, l’accertamento del giudice di merito deve avere a oggetto la credibilità soggettiva della versione del richiedente circa l’esposizione a rischio grave alla vita o alla persona; sicchè, qualora le dichiarazioni siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva stabiliti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non occorre procedere a un approfondimento istruttorio officioso circa la prospettata situazione persecutoria nel Paese di origine (da ultimo, in termini, Cass. nn. 24408 e 24405/19);

– nel caso concreto, il Tribunale ha diffusamente e adeguatamente motivato in ordine alle ragioni per le quali la narrazione dell’istante non è credibile, quanto al nucleo centrale delle sue dichiarazioni, concernente l’affermata aggressione subita per conto di un usuraio al quale si era rivolto per un prestito, insieme con la sua famiglia, non denunciata alla polizia, perchè corrotta e le successive torture subite in Libia, dove sarebbe stato sequestrato per circa venticinque giorni, fino al riscatto compiuto dai familiari; in questo contesto, il ricorrente non ha allegato specifiche circostanze bisognose di approfondimento;

col secondo mezzo è prospettata la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32 e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, là dove il tribunale avrebbe trascurato l’estrema vulnerabilità del richiedente, la sua giovane età, la sua integrazione nel Paese di accoglienza e le torture subite in Libia;

– il motivo è inammissibile;

– il Tribunale era chiamato a valutare la sussistenza del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 5, comma 6, all’esito di una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio potesse determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel paese d’accoglienza (Cass. 4455/2018);

– il Tribunale non si è sottratto a questo compito, giacchè ha adeguatamente motivato il proprio convincimento che la richiesta è giustificata da motivi economici, facendo leva sul fatto che il migrante non ha ancora raggiunto un serio inserimento lavorativo, nonchè sulla circostanza che tutti i suoi familiari si trovano nel paese di provenienza e aggiungendo che nessuna traccia c’è di problemi di salute personali, mentre quelli concernenti il padre sono stati genericamente e contraddittoriamente allegati;

– -inoltre, con riguardo poi alle violenze subite nel paese di transito prima dell’arrivo in Italia, ossia in Libia, si deve ribadire che “nella domanda di protezione internazionale, l’allegazione da parte del richiedente che in un Paese di transito (nella specie la Libia) si consumi un’ampia violazione dei diritti umani, senza evidenziare quale connessione vi sia tra il transito attraverso quel Paese ed il contenuto della domanda, costituisce circostanza irrilevante ai fini della decisione, perchè l’indagine del rischio persecutorio o del danno grave in caso di rimpatrio va effettuata con riferimento al Paese di origine o alla dimora abituale ove si tratti di un apolide. Il paese di transito potrà tuttavia rilevare (dir. UE n. 115 del 2008) nel caso di accordi comunitari o bilaterali di riammissione, o altra intesa, che prevedano il ritorno del richiedente in tale paese” (Cass. 15 maggio 2019, n. 13096; 6 dicembre 2018, n. 31676; 20 novembre 2018, n. 29875); di contro, la doglianza sul punto è inammissibile per difetto di specificità;

– il ricorso è quindi inammissibile; nulla per le spese, in mancanza di attività difensiva.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 11 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 21 novembre 2019

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